Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7004 del 25/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 25/03/2011, (ud. 14/12/2010, dep. 25/03/2011), n.7004

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

N.P., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DELLE

CINQUE GIORNATE 2, presso lo studio dell’avvocato AGOSTINELLI ANDREA,

rappresentato e difeso dall’avvocato FERRARI SERGIO, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

“ING. ANTONIO DE CESARE S.A.S.”, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO MESSICO 7,

presso lo studio dell’avvocato TESAURO PAOLO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PAOLA FERRARA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6858/2007 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 05/11/2007 r.g.n. 5309/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/12/2010 dal Consigliere Dott. FILIPPO CURCURUTO;

udito l’Avvocato SERGIO FERRARI;

udito l’Avvocato TESAURO PAOLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

La Corte d’Appello di Napoli, riformando la sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda dell’ingegner N.P. contro la Ing. De Cesare s.a.s. di d.C.G., diretta ad ottenere il pagamento di L. 159.000.000, oltre accessori, per l’attività prestata nel periodo 20 gennaio 1987-1 novembre 1995 quale direttore tecnico della società.

La Corte di merito premette in fatto che l’ingegner N. con Delib. sociale del 20 gennaio 1987 era stato nominato direttore tecnico della “Ing. Antonio de Cesare” s.a.s in aggiunta all’ingegner D.C.A. socio accomandatario; che quest’ultimo prima della nomina del N. era stato colpito la grave malattia;

che fra i due professionisti vi erano profondi rapporti di amicizia e stima; che la delibera di nomina non prevedeva la corresponsione di alcun compenso nè questo era stato concordato in altra sede; che nel lungo periodo di titolarità della carica il N. non aveva mai ricevuto nè sollecitato alcun compenso o rimborso spese: che nel 1988, dopo il decesso dell’ingegner D.C.A., era stato nominato direttore tecnico anche l’ingegner D.C.G.; che l’ing. N. durante il periodo in cui aveva ricoperto l’incarico in questione aveva svolto per la società numerosi incarichi professionali di progettazione e i consulenza, tutti regolarmente retribuiti.

La Corte richiama quindi la normativa concernente la direzione tecnica (L. 10 febbraio 1962, n. 57, art. 14, relativo regolamento di attuazione) ed osserva che in base ad essa il direttore tecnico riveste un ruolo attivo e dinamico dovendo svolgere tutti gli adempimenti di carattere organizzativo necessari per l’esecuzione dei lavori.

La Corte osserva in proposito che il N. non aveva dato alcuna prova di aver effettivamente espletato tali attività o svolto prestazioni specifiche in esecuzione dell’incarico, non avendo prodotto alcuna documentazione rilevante a tale fine, nonostante la pluriennale durata dell’incarico. Egli inoltre nella memoria di costituzione in primo grado aveva sostanzialmente ammesso di non aver effettuato alcuna particolare prestazione, affermando che questa consisteva proprio nel ricoprire la carica.

La Corte richiama inoltre due lettere del 1993 nelle quali il N. si lamentava con l’ing. D.C.G. per esser tenuto del tutto all’oscuro dell’attività della società pur rivestendo la carica di direttore tecnico, nonchè le attestazioni rilasciate alla società nel novembre 1995 relative ai diversi lavori da essa eseguiti a partire dal 1992, nei quali direttore tecnico risultava essere D.C.G..

In conclusione, secondo la Corte, per i rapporti personali tra il N. ad D.C.A., il quale gravemente malato aveva ritenuto di individuare l’amico quale soggetto che potesse prima affiancarlo poi sostituirlo nella carica, in attesa che il proprio figlio G. acquisisse i requisiti professionali per rivestirla, per la mancanza di qualsiasi atto negoziale relativo al compenso, per l’univoco comportamento tenuto dalle parti nel corso di un lungo arco di tempo, significativo della loro comune intenzione ai sensi dell’art. 1362 c.c. anche perchè posto in essere da un soggetto contrattualmente non debole, quale il N., doveva ritenersi che l’incarico di direttore tecnico fosse stato conferito titolo gratuito.

