Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6996 del 24/03/2010

Cassazione civile sez. un., 24/03/2010, (ud. 09/02/2010, dep. 24/03/2010), n.6996

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo Presidente f.f. –

Dott. PAPA Enrico – Presidente di Sezione –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – rel. Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. TIRELLI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13430-2009 proposto da:

B.L. ((OMISSIS)), C.G.,

Z.D., R.G., F.F., S.M.

M., L.S., A.L., S.G.,

T.E., T.L., B.E.M., T.

M., (gli ultimi due nella qualità di eredi di T.Z.),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI MONTE FIORE 22, presso lo

studio dell’avvocato GATTAMELATA STEFANO, che li rappresenta e

difende unitamente agli avvocati SCOCA FRANCO GAETANO, ROMANO VANIA,

CLARIZIA ANGELO, MARONE GHERARDO, CANTORE GERARDO, per deleghe a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA

CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAIAMONTI 25;

– controricorrente –

sul ricorso 20688-2009 proposto da:

M.C. ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA PANAMA 58, presso lo studio degli avvocati MEDUGNO LUIGI,

MAZZARELLI LETIZIA, che lo rappresentano e difendono, per delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA

CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAIAMONTI 25;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 428/2008/A della CORTE DEI CONTI di ROMA,

depositata il 15/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/02/2010 dal Consigliere Dott. ETTORE BUCCIANTE;

uditi gli avvocati Stefano GATTAMELATA, Franco Gaetano SCOCA, in

proprio e per delega dell’avvocato Angelo Clarizia, Gherardo MARONE,

Vania ROMANO, Luigi MEDUGNO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo che ha concluso per l’inammissibilità di

entrambi i ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 9 novembre 2 004 la sezione giurisdizionale per il Lazio della Corte dei conti respinse la domanda proposta dal Procuratore regionale nei confronti di alcuni ufficiali e sottufficiali dell’Aeronautica militare, per ottenere la loro condanna al risarcimento del danno erariale consistito nelle spese occorse per il recupero del D.C. 9 Itavia inabissatosi in prossimità di (OMISSIS).

Impugnata in via principale dal Procuratore regionale e in via incidentale da M.C., T.Z., B. B., F.F., Z.D., B. L., C.G., S.L. e S.M. M., la decisione fu confermata dalla prima sezione giurisdizionale centrale della Corte dei conti, che con sentenza del 9 ottobre 2006 rigettò tutti i gravami e dichiarò “compensate le spese del doppio grado di giudizio”, ritenendo in motivazione sussistenti “giusti motivi, in ragione della complessità della vicenda e delle connesse problematiche in fatto ed in diritto”.

Su sollecitazione del Ministero della difesa, al quale gli originari convenuti avevano chiesto il rimborso dei compensi dovuti ai loro difensori, il Procuratore generale presso la Corte dei conti ha promosso un giudizio di interpretazione della sentenza di appello, nel quale si sono costituiti S.M.M., L.S., T.Z., F.F., Z.D., B. L., C.G., M.C., S. G., A.T., R.G., P.A., Ma.Cl., I.V. e A.U..

Con sentenza del 15 ottobre 2008 la prima sezione giurisdizionale centrale della Corte dei conti ha deciso che la statuizione sulle spese, contenuta nella propria precedente sentenza, “si interpreta e va letta nel senso che con la stessa il Collegio Giudicante ha inteso compensare tra le parti in causa sia le spese di giustizia che quelle legali per onorari e diritti di difesa sostenute dai soggetti ivi prosciolti e che tale compensazione è perfettamente compatibile con quel pronunciato assolutorio; di talchè ogni richiesta di rimborso delle indicate spese legali da parte dei prosciolti nei confronti dell’Amministrazione di appartenenza non trova giuridico fondamento”.

Contro tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, in base a tre motivi poi illustrati anche con memoria, B.L., C.G., Z.D., F.F., S. M.M., L.S., A.L., S. G., R.G., B.E.M., T. L., T.E. e T.M., gli ultimi quattro eredi di T.Z.. Un altro ricorso per cassazione contro la stessa sentenza è stato proposto da M.C., in base a un motivo. Il Procuratore generale presso la Corte dei conti si è costituito con controricorsi nell’uno e nell’altro procedimento.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

In quanto proposte separatamente contro la stessa sentenza, le due impugnazioni vengono riunite in un solo processo, in applicazione dell’art. 335 c.p.c..

