Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6991 del 25/03/2011

Cassazione civile sez. II, 25/03/2011, (ud. 15/02/2011, dep. 25/03/2011), n.6991

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.R. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA SAVOIA 23, presso lo studio dell’avvocato IRTI NICOLA,

che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COLAGRANDE

ROBERTO, MAMMONE MICHELE;

– ricorrente –

contro

HOTEL SASSONGHER DI PESCOSTA RICCARDO & C SAS P.I. (OMISSIS),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BISSOLATI 76, presso lo studio

dell’avvocato QUATTROCCHI PAOLO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato BELARDI SILVIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 99/2005 della SEZ. DIST. CORTE D’APPELLO di

BOLZANO, depositata il 27/04/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/02/2011 dal Consigliere Dott. LUCIO MAZZIOTTI DI CELSO;

udito l’Avvocato Lorenzo Albanese Ginammi con delega depositata in

udienza dell’Avv. Colagrande Roberto difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Boccia Iolanda con delega depositata in udienza

dell’Avv. Quattrocchi Paolo difensore del resistente che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.R. conveniva in giudizio la s.a.s. Hotel Sassongher esponendo: che esso attore era proprietario di un terreno confinante con quello della società convenuta; che, con contratto 6/6/1980, era stata costituita a carico del proprio fondo la servitù di tollerare la costruzione di una piscina coperta lungo il confine con il terreno della convenuta senza il rispetto delle distanze regolamentari: che tale costruzione era stata realizzata neL 1980; che il diritto di servitù era stato invocato dal controparte per ampliare la costruzione già realizzata; che ciò costituiva violazione dell’art. 1067 c.c. perchè rendeva più gravosa la condizione del fondo servente.

L’attore chiedeva quindi: 1) accertare e dichiarare che la convenuta non aveva diritto a realizzare sul confine l’ulteriore progetto di ampliamento della costruzione già realizzata; 2) accertare e dichiarare che l’atto di costituzione di servitù aveva per oggetto solo la costruzione della piscina coperta nelle dimensioni allora previste dal relativo progetto; 3) accertare e dichiarare che la convenuta era obbligata a costituire a favore del terreno di esso istante uguale diritto di servitù; 4) in subordine condannare la convenuta ai risarcimento dei danni subiti da esso attore per il limitato godimento del proprio fondo.

La società convenuta, costituitasi, chiedeva il rigetto della domanda del P. sostenendone l’infondatezza, nonchè l’accertamento del proprio diritto di costruire lungo il confine con la proprietà dell’attore come previsto dal contratto 6/6/1980.

Con memoria ex art. 180 c.p.c. fattore sosteneva che la convenzione in questione era diretta alla costituzione di una servitù di un edificio ancora da costruire il che dava luogo ad un rapporto obbligatorio dal quale scaturivano diritti soggetti alla prescrizione decennale nella specie maturata.

All’udienza ex art. 183 c.p.c. venivano assegnati i termini ex art. 184 c.p.c. e, con memoria del 18/6/2001, l’attore “integrava e precisava” le sue precedenti conclusioni chiedendo: 1) accertare e dichiarare che la convenuta non aveva diritto a realizzare sul confine l’ulteriore progetto di ampliamento della costruzione già realizzata; 2) accertare e dichiarare che l’atto di costituzione di servitù aveva per oggetto solo la costruzione della piscina coperta nelle dimensioni allora previste dal relativo progetto; 3) condannare la convenuta a demolire la parte della costruzione realizzata nel 2000 in violazione delle distanze legali; 4) rigettare la domanda riconvenzionale della convenuta.

Con sentenza 13/2004 l’adito tribunale di Bolzano; riteneva rinunciate le domande di cui ai punti 3), 4) e 5) delle conclusioni indicate nell’atto di citazione in quanto non richiamate in occasione della precisazione definitiva delle conclusioni; rigettava le residue domande ed eccezioni dell’attore; accoglieva la domanda riconvenzionale.

