Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7006 del 11/04/2016


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 7006 Anno 2016
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: MANNA FELICE

SENTENZA
sul ricorso 20207-2014 proposto da:
DAINA ALFONSINA, elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZA
CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dall’avvocato °LINDO DI FRANCESCO giusta procura a margine
del ricorso;

– ricorrente contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
80415740580;

– intimato –

Data pubblicazione: 11/04/2016

avverso il decreto n. 54/2014 della CORTE D’APPELLO di
CALTANISSETTA del 18/12/2013, depositato il 13/01/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/12/2015 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA.

Ric. 2014 n. 20207 sez. M2 ud. 03-12-2015
-2-

ci

IN FATTO
Con ricorso dell’1.6.2012 Alfonsina Daina adiva la Corte d’appello di
Caltanissetta per ottenere la condanna del Ministero dell’Economia e delle
Finanze al pagamento di un equo indennizzo, ai sensi dell’art. 2 della legge 24

ella aveva promosso innanzi alla sezione giurisdizionale della Sicilia della
Corte dei conti con ricorso del 2.12.2003, e che era stato definito con sentenza
30.6.2011.
Resisteva il Ministero.
Con decreto del 13.1.2014 la Corte adita rigettava la domanda,
condannando la ricorrente alle spese. Osservava nel merito che dalla
motivazione della sentenza emessa all’esito del giudizio presupposto
emergeva l’evidente infondatezza delle pretese azionate, o almeno delle prime
due, e la mancanza d’interesse a proseguire il giudizio per la terza, essendo
stata pienamente accolta la pretesa dall’amministrazione resistente. Pertanto,
concludeva la Corte nissena, il protrarsi del giudizio oltre la revoca del
provvedimento impugnato, intervenuta poco tempo dopo la proposizione del
ricorso, era imputabile solo alla ricorrente, che aveva tenuto una condotta
ingiustificatamente dilatoria.
Per la cassazione di tale decreto Alfonsina Daina propone ricorso, affidato
a cinque motivi.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.

Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione

dell’art. 2697 c.c., dell’art. 167 c.p.c. e dell’alt. 111 Cost., nonché dei principi
3

marzo 2001, n. 89, in relazione alla durata irragionevole di un giudizio che

di non contestazione, lealtà, probità ed economia in relazione all’art. 360, n. 3
c.p.c. Sostiene parte ricorrente che l’Avvocatura dello Stato, nel resistere in
giudizio, non aveva contestato né nella memoria né in sede di discussione
!aveva contestato) l’ an e il quantum debeatur. Pertanto, in difetto di

danno nell’ammontare richiesto. E il non averlo fatto si pone in contrasto con
il principio di non contestazione.
2. – Col secondo motivo è dedotta la violazione o “mancata” applicazione
dell’art. 2 legge n. 89/01, dell’art. 111 Cost. e della legge costituzionale n. 2
del 1999, nonché degli artt. 116 e 132 c.p.c., 1223, 1226, 1227 e 2056 c.c. e 6,
par. 1, 13 e 35 CEDU, in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c. Sostiene parte
ricorrente che nel processo presupposto nessuna condotta dilatoria è
imputabile alla parte odierna ricorrente, che aveva sempre avuto interesse alla
definizione della lite. Per contro, il ritardo è imputabile unicamente alla Corte
dei conti, che a fronte di un ricorso presentato il 2.12.2003 ha fissato
l’udienza di trattazione in data 21.6.2011, e dunque a distanza di sette anni e
sei mesi. Inoltre, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del
processo, il diritto all’equa riparazione spetta a tutte le parti del processo,
indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o meno.
3. – Il terzo motivo espone la violazione dell’art.411 Cost. e 132 c.p.c.,
lamentando che la Corte d’appello non avrebbe fornito alcuna motivazione a
sostegno della propria decisione.
4. – Il quarto mezzo d’annullamento censura il decreto impugnato per
violazione o falsa applicazione della legge n. 89/01, nella parte in cui non ha
operato la liquidazione del danno non patrimoniale.
4