Di entrambi i ricorsi il Procuratore generale presso la Corte dei conti ha contestato pregiudizialmente l’ammissibilità, osservando che nel primo i quesiti di diritto sono esposti in maniera inadeguata, mentre nel secondo mancano del tutto.

L’eccezione, che è stata fatta propria in udienza anche dal Procuratore generale presso questa Corte, va disattesa.

Nel ricorso di B.L. ed altri l’illustrazione dei motivi si conclude con la formulazione di quesiti che consentono l’individuazione precisa sia dei principi che secondo i ricorrenti avrebbero dovuto essere applicati dal giudice a quo, sia della fattispecie concreta cui la decisione si riferisce. Di tali requisiti neppure è priva, sebbene non intitolata come “quesito di diritto”, la frase finale che nel ricorso di M.C. precede le conclusioni.

Si deve invece riconoscere che le questioni poste dai ricorrenti, come pure è stato rilevato dal resistente, solo in parte sono pertinenti alla materia che poteva essere devoluta alla cognizione di questa Corte, poichè investono anche la sentenza, passata in giudicato, che è stata oggetto di interpretazione con quella ora impugnata. A entrambe, inoltre, vengono rivolte censure con le quali non si nega soltanto la sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti, ma anche l’esattezza nel merito di ciò che è stato deciso: viene contestato sia che si potesse provvedere sui compensi dovuti ai difensori dei convenuti, sia che si trattasse di spese suscettibili di compensazione, sia che fosse corretta l’interpretazione data alla relativa pronuncia. Si tratterebbe, in ipotesi, di errori di giudizio, non implicanti il superamento dei limiti esterni della giurisdizione contabile e quindi insindacabili in questa sede, dati i limiti stabiliti dall’art. 111 Cost. e art. 362 c.p.c..

Per quanto attiene alla verifica qui unicamente consentita – che concerne dunque soltanto la seconda delle sentenze suddette e l’an della giurisdizione che vi è stata esercitata, non il quomodo – i ricorrenti deducono che il potere della Corte dei conti di interpretare le proprie decisioni è limitato a quelle che comportano, diversamente che nella specie, la necessità di esecuzione.

Le norme che in proposito vengono in considerazione sono l’art. 25 del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti, approvato con il R.D. 13 agosto 1933, n. 1038, il Testo Unico delle Leggi sulla dei conti, approvato con il R.D. 12 luglio 1934, n. 1214, art. 78 e il D.P.R. 24 giugno 1998, n. 260, art. 6 recante norme per la semplificazione dei procedimenti di esecuzione delle decisioni di condanna e risarcimento di danno erariale, i quali rispettivamente dispongono: “Se per l’esecuzione di una decisione della Corte sorga questione sulla interpretazione di essa, si deve proporre giudizio dinanzi allo stesso collegio che l’ha pronunciata, mediante atto di citazione che deve essere notificato a tutte le parti in causa che vi abbiano interesse”; “Spetta alla Corte il giudizio sulle questioni di interpretazione delle sue decisioni”;

“Qualora in sede di esecuzione sorgano questioni di interpretazione delle sentenze di condanna, il giudizio di interpretazione … può essere proposto dal procuratore regionale competente, o dal titolare dell’Ufficio”.

Dal testo di queste disposizioni, nonostante la dizione generica contenuta nella seconda, risulta chiaro che il potere di interpretare le proprie sentenze è stato attribuito alla Corte dei conti per risolvere le questioni che eventualmente insorgano in ordine alla loro “esecuzione”. Si deve dunque trattare di pronunce non “autoapplicative”, ma necessitanti di attuazione pratica, mediante un’attività di conformazione al decisum della realtà giuridica o fattuale. Lo si desume, oltre che dalla lettera, anche dallo scopo delle norme in considerazione, introdotte in epoca in cui il Consiglio di Stato in via pretoria aveva ampliato l’ambito del giudizio di ottemperanza, allora di esclusiva sua competenza, estendendolo dalle sentenze dei giudici ordinar a quelle dei giudici amministrativi: si è voluto che l’interpretazione, costituente il momento di maggior rilievo, anche se eventuale, di quel giudizio, fosse riservato per le sue pronunce alla Corte dei conti, stante la parità di rango dei due organi.

