Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 700 del 19/01/2010

Cassazione civile sez. III, 19/01/2010, (ud. 23/11/2009, dep. 19/01/2010), n.700

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12006/2005 proposto da:

C.P. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA LUCREZIO CARO 62, presso lo studio dell’avvocato

CICCOTTI Simone, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

DE POLI GIUSEPPE giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’Avvocato GOLLIN Gianfranco con studio in 35043 MONSELICE

(PD), PIAZZA XX SETTEMBRE 7 giusta delega a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso il provvedimento n. 889/2004 della CORTE D’APPELLO di

VENEZIA, Sezione Quarta Civile, emessa il 5/5/2004, depositata il

28/05/2004, R.G.N. 103/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

23/11/2009 dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;

udito l’Avvocato SIMONE CICCOTTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 5-28 maggio 2004, la Corte di appello di Venezia accoglieva in parte l’appello proposto da B.L. nei confronti di C.P. avverso la decisione del Tribunale di Padova, sezione distaccata di Este, condannando C.P. al pagamento della somma di Euro 387,34 a seguito di compensazione tra le varie postazioni di dare ed avere (per canoni di locazione, deposito cauzionale e relativi interessi) e della ulteriore somma di Euro 438,99 per danni causati dal C. all’appartamento dallo stesso già condotto in locazione, di proprietà del B..

Questo ultimo importo era così determinato, tenuto conto della rivalutazione maturata sino al momento della decisione. Su questa somma dovevano essere calcolati gli interessi legali a decorrere dalla data della consulenza tecnica (20 gennaio 1997) fino al saldo.

Avverso tale decisione il C. ha proposto ricorso per cassazione sorretto da quattro motivi, illustrati da memoria.

Resiste il B. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente denuncia omessa insufficiente, contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, nonchè omesso esame di documenti decisivi (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

I giudici di appello avevano rigettato l’appello incidentale con il quale il C. aveva censurato la decisione di primo grado, la quale aveva ritenuto erroneamente – non provato il pagamento di un canone superiore a quello stabilito in contratto.

Numerosi elementi documentali deponevano in tal senso. Di essi il giudice di secondo grado, cadendo nel medesimo errore in cui era incorso il Tribunale, non aveva tenuto conto.

Non attendibile appariva la versione fornita dal B., il quale – pur ammettendo di aver ricevuto alcuni assegni dell’importo di L. 500.000 ciascuno (in luogo delle L. 400.000, previste in contratto) – aveva dichiarato che il conduttore aveva emesso detti assegni per ottenere liquidità, per la differenza di L. 100.000.

Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la nullità della sentenza o del procedimento (art. 360 c.p.c., n. 4) in relazione alla L. n. 392 del 1978, art. 79, nonchè omessa pronuncia su motivo di appello, e difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Sulla domanda riconvenzionale proposta dal C. il primo grado (avente ad oggetto somme corrisposte in più rispetto al canone concordato) rigettata dal Tribunale, con pronuncia censurata in appello, la Corte non aveva pronunciato.

Tra l’altro – rileva ancora il ricorrente – avrebbe dovuto tenersi conto del fatto che il periodo di effettivo godimento dell’immobile aveva avuto inizio con l’11 novembre 1991, sicchè il canone relativo al primo mese doveva essere rapportato a tale durata.

Osserva il Collegio:

i due motivi, da esaminare congiuntamente in quanto connessi tra di loro, non sono fondati.

Con essi, infatti, il ricorrente sollecita a questa Corte una diversa interpretazione delle risultanze processuali, inammissibile in questa sede.

La Corte Territoriale ha richiamato i risultati della consulenza tecnica di ufficio, disposta dal Tribunale onde accertare il canone dovuto per legge (ai sensi della l. n. 392 del 1978) ed, operate le opportune compensazione tra canoni rivalutati secondo gli indici ISTAT e deposito cauzionale, maggiorati entrambi degli interessi di legge, ha rettificato l’importo ancora dovuto al B. quantificandolo in l. 750.000 (pari ad Euro 387,34).

I giudici di appello hanno rilevato che nessuna prova delle somme corrisposte in più rispetto alL’equo canone era, stata fornita dal C. (pag. 10 sentenza impugnata: vi era prova solo del pagamento della prima mensilità) ed anzi avevano sottolineato che – dai calcoli effettuati dall’ausiliare del giudice – era comunque emerso che il conduttore, in tutto l’arco del periodo, aveva corrisposto un canone inferiore a quello di legge, secondo le previsioni contrattuali.