contestazioni al riguardo, la Corte territoriale avrebbe dovuto liquidare il

5. – Il quinto motivo deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 6,
17, 34 e 35 CEDU, e 2, commi 1 e 2 legge n. 89/01, in relazione all’art. 360,
n. 3 c.p.c., in riferimento alla consolidata giurisprudenza della Corte EDU, ai
sensi dell’art. 35 della Convenzione, sulla non soccombenza della parte

n. 89/01, pur introducendo un rimedio di carattere interno alla violazione delle
Convenzione, in funzione sussidiaria e surrogatoria rispetto alla tutela
approntata da quest’ultima, perpetua “lo scandalo” della soccombenza al
pagamento delle spese in caso di rigetto della domanda, a differenza di quanto
previsto dall’art. 35 CEDU; il che per le persone meno abbienti costituisce
una seria remora a domandare l’equa riparazione.
6. – Il secondo motivo, che per la sua idoneità rescindente va esaminato in
via prioritaria, è fondato.
6.1. – L’irragionevole durata del processo ai sensi dell’art. 2 della legge n.
89 del 2001 (nel testo anteriore alle modifiche di cui al D.L. n. 83/12,
convertito in legge n. 134/12) va accertata tenendo presente la complessità
della causa e, in relazione ad essa, il comportamento delle parti e del giudice
del procedimento, nonché di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o,
comunque, a contribuire alla sua definizione.
Nell’ambito di tale valutazione globale, che coinvolge parti, giudice e terzi,
la giurisprudenza di questa Corte si è prevalentemente espressa nel senso di
distinguere tra tempi addebitabili alle parti e tempi addebitabili allo Stato per
la loro evidente irragionevolezza, sicché, salvo che sia motivatamente
evidenziata una vera e propria strategia dilatoria, idonea ad impedire
l’esercizio dei poteri di direzione del processo propri del giudice, è necessario
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ricorrente nelle spese in caso di rigetto anche totale della domanda. La legge

individuare la durata comunque ascrivibile allo Stato, ferma restando la
possibilità che la frequenza ed ingiustificatezza delle istanze di differimento
incidano sulla valutazione del paterna indotto dalla pendenza del giudizio e,
dunque, sulla misura dell’indennizzo da riconoscere (v. Cass. nn. 14750/15 e

La possibilità di imputare allo Stato una data frazione della durata
complessiva del processo non è esclusa dall’eventuale difetto di adeguati
strumenti normativi, processuali o amministrativi, di coazione o sostituzione.
In tal caso, infatti, si configura una “violazione di sistema” conseguente a
scelte, ad inerzie o inefficienze comunque riconducibili all’organizzazione
dell’apparato pubblico, e come tali rilevanti ai fini dell’art. 6, paragrafo I
CEDU (cfr. sulle violazioni di sistema, Cass. nn. 7323/15, 29000/05,
15143/05, 2148/03 e 358/03).
Nel solco di tale impostazione ermeneutica va dunque ribadito che l’art. 2,
comma 2, legge cit. (nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n.
83/12, convertito in legge n. 134/12) va interpretato nel senso che la condotta
non collaborativa di una o di entrambe le parti, ovvero di un’autorità terza
richiesta del proprio operato, non esclude la responsabilità dello Stato per la
conseguente dilazione dei tempi processuali. Al contrario, lo Stato deve
attrezzare il proprio apparato giudiziario in maniera tale da soddisfare la
domanda di giustizia in un tempo ragionevole, vincendo se del caso anche le
più strenue e ingiustificate resistenze. Queste possono certamente influire
sulla valutazione di complessità del processo, e di riflesso sul giudizio di
durata ragionevole nel caso concreto, ma non valgono né a sospendere né ad
attenuare l’obbligo dello Stato di garantire un processo ragionevolmente
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1715/08).