Ma la L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 10 ha devoluto al giudice contabile, relativamente alle sue sentenze, la giurisdizione di ottemperanza, sicchè l’unico spazio che ora residua, per il giudizio autonomo di interpretazione, è limitato alle decisioni di condanna e risarcimento del danno erariale, ove sorgano questioni sulla loro esecuzione intrapresa in via esattoriale, secondo le previsioni del citato D.P.R. n. 260 del 1998.

D’altra parte, accertare la portata del capo della sentenza del 9 ottobre 2006, con cui è stata disposta la compensazione delle spese di giudizio, esula comunque dalla giurisdizione, anche di ottemperanza, della Corte dei conti, vertendosi in un campo riservato alla cognizione del giudice amministrativo (al quale in effetti gli interessati si erano rivolti, impugnando davanti al Tribunale amministrativo del Lazio i provvedimenti del Ministero della difesa, di rigetto delle loro domande di rimborso degli onorari spettanti ai rispettivi difensori: provvedimenti motivati proprio in base al rilievo che si trattava di spese delle quali era stata disposta la compensazione).

La materia è attualmente disciplinata dal D.L. 25 marzo 1997, n. 67, art. 18 convertito con L. 23 maggio 1997, n. 135, che dispone: “Le spese legali relative a giudizi di responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conelusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato”. La norma ha formato oggetto di due successive interpretazioni autentiche: con il D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 10-bis convertito con L. 2 dicembre 2005, n. 248, si è stabilito che deve essere intesa “nel senso che il giudice contabile, in caso di proscioglimento nel merito, e con la sentenza che definisce il giudizio, ai sensi e con le modalità di cui all’art. 91 c.p.c., liquida l’ammontare degli onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto, fermo restando il parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato da esprimere sulle richieste di rimborso avanzate all’amministrazione di appartenenza”; con il D.L. 1 luglio 2009, n. 78, art. 17 convertito con L. 3 agosto 2009, n. 102, si è inserita nella precedente disposizione interpretativa la frase “non può disporre la compensazione delle spese di giudizio e” tra le parole “procedura civile” e “liquida l’ammontare”.

La sentenza di proscioglimento nel merito costituisce dunque il presupposto di un credito che è attribuito dalla legge e che il giudice contabile, per i giudizi di sua competenza, è deputato a quantificare, salva comunque la definitiva determinazione del suo ammontare da compiere, su parere dell’Avvocatura dello Stato, con provvedimento dell’amministrazione di appartenenza.

La controversia cui tale provvedimento eventualmente da luogo esula dalla giurisdizione della Corte dei conti e appartiene a quella del giudice del rapporto di lavoro – da cui il diritto al rimborso promana – intercorrente tra l’amministrazione e il suo dipendente: il giudice ordinario, nella generalità dei casi; il giudice amministrativo, in ipotesi di impiego non “privatizzato”, come quello dei militari.

Competerà pertanto al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, già adito dai ricorrenti, stabilire; quale effetto – preclusivo (o non) dell’esercizio del diritto suddetto – sia da riconnettere alla compensazione delle spese di giudizio, disposta con la sentenza della Corte dei conti del 9 ottobre 2006. Stabilendo che essa va interpretata nel senso che “ogni richiesta di rimborso delle indicate spese legali da parte dei prosciolti nei confronti dell’Amministrazione di appartenenza non trova giuridico fondamento”, si è inteso pregiudicare, in maniera vincolante, una decisione; da adottare in altra sede giurisdizionale.

I ricorsi riuniti debbono pertanto essere accolti, nei limiti risultanti dalle considerazioni che precedono, con conseguente cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, stante il difetto di giurisdizione della Corte dei conti.

Nulla va disposto in ordine alle spese di giudizio, data la qualità di parte solo in senso formale del controricorrente Procuratore generale presso la Corte dei conti.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li accoglie nei sensi di cui in motivazione; cassa senza rinvio la sentenza impugnata.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2010

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