Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 700 del 13/01/2011

Cassazione civile sez. II, 13/01/2011, (ud. 27/05/2010, dep. 13/01/2011), n.700

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12668-2008 proposto da:

S.A., domiciliato ex art. 366 c.p.c., comma 2, presso la

cancelleria presso la CORTE DI CASSAZIONE in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

rappresentato e difeso dall’avvocato DE LUCA DANIELE, giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. FERRARI

12, presso lo studio dell’avvocato SMEDILE SERGIO, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato VOLPONI GAUDENZIO, giusta procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1211/2007 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA del

20.10.06, depositata il 31 /10/2007;

– udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/05/2010 dal Consigliere Relatore Dott. IPPOLISTO PARZIALE;

– udito per il controricorrente l’Avvocato Sergio Smedile che si

riporta agli scritti.

– sentito il P.G. in persona del Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che

nulla osserva rispetto alla relazione ex art. 380-bis c.p.c..

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. – Parte ricorrente, S.A., impugna la sentenza della Corte di appello di Bologna n. 1211 del 2007, depositata il 31 ottobre 2007, che rigettava il suo appello avverso la sentenza del Tribunale di Parma n. 10306 del 2001, che, giudicando sulla domanda proposta da T.E. nei confronti di G.E., aveva respinto la domanda avanzata dal T. ex art. 2932 c.c. con richiesta di esecuzione specifica in favore del S.A., al quale il T. aveva nel frattempo promesso la vendita.

L’appello veniva proposto dal S., che si qualificava come “cessionario della posizione contrattuale del T.”.

La Corte di appello di Bologna rigettava l’appello, rilevando la carenza di specificità dei motivi a fronte della affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo la quale l’inadempimento del T. era consistito nel non aver provveduto ad effettuare il frazionamento del terreno, obbligo assunto nel preliminare. Tale affermazione non aveva costituito oggetto di specifico motivo di impugnazione, che genericamente aveva sostenuto l’inesistenza dell’inadempimento.

2. Resiste con controricorso la parte intimata.

3. – Parte ricorrente articola un unico motivo col quale denuncia violazione dell’art. 342 c.p.c., ritenendo che erroneamente la Corte territoriale aveva affermato la carenza di specificità dei motivi, che invece risultavano chiaramente dall’atto di impugnazione, posto che “il S. ha riproposto, come motivi di appello, tutte le domande e le eccezioni che erano state proposte in primo grado e disattese dal primo giudice”.

4. – Attivata procedura ex art. 375 c.p.c., il consigliere relatore delegato ha depositato relazione con la quale ritiene che il ricorso possa essere dichiarato inammissibile per mancanza o inidoneità dei quesiti di cui all’art. 366 bis c.p.c. e comunque rigettato perchè infondato. La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti.

5. – Non sono state depositate memorie.

6. – II ricorso è inammissibile.

6.1 – II ricorso è inammissibile in quanto, soggetto ratione temporis alla disciplina di cui all’art. 366 bis c.p.c., il proposto motivo per violazione dell’art. 342 c.p.c. non contiene il prescritto quesito di diritto. Alla medesima conclusione si perviene, d’altronde, anche ove si voglia seguire quella parte della giurisprudenza di legittimità che ritiene non necessaria la formulazione del quesito di diritto ove, con il motivo ex art. 360 c.p.c., n. 3, si denunzino errores in procedendo. Come si è riferito in parte espositiva, la corte territoriale ha dichiarato inammissibile l’appello del S. sulla considerazione dell’inottemperanza dell’appellante all’onere, posto dall’art. 342 c.p.c., di formulare motivi specifici di gravame e ciò in quanto, nell’atto introduttivo del gravame stesso, aveva sostenuto che non vi fossero stati inadempimenti da parte del suo dante causa T. e che il rogito non era stato stipulato perchè era necessario il frazionamento, ma non aveva confutato le argomentazioni utilizzate dal primo giudice che proprio nella mancata predisposizione del frazionamento, su di lui incombente per contratto, aveva ravvisato l’inadempimento del T.. Tali essendo il tenore e la motivazione della sentenza di secondo grado, le ragioni della sua impugnazione in sede di legittimità dovevano, dunque, essere limitate nelle argomentazioni del ricorrente – e devono esserlo comunque nell’esame di questa Corte – alla sola questione della specificità o meno dei motivi dell’appello e della consequenziale ammissibilità o meno di tale gravame in relazione all’accertamento di detto suo condizionante requisito; mentre era ed è del tutto ultroneo trattare della questione di merito, dacchè, ove il ricorso avverso la statuizione d’i-nammissibilità dell’appello fosse da ritenere fondato, questa Corte non ne potrebbe, in ogni caso, trattare, dovendosi far luogo, in tale ipotesi, ad una pronunzia limitata alla cassazione con rinvio onde la questione stessa venga sottoposta da parte del giudice di secondo grado a quell’esame, che nel giudizio a quo non è stato compiuto.