celere utilizzando opportuni strumenti di governo e di coazione, la cui
eventuale carente previsione costituisce “violazione di sistema” ai fini
applicativi dell’alt. 6, paragrafo I CEDU.
6.2. – Come già affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 18834/15), “il

caso di lite temeraria (v. fra le tante, Cass. nn. 28592/11, 10500/11 e
18780/10), cioè quando la parte abbia agito o resistito in giudizio con la
consapevolezza del proprio torto o sulla base di una pretesa di puro nzzardo;

b) nell’ipotesi di causa abusiva (cfr. tra le tante, Cass. nn. 7326/15, 5299/15,
23373/14, non massimate, e 22873/09), che ricorre allorché lo strumento
processuale sia stato utilizzato in maniera distorta, per lucrare sugli effetti
della mera pendenza della lite; e c) in tutte le ipotesi in cui la specifica
situazione processuale del giudizio di riferimento dimostri in positivo, per
qualunque ragione, come la parte privata non abbia patito quell’effettivo e
concreto pregiudizio d’indole morale, che è conseguenza normale, ma non
automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del
processo (v. per tutte e da ultimo, Cass. n. 7325/15). 11 comma 2-quinquies,
aggiunto all’art. 2 della legge n. 89/01 dall’art. 55, compia 1, lett. a), n. 3) del
D.L. n. 83/12, convertito in legge n. 134/12, ha previsto, con elencazione da
ritenersi non tassativa, talune ulteriori ipotesi di esclusione dell’indennizzo, in
presenza delle quali il giudice non dispone di margini d’apprezzamento della
fattispecie. Tra queste (continua a) non rientra(re) quella della manifesta
infondatezza della domanda. Intuitiva l’estraneità al caso in esame delle lett.
da b) ad e) del comma 2-quinquies cit., va altresì esclusa sia la previsione di
cui alla lett. a), che nega l’equa riparazione alla parte soccombente che sia
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diritto all’equa riparazione è escluso per ragioni di carattere soggettivo: a) nel

stata condannata nel giudizio presupposto a norma dell’art. 96 c.p.c., sia
quella di cui alla lett. j). Quest’ultima, in particolare, si riferisce ad ogni altro
caso di abuso dei poteri processuali che abbia determinato un’ingiustificata
dilazione dei tempi processuali; e dunque ad una condotta interna al processo

infondatezza costituisce null’altro che il giudizio critico o di verità che la
sentenza di merito esprime sulla postulazione contenuta nella domanda.
Coordinando tra loro il dato positivo attuale (applicabile alla fattispecie) e i
precedenti indirizzi di questa Corte, si conferma, dunque, che solo se
qualificata dal requisito ulteriore di temerarietà o di abusività la domanda
manifestamente infondata osta al riconoscimento di un’equa riparazione”.
6.3. – La Corte di merito si è allontanata da entrambi gli indirizzi suddetti,
poiché per un verso non ha considerato la “violazione di sistema”, e per l’altro
ha esteso (in difetto di un’adeguata copertura normativa o giurisprudenziale)
il divieto d’indennizzo all’ipotesi di manifesta infondatezza della domanda.
7. – L’accoglimento di detta censura determina l’assorbimento dei restanti
motivi d’impugnazione.
8. – Pertanto, in accoglimento del ricorso il decreto impugnato va cassato
con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Caltanissetta, che nel
decidere il merito si atterrà ai principi di diritto anzi detti e provvederà anche
sulle spese di cassazione.
P. Q. M.
La Corte accoglie il secondo motivo, assorbiti gli altri, cassa il decreto
impugnato con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Caltanissetta,
che provvederà anche sulle spese di cassazione.
8

e di specifica incidenza sulla sua durata, lì dove, invece, la manifesta

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile –

2 della Corte Suprema di Cassazione, il 3.12.2015.

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