Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6992 del 23/03/2010

Cassazione civile sez. III, 23/03/2010, (ud. 28/01/2010, dep. 23/03/2010), n.6992

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 18664/2008 proposto da:

S.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TOMMASO

D’AQUINO 104, presso lo studio dell’avvocato DE BERARDINIS DANIELA,

rappresentato e difeso dall’avvocato DE VITA Bartolo, giusta mandato

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ENEL DISTRIBUZIONE SPA – Società con socio unico soggetta a

direzione e coordinamento di ENEL SPA, in persona del Presidente del

Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA MICHELE MERCATI 51, presso lo studio

dell’avvocato BRIGUGLIO Antonio, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GUERRA PIETRO, giusta procura speciale alle

liti per atto notaio Nicola Atlante di Roma, in data 30.7.08, n. rep.

28993, che viene allegata in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 289/2008 del TRIBUNALE di VALLO DELLA LUCANIA,

depositata il 30/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/01/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO SEGRETO.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. EDUARDO VITTORIO

SCARDACCIONE.

 

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

che è stata depositata in cancelleria la seguente relazione, regolarmente comunicata al P.G. e notificata ai difensori: “Il relatore, Cons. Dott. Antonio Segreto, letti gli atti depositati, osserva:

1. Il Tribunale di Vallo della Lucania, con sentenza n. 289 depositata il 30.4.2008, in riforma di una sentenza del giudice di pace di Vallo della Lucania, con cui l’Enel Distribuzione s.p.a.

veniva condannata al risarcimento dei danni patiti da S. D. a seguito del black out elettrico verificatosi il (OMISSIS), rigettava la domanda e riteneva che non era stato provato il danno patrimoniale dell’avaria di generi alimentari conservati nel frigorifero nè il danno esistenziale.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la parte attrice.

Resiste con controricorso l’Enel Distribuzione s.p.a..

2. Con il primo motivo di ricorso la parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1, in quanto il tribunale erroneamente avrebbe ritenuta la prova testimoniale insufficiente, per non aver specificato la tipologia dei prodotti alimentari che si sarebbero deperiti, nonchè il tipo di congelatore utilizzato, mentre tali elementi erano dettagliatamente specificati nella deposizione testimoniale.

3. Il motivo di ricorso è inammissibile.

Per quanto sia prospettato come violazione di norma di legge, la parte ricorrente lamenta il contrasto tra quanto dichiarato effettivamente dal teste in merito ai cibi deteriorati ed al tipo di elettrodomestico utilizzato (esattamente e dettagliatamente specificati secondo la parte ricorrente) e quanto ritenuto dal giudice di appello (assolutamente non specificati, donde la mancanza di prova sul punto).

La censura secondo cui la ricostruzione fattuale, come effettuata dalla sentenza impugnata, è in contrasto con le risultanze probatorie, si risolve in una censura di travisamento del fatto.

Il travisamento del fatto non può costituire motivo di ricorso per Cassazione, poichè, risolvendosi in un’inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo, costituisce un errore denunciabile con il mezzo della revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4, Cass. 10/03/2006, n. 5251;

Cass. 20/06/2008, n. 16809; Cass. 30.1.2003, n. 1512; Cass. 27.1.2003, n. 1202.

4. Con il secondo motivo di ricorso la parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto: art. 116 c.p.c, in relazione all’art. 115 c.p.c., artt. 2967, 1218, 1223 e 1226 c.c..

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: Dica la S.C. se con la sentenza n. 909/2007 emessa dal tribunale di Vallo della Lucania, di cui si chiede la cassazione, vi è stata da parte del giudice di merito una violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 115 c.p.c., art. 2697 c.c., nonchè degli artt. 1218, 1223 e 1226 c.c..

5. Il motivo è inammissibile per inadeguatezza del quesito, che è generico ed astratto e, quindi, non conforme ai requisiti richiesti dall’art. 366 bis c.p.c..

E’ inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, il ricorso per cassazione nel quale il quesito di diritto si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo (Cass. 25.9.2007, n. 19892), come nella fattispecie. Il quesito di diritto deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, poichè la norma di cui all’art. 366 bis c.p.c., è finalizzata a porre il giudice della legittimità in condizione di comprendere – in base alla sola sua lettura – l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice e di rispondere al quesito medesimo enunciando una regula iuris (Cass. Sez. Unite, 05/02/2008, n. 2658).