Avverso la detta sentenza il P. proponeva gravame al quale resisteva la società appellata.

Con sentenza 27/4/2005 la corte di appello di Trento rigettava il gravame osservando; che era evidente la differenza tra le domande proposte nell’atto di citazione e quelle formulate nella memoria de 16/6/2001, ossia nella memoria che avrebbe dovuto contenere solo deduzioni istruttorie; che inoltre alcune domande contenute nell’atto di citazione non erano state riproposte nel giudizio di appello; che era sufficiente leggere il contratto 6/6/1980 per constatare che la costituzione di servitù tra i fondi delle parti non aveva alcuna limitazione per cui la società appellata poteva costruire senza rispettare le distanze legali dal fondo del vicino P. il quale aveva il diritto di costruire in aderenza; che proprio a concessione di tale analogo diritto, che non era collegato ad uno specifico progetto, costituiva una conferma della mancanza di limiti quantitativi e qualitativi dei diritti di servitù che le parti si erano reciprocamente concessi con il citato contratto; che la circostanza relativa alla firma apposta ne 1979 dal P. al progetto per la costruzione della piscina realizzata nel 1980 era irrilevante atteso che nel 1979 il contratto di costituzione della servitù non era stato ancora stipulato; che la detta firma era stata necessaria ai fini dell’ottenimento della autorizzazione edificatoria: che la chiarezza della formulazione del contratto, con il quale erano state costituite le reciproche servitù, non lasciava adito a dubbi interpretativi in ordine all’ampiezza delle reciproche concessioni posto che entrambe le parti avevano inteso assicurarsi un vantaggio futuro dal che derivava che, essendo ancora indeterminato il vantaggio a favore del P., il vantaggio della società Hotel Sassongher non poteva rimanere circoscritto alla costruzione della piscina coperta; che nella specie trovava applicazione il comma 1 e non il comma 2 dell’art. 1075 c.c. atteso che la servitù gravava sul fondo del P.; che l’art. 1075 c.c. era stato correttamente applicato in quanto l’utilizzo, da parte della appellata, della servitù dal 1980 al 2000 in misura limitala alla piscina coperta non escludeva la possibilità per la stessa società di sfruttare la servitù per intero come aveva fatto nell’anno 2000.

La cassazione della sentenza della corte di appello di Trento è stata chiesta da P.R. con ricorso affidato a quattro motivi. La s.a.s. Hotel Sassongher ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso P.R. denuncia violazione degli artt. 180 e 183 c.p.c., nonchè vizi di motivazione, deducendo che esso ricorrente su espressa autorizzazione del giudice aveva in primo grado depositato una memoria in data 14/3/2001 nella quale aveva specificato le conclusioni rassegnate nell’atto introduttivo del giudizio anche alla luce delle eccezioni e delle domande della convenuta. La posizione processuale e sostanziale di esso ricorrente è stata definitivamente rappresentata con la detta memoria del 14/3/2001 posto che le successive memorie non hanno apportato alcuna integrazione o mutazione della domanda. La corte di appello si è limitata ad effettuare un confronto superficiale tra i citati atti ed ha ritenuto sufficiente tale confronto per affermare la proposizione di domande nuove omettendo di svolgere la necessaria indagine in ordine al contenuto degli atti confrontati e senza fornire alcuna specificazione in ordine al concreto ed effettivo “profilo di novità” delle domande proposte nei detti atti. La memoria ex art. 180 c.p.c. non ha formato oggetto di esame e di giudizio da parte della corte di appello.

Il motivo è infondato come risulta con immediatezza dalla consentita lettura: dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado e delle conclusioni ivi formulate; della memoria ex art. 180 c.p.c. depositata dall’attore P.; della memoria ex art. 184 c.p.c. – depositata dal P. in data 18/6/2001 – e delle conclusioni ivi precisate; delle conclusioni definitive rassegnate dal P. in primo grado: delle conclusioni contenute nell’atto di appello del P..