Quanto ai danni lamentati dal locatore, dopo aver chiarito che gli stessi risultavano di ben scarsa consistenza, la Corte Territoriale ha provveduto alla quantificazione degli stessi, tenendo conto della sommaria relazione prodotta da ciascuna delle parti, ritenendo la superfluità della prova per testi articolata dall’attore e la inutilità di una consulenza tecnica di ufficio.

Con il terzo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza o del procedimento (art. 360 c.p.c., n. 4) in relazione all’art. 1592 c.p.c., comma 2, per omessa pronuncia su un motivo di appello e difetto di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.

La Corte territoriale, secondo il ricorrente, aveva omesso ogni pronuncia in ordine alla domanda di compensazione, dallo stesso proposta, tra le somme spettanti al conduttore a titolo di miglioramenti ed addizioni apportate all’immobile e le somme eventualmente dovute a titolo di danni provocati all’immobile.

Il mancato esame della richiesta di compensazione, avanzata dal conduttore in primo grado e reiterata in grado di appello, costituiva omesso esame di un punto decisivo della controversia, tale da determinare la nullità della decisione.

Tra l’altro, il locatore non aveva sollevato alcuna contestazione in ordine a tale richiesta, omettendo di prender posizione sul punto.

Anche questo motivo è privo di fondamento.

Il ricorrente non specifica neppure quali migliorie sarebbero state apportate, nè ha provveduto a quantificare il valore delle stesse.

Costituisce, tra l’altro, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, quello secondo il quale: “Nel contratto di locazione, il diritto del conduttore alla indennità’ per i miglioramenti della cosa locata presuppone, ai sensi dell’art. 1592 cod. civ., che le relative opere siano state eseguite con il consenso del locatore, e tale consenso, importando cognizione dell’entità, anche economica, e della convenienza delle opere, non può essere implicito, nè può desumersi da atti di tolleranza, ma deve concretarsi in una chiara ed in equivoca manifestazione di volontà volta ad approvare le eseguite innovazioni, così che la mera consapevolezza (o la mancata opposizione) del locatore riguardo alle stesse non legittima il conduttore alla richiesta dell’indennizzo”.

(Cass, n. 2494 del 2009, 17861 del 2007).

Nel caso di specie, nessuna prova del consenso del locatore era stata offerta dal C., sicchè correttamente i giudici di appello non hanno tenuto conto delle dedotte migliorie, ai fini del calcolo delle opposte partite di dare ed avere.

Fondato, invece, appare l’ultimo motivo con il quale si deduce omessa, insufficiente ed erronea motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) in relazione all’art. 1224 c.c..

Infatti, la Corte di appello ha – da un lato determinato in L. 700.000 i danni causati all’immobile, provvedendo alla rivalutazione degli stessi fino alla data della decisione – dall’altro – ha riconosciuto gli interessi legali, sulla intera somma rivalutata, dalla data della consulenza tecnica di ufficio sino al saldo (anzichè da quella della decisione di secondo grado, con la quale era stata determinata all’attualità la somma dovuta dal C. a titolo di danni).

In tal modo, tuttavia, i giudici di appello non hanno tenuto conto dei principi più volte affermati da questa Corte in materia di interessi e rivalutazione (ex plurimis, Cass. S.U. n. 1712 del 17 febbraio 1995).

Il quarto motivo deve pertanto essere accolto, ma no essendovi necessità di accertamenti di fatto, la causa può essere decisa da questa Corte nel merito (ex art. 384 c.p.c.) limitando la condanna del C. al pagamento degli interessi sull’importo riconosciuto a titolo di risarcimento dei danni dalla data della decisione di secondo grado.

Sussistono giusti motivi, in relazione alle questioni trattate ed all’esito complessivo della lite, per disporre la integrale compensazione delle spese di questo giudizio di cassazione e del giudizio di appello.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, rigetta gli altri.

Cassa in relazione alle censure accolte e, decidendo nel merito, condanna il C. al pagamento degli interessi dalla data della sentenza di secondo grado.

Compensa le spese di questo giudizio di cassazione e del giudizio di appello.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2010

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