6. Con il terzo motivo di ricorso la parte ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione dell’impugnata sentenza, circa un fatto decisivo e controverso, quale è l’accertamento della responsabilità per inadempimento contrattuale dell’Enel distribuzione nel black-out del (OMISSIS).

7. Il motivo è inammissibile per inconferenza del motivo. Infatti il tribunale ha rigettato la domanda non perchè avesse ritenuta non provata la responsabilità contrattuale dell’Enel. La sentenza impugnata, implicitamente applicando in modo corretto i principi sul riparto dell’onere della prova in tema di responsabilità contrattuale per inadempimento (Cass. S.U. 30 ottobre 2001, n. 13533;

S.U. n. 577/2008), ha ritenuto che competeva all’Enel distribuzione provare che l’inadempimento nella fornitura di energia era a lei non imputabile e che tale prova non era stata fornita.

La stessa sentenza ha rigettato la domanda, non perchè non fosse provato l’inadempimento colpevole della convenuta appellante, ma perchè la parte attrice non aveva provato il danno subito, la cui prova, invece gravava sulla parte attrice, creditrice della prestazione non adempiuta.

La consolidata giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, statuito che la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4, con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio (ex multis, Cass. 07/11/2005, n. 21490;

Cass. 24/02/2004, n. 3612; Cass. 23/05/2001, n. 7046). L’inconferenza del motivo – infatti – comporta che l’eventuale accoglimento della censura risulta comunque privo di rilevanza nella fattispecie, in quanto inidoneo a risolvere la questione decisa con la sentenza impugnata (Cass. Sez. Unite, 12/05/2008, n. 11650).

8. Con il quarto motivo di ricorso la parte ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa il mancato riconoscimento del danno esistenziale, in relazione agli artt. 2, 18, 21 e 41 Cost..

Assume la parte ricorrente che erroneamente la sentenza impugnata ha escluso l’esistenza di un danno esistenziale, ritenendo che l’inadempimento non avesse inciso su valori costituzionalmente garantiti della persona umana.

9.1. Il motivo è manifestamente infondato.

A seguito dello specifico arresto delle S.U. n. 26972/2008, il danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c., è risarcibile, oltre che nei casi specificamente previsti dalla legge, solo nel caso di danno conseguente a lesione di valori della persona umana, costituzionalmente garantiti.

Le S.U. – inoltre – hanno escluso che possa sussistere una generica categoria di danno esistenziale ed hanno affermato palesemente non meritevoli di tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno esistenziale, i pregiudizi che consistano in disagi, fastidi, disappunti, ansie e in ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale. La gravità dell’offesa costituisce requisito ulteriore per l’ammissione a risarcimento dei danni non patrimoniali alla persona conseguenti alla lesione di diritti costituzionali inviolabili.

9.2. Il diritto deve essere inciso oltre una certa soglia minima, cagionando un pregiudizio serio. La lesione deve eccedere una certa soglia di offensività, rendendo il pregiudizio tanto serio da essere meritevole di tutela in un sistema che impone un grado minimo di tolleranza.

Il filtro della gravità della lesione e della serietà del danno attua il bilanciamento tra il principio di solidarietà verso la vittima, e quello di tolleranza, con la conseguenza che il risarcimento del danno non patrimoniale è dovuto solo nel caso in cui sia superato il livello di tollerabilità ed il pregiudizio non sia futile. Entrambi i requisiti devono essere accertati dal giudice secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico.

9.3. Nella fattispecie il tribunale ha ritenuto che non era provata una rilevante lesione di diritti primari della persona umana, mentre si erano verificati solo una minima limitazione dell’attività quotidiana e modesti disagi.

Il motivo non indica quali gravi lesioni di valori costituzionalmente garantiti e quali danni seri abbia subito la parte ricorrente, che non siano stati valutati dal giudice, pur essendo stati accertati in giudizio”.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

che il Collegio condivide i motivi in fatto e diritto esposti nella relazione, che non sono superati dalle osservazioni contenute nella memoria di parte ricorrente;

che il ricorso deve, perciò, essere rigettato;

che le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 375 e 380 bis c.p.c..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione sostenute dalla resistente e liquidate in complessivi Euro 400,00, di cui Euro 100,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2010

 

 

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