Tale conclusione secondo la Corte era avvalorata anche dalla circostanza secondo cui l’incarico non aveva comportato un effettivo impegno sul piano professionale avendo il N. condiviso la veste di direttore tecnico dapprima con A. e quindi con D. C.G., e ricevuto comunque dalla società appellante diversi e distinti incarichi regolarmente retribuiti.

In ciò secondo la Corte non vi era alcun contrasto con le norme dettate dagli artt. 2229 segg. c.c. le quali, secondo la giurisprudenza di legittimità non escludono accordi di prestazione nè determinano una presunzione, ancorchè semplice, di onerosità dell’opera intellettuale.

L’Ingegner N.P. chiede la cassazione di questa sentenza con ricorso fondato su due motivi. La parte intimata resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il primo motivo di ricorso denunzia insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia e falsa applicazione di legge con riferimento all’art. 2233 c.c. e all’art., unico della L. n. 1453 del 1958.

Secondo il ricorrente, in sintesi, essendo stato conferito un incarico di direzione tecnica ed essendoci quindi un contratto avente ad oggetto tale conferimento, il diritto al compenso nasce direttamente dallo stesso contratto, a meno che non vi sia rinunzia allo stesso. Pertanto la sentenza impugnata avrebbe violato le norme di legge in epigrafe, perchè avrebbe escluso il diritto al compenso senza accertare o comunque affermare che fosse stata rinunzia allo stesso.

Il secondo motivo di ricorso denunzia insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia – erroneo apprezzamento dell’esito della prova.

Secondo il ricorrente, nel negare l’effettivo svolgimento da parte del N. degli adempimenti richiesti dall’incarico di direttore tecnico, la sentenza impugnata avrebbe erroneamente apprezzato le prove, risultando dimostrata l’esecuzione dell’incarico alla “stregua della documentazione versata in atti” della quale dovrebbe aversi “per integralmente trascritto l’indice foliario”. La sentenza, inoltre, dall’atto difensivo del N. in primo grado ha desunto conferma del mancato effettivo espletamento delle prestazioni connesse all’incarico, mentre da quell’atto poteva evincersi solo che il N. aveva chiesto compensi per il conferimento dell’incarico. In conclusione, la sentenza era viziata per non aver considerato che la prestazione consisteva nel ricoprire l’incarico assumendo le relative responsabilità. In ogni caso, era stata data anche la prova dell’effettivo svolgimento dell’incarico, come risultava dal prospetto del progetto di appalto concorso per l’impianto di condizionamento della Clinica ortopedica universitaria di Napoli, mentre non aveva rilievo la mancata presenza del N. sui cantieri della società, non avendo egli veste di direttore dei lavori.

I due motivi, da trattarsi congiuntamente perchè connessi, sono infondati.

Come emerge dalla narrativa che precede, all’esito della disamina delle risultanze processuali, il giudice di merito ha ritenuto che il contratto fra le parti fosse legittimamente nato come contratto di incarico professionale a titolo gratuito.

In tale statuizione non vi è alcun vizio di violazione di legge da parte del giudice di merito, perchè l’affermazione secondo la quale sono pienamente legittimi contratti d’opera professionale a titolo gratuito è perfettamente conforme a diritto, essendo consentita al professionista la prestazione gratuita della sua attività professionale per i motivi più vari che possono consistere- come nella specie accertato dalla sentenza – nell”‘affectio”, nella “benevolentia” o in considerazioni di ordine sociale o di convenienza con riguardo ad un personale ed indiretto vantaggio (Cass. 16966/2005).

Peraltro, che le parti si siano orientate nel senso della gratuità è conclusione che la Corte di appello ha ampiamente giustificato indicando puntualmente le fonti del proprio convincimento e motivando in modo niente affatto illogico o contraddittorio. Quindi non hanno alcun fondamento le censure di vizio di motivazione, sulle quali è essenzialmente fondato il secondo motivo, perchè con le stesse si propone in definitiva una diversa ricostruzione del materiale istruttorio, fra l’altro senza alcuna riproduzione testuale ed integrale del contenuto della documentazione che il giudice di merito non avrebbe adeguatamente valutato.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente alle spese del giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese in Euro 22,00 oltre ad Euro 3000 per onorari, nonchè IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2011

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