Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 7000 del 25/03/2011

Cassazione civile sez. II, 25/03/2011, (ud. 03/03/2011, dep. 25/03/2011), n.7000

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AVV. C.C. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e

difeso da se stesso ed elettivamente domiciliato presso il suo

studio, in Roma, v. Manfredi, n. 17;

– ricorrente –

contro

AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE ROMA B (C.F.: (OMISSIS)), in

persona del Direttore Generale pro-tempore, rappresentata e difesa,

in virtù di procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv.

Giuseppe Bolognini ed elettivamente domiciliato presso il suo studio,

in Roma, v. Lucrezio Caro, n. 62;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 481/2006,

depositata il 30 gennaio 2006;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 3

marzo 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

uditi gli Avv.ti C.C. per se stesso e Giuseppe Bolognini

per la controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 27 marzo 2001 l’avv. C. C. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma l’Azienda USL Roma B per sentirla condannare al pagamento della somma di L. 291.926.000, oltre i.v.a. e c.a.p. e agli interessi legali dal dovuto al soddisfo, a titolo di onorari professionali per il patrocinio e l’assistenza prestati, quale legale incaricato dalla suddetta Azienda sanitaria, in un giudizio di appello svoltosi dinanzi alla Corte di appello di Torino tra la stessa Azienda e il Monte Paschi Factor.

Nella costituzione della convenuta, il Tribunale adito, con sentenza n. 38500 del 2002 (depositata il 10 ottobre 2002), accoglieva parzialmente la domanda condannando l’indicata Azienda Sanitaria a corrispondere, in favore dell’attore, l’importo di L. 77.536,67, oltre accessori come per legge, ritenendo, tra l’altro, fondata l’eccezione della medesima convenuta in ordine alla determinazione del valore del giudizio da correlarsi alla somma di L. 13.605.401.737.

A seguito di appello interposto dall’avv. C.C., nella resistenza dell’appellata (che proponeva, a sua volta, appello incidentale), la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 481 del 2006 (depositata il 30 gennaio 2006), rigettava sia l’appello principale che quello incidentale e, nel confermare l’impugnata sentenza, compensava integralmente le spese dei grado.

A sostegno dell’adottata decisione, la Corte territoriale rilevava, tra l’altro, l’infondatezza del motivo dedotto dall’avv. C., in base al quale il valore della causa si sarebbe dovuto valutare in L. 17.811.821.803 (e non in L. 13.605.401.737), dovendosi tener conto anche degli interessi nelle more maturati. Riteneva, al riguardo, la Corte territoriale che il valore della causa, ai fini della liquidazione degli onorari spettanti all’avvocato nei confronti del cliente, si sarebbe dovuto determinare in base alle norme del codice di procedura civile, ponendo riferimento all’oggetto della domanda considerato al momento iniziale della lite, senza che potessero assumere rilievo, in proposito, gli interessi e la eventuale rivalutazione maturati sulla somma capitale, nelle more della controversia. Quanto al motivo relativo all’interpretazione del D.M. n. 585 del 1994, art. 5, comma 3, la Corte territoriale considerava corretta l’impostazione seguita dal giudice di primo grado che aveva ritenuto valutabile, nella determinazione dei compensi, anche l’esito negativo del giudizio di appello cui era stata riferita la richiesta di liquidazione dei compensi professionali dell’avv. C..

Avverso la suddetta sentenza di appello (non notificata), ha proposto rituale ricorso per cassazione l’avv. C.C., articolato in due motivi, al quale ha resistito con controricorso l’Azienda USL Roma B. Entrambi i difensori hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – violazione di norma di diritto e contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata circa l’indicazione del valore della causa, nella parte in cui aveva escluso che si dovessero prendere in considerazione, a tal fine, gli interessi maturati sino alla data di proposizione dell’appello avverso la sentenza di primo grado.