Quanto al pertinente thema decidendum, ove si seguisse la minoritaria tesi per cui la verifica dell’osservanza dell’onere di specificità dei motivi d’appello non sarebbe direttamente effettuabile dalla Corte di cassazione, dacchè l’interpretazione del relativo atto è riservata al giudice del merito ed implica valutazioni di fatto sottratte al controllo di legittimità salvo sotto il profilo della giuridica correttezza del relativo procedimento e della logicità del suo esito (Cass. 1.2.07 n. 2217, 22.2.05 n. 3538, 14.7.92 n. 8503), la reiezione del presente ricorso troverebbe immediata giustificazione nella consequenzialità della pronunzia del giudice d’appello all’accertata omessa impugnazione delle ragioni per le quali il primo giudice aveva disatteso le tesi dell’attore.

Al medesimo risultato si perviene, tuttavia, anche ove si segua la difforme e prevalente tesi per cui la specificità dei motivi d’impugnazione, richiesta dall’art. 342 c.p.c., è verificabile in sede di legittimità direttamente, poichè la relativa censura e riconducibile nell’ambito dell’error in procedendo per violazione della norma processuale di cui all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, non riguardando l’interpretazione dell’atto di appello – in quanto tale riservata al giudice del merito – ma risolvendosi nel convincimento della mancanza di un’effettiva censura alla decisione di primo grado, vizio che può essere direttamente delibato in sede di legittimità mediante esame diretto degli atti, anche in omaggio al precetto costituzionale sul giusto processo (Cass. 15.1.09 n. 806, 14.8.08 n. 21676, 24.11.05 n. 24817, 5.4.05 n. 7055, 27.1.04 n. 1456); di tal che e anche consentito al giudice di legittimità, l’esame degli atti di causa.

Dal quale esame risulta, infatti, che il tribunale era pervenuto alla pronunzia diffusamente esplicitando le ragioni del raggiunto convincimento.

Si tenga, quindi, presente quanto ripetutamente affermato da questa Corte in ordine all’art. 342 c.p.c., comma 1, per il quale l’onere della specificazione dei motivi d’appello ha la duplice funzione di delimitare l’ambito della cognizione del giudice di secondo grado, giusta il principio tantum devolutum quantum impugnatum, e di consentire il puntuale esame delle critiche mosse alla sentenza contestata, onde è assolto solo ove l’atto introduttivo dell’impugnazione contenga argomentate ragioni di doglianza su ciascuno dei capi della sentenza di primo grado che con esso l’appellante intende assoggettare a censura; pertanto, poichè il giudizio d’appello ha natura di revisio prioris instantiae solo alla stregua dei motivi di gravame e non consente la mera richiesta d’un iudicium novum, non è sufficiente che la sentenza di primo grado sia stata impugnata nella sua interezza, e, sebbene l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno dell’appello, possano anche sostanziarsi nella riprospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, come riferisce il ricorrente, è, tuttavia, imprescindibile che, all’esame degli argomenti addotti, emerga una critica adeguata e specifica delle singole autonome ragioni della decisione impugnata, tale da consentire al giudice del gravame una percezione puntuale della contrapposizione tra le argomentazioni svolte con le censure e quelle poste dal primo giudice alla base delle adottate statuizioni.

Orbene, è di tutta evidenza che a tali principi, come correttamente rilevato dal giudice a quo, l’odierno ricorrente, allora appellante, non si è attenuto.

Nell’atto d’appello esso non svolge alcuna critica puntuale alle ragioni essenziali della pronunzia impugnata ed, in tal guisa deducendo, se pure ha indicato l’oggetto della censura alla sentenza di primo grado, non ha per alcun verso motivatamente censurato le argomentazioni con le quali il primo giudice aveva accertato l’inadempimento del T., la sua essenzialità e, quindi, la legittimità del recesso e della ritenzione della caparra da parte del G..

Da notare che lo stesso difetto di specificità si riscontra anche nel ricorso in esame, privo anche d’auto-sufficienza, in quanto, onde utilmente contestare l’impugnata pronunzia, avrebbe dovuto il ricorrente riportare testualmente quei motivi d’appello con i quali avesse, punto per punto, censurato le ragioni giustificative della decisione adottata con la sentenza di primo grado.

7. – Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile e le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese, liquidate in 2.500 (duemilacinquecento) Euro per onorari e 200,00 Euro per le spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2011

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