1.1. Il motivo è infondato e deve essere rigettato.

Come esattamente rilevato nella sentenza impugnata, ai fini della determinazione e liquidazione degli onorari spettanti al professionista nei confronti del proprio cliente, il valore della causa andava, nella specie, determinato, ai sensi del D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, art. 6, secondo le norme del codice di procedura civile, con la conseguenza che gli interessi maturati nel corso del giudizio non potevano valere ad aumentare il valore iniziale della causa, coincidente con la domanda dell’attore. In tal senso, la Corte territoriale, con motivazione adeguata e immune da vizi logici, si è conformata alla costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 27 febbraio 1998, n. 2172; Cass. 12 luglio 2000, n. 9242, e Cass. 19 aprile 2006, n. 9082), alla stregua della quale il valore della causa ai fini della liquidazione degli onorari spettanti all’avvocato nei confronti del cliente, si determina, in base alle norme del codice di procedura civile, avendo riguardo all’oggetto della domanda considerato nel momento iniziale della lite, senza che assumano rilievo, al riguardo, gli interessi e la rivalutazione maturati sulla somma capitale nelle more della controversia. Pertanto, nel caso di specie, con la sentenza impugnata la Corte capitolina ha correttamente posto riferimento al valore portato dal decreto ingiuntivo conseguente alla domanda monitoria proposta (v., per riferimenti, Cass. 31 maggio 2010, n. 13229), oggetto di successiva opposizione, senza che potessero concorrere a modificare ed aumentare il valore della controversia – in funzione della liquidazione dei compensi in favore del legale patrocinante – gli interessi maturati sulla sorte nel corso del giudizio di primo grado, così come quelli maturati sino al momento della proposizione dell’appello, essendo, peraltro, assolutamente irrilevante il computo della somma portata dal precetto notificato alla parte soccombente richiamato dallo stesso ricorrente perchè, evidentemente, attinente ad un’altra fase processuale, ovvero a quella esecutiva, da considerarsi estranea e diversa rispetto al processo di cognizione per il quale era stata invocata la liquidazione delle competenze professionali.

2. Con il secondo motivo lo stesso ricorrente ha censurato la sentenza impugnata – sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – per violazione di norma di diritto e contraddittoria motivazione nella parte in cui era stata ritenuta corretta l’impostazione adottata nella decisione del giudice di primo grado, che aveva tenuto conto, ai fini della determinazione dell’onorario spettante all’avv. C. per il patrocinio della controversia richiamata in narrativa, anche dell’esito del giudizio, in relazione al citato D.M. n. 585 del 1994, art. 5, comma 3.

2.1. Anche questo motivo è destituito di fondamento e va, perciò, respinto.

A questo riguardo la Corte territoriale, con motivazione anche su questo aspetto congrua e logicamente rispondente alla “ratio” della specifica disposizione alla quale ha posto riferimento il ricorrente, ha evidenziato che detta disposizione regolamentare – esattamente interpretata – legittima il giudice, nella liquidazione degli onorari a carico del cliente, oltre che a tener conto dei criteri generali previsti nei primi due commi, anche a valutare i risultati del giudizio e i vantaggi, anche non patrimoniali, conseguiti. Pertanto, in proposito, il giudice di appello ha, correttamente, rilevato che il riferimento all’esito del giudizio andava sganciato dalla valutazione dell’adeguatezza o meno dell’attività difensiva espletata dal patrocinatore e andava, invece, rapportato alla individuazione della posizione di vantaggio o di svantaggio conseguita dalla parte assistita in virtù della decisione giudiziale, che si poneva, quindi, come ulteriore parametro valorizzabile in funzione della quantificazione dei compensi da liquidare. E, nell’ipotesi esaminata, il giudicante aveva tenuto presente che, indipendentemente dai sopravvenuti mutamenti giurisprudenziali, l’esito dell’appello (risoltosi in una pronuncia di inammissibilità del gravame, con tutte le conseguenze che ne erano scaturite) non era risultato – sul piano processuale – favorevole all’ASL RM B, di cui era stato riconosciuto il difetto di legittimazione e che aveva dovuto sopportare anche il carico delle spese giudiziali del giudizio impugnatorio (rimanendo neutri, al riguardo, gli effetti relativi alle vicende successorie verificatesi sul piano sostanziale nell’organizzazione sanitaria a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 724 del 1994).

Conseguentemente, deve escludersi qualsiasi violazione della suddetta disposizione censurata così come il vizio motivazionale dedotto.

3. In definitiva, il ricorso deve essere respinto con riferimento ad entrambi i motivi con conseguente condanna del soccombente ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione 2^ Civile, il 3 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2011

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