Dalla lettura dei detti atti emergono i seguenti dati: a) con la memoria ex art. 180 c.p.c. il P. non formulò alcuna domanda o conclusione nuova o difforme rispetto alle domande e alle conclusioni come articolate nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado; b) con le conclusioni precisate nella memoria ex art. 184 c.p.c. il P. non ripropose tutte le richieste contenute nell’atto di citazione (escludendo alcune ossia: costituzione di analogo diritto di servitù a favore del proprio fondo; condanna della società convenuta al risarcimento dei danni; accertamento della linea di confine tra i due fondi in questione) e formulò domande nuove in quanto diverse da quelle proposte con l’atto di citazione (condanna della convenuta alla demolizione della costruzione realizzata in violazione delle distanze): c) con le conclusioni definitive il P. richiamò le conclusioni rassegnate nella memoria ex art. 184 c.p.c. e non nell’atto di citazione; d) con l’atto di appello vennero riproposte dal P. le domande – contenute nell’atto di citazione e non riformulate nella memoria ex art. 184 c.p.c. – relative alla costituzione di analoga servitù in favore de proprio fondo e all’accertamento della linea di confine.

Dall’esame dei riportati dati processuali appare evidente l’infondatezza della tesi del ricorrente in ordine all’asserita violazione degli artt. 180 e 183 c.p.c. che invece sono stati correttamente applicati dalla corte di appello la cui decisione sul punto – oggetto delle censure mosse con il motivo in esame – è ineccepibile in quanto frutto di una precisa individuazione delle domande come via via formulate dal P. nel corso del giudizio di primo grado. Il giudice di appello ha quindi posto in evidenza la palese novità della domanda di demolizione e di riduzione in pristino inammissibilmente formulata da P. nella memoria ex art. 184 c.p.c. con la quale sono consentite solo precisazioni o modificazioni delle originarie domande, eccezioni e conclusioni e non anche richieste volte ad ampliare il “thema decidendum”.

Va peraltro comunque aggiunto che ove confermata la pronuncia di accoglimento della domanda riconvenzionale della s.a.s. Hotel Sassongher verrebbe meno ogni interesse del P. all’esame della domanda volta alla condanna della detta società alla demolizione di un corpo di fabbrica realizzato nel rispetto e sulla base di quanto previsto dall’atto di costituzione di servitù del 6/6/1980.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia: a) violazione degli art. 1063 c.c., art. 1362 c.c. e segg. e vizi di motivazione; b) violazione degli artt. 1325, 1346, 1418, 1421 c.c. e vizi di motivazione.

In relazione alla prima censura il P. deduce che l’interpretazione fornita dalla corte di appello all’atto di costituzione delle servitù in questione è frutto di una errata applicazione delle norme di legge relative al percorso interpretativo dei titoli costitutivi di servitù la prima delle quali è dettata dall’art. 1063 c.c. che stabilisce un ordine gerarchico tra le fonti regolatrici delle servitù ponendo come fonte primaria il titolo costitutivo del diritto e secondaria i precetti di cui agli artt. 1064 e 1065 c.c. Il giudice di appello avrebbe dovuto fare ricorso ai detti criteri ed ai principi al riguardo elaborati nella giurisprudenza di legittimità che invece non hanno trovato applicazione. L’interpretazione del contratto in questione fornita dalla corte di appello: si pone in contrasto con il tenore letterale del contratto; non ha considerato le circostanze di fatto (nel dettaglio indicate) tenute presenti dalle parti; non ha tenuto conto dello stato dei luoghi e del comportamento delle parti.

Con riferimento alla seconda censura il ricorrente sostiene che la presunta estensione illimitata della servitù renderebbe il contratto nullo – come eccepito nel corso de primo grado del giudizio – per assoluta indeterminatezza o indeterminabilità dell’oggetto del contratto. L’eccezione di nullità non poteva essere disattesa senza una precisa motivazione da parte del giudice di appello il quale invece ha omesso sul punto qualsiasi motivazione.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 1064, 1065 c.c. e dell’art. 1362 c.c. e segg. nonchè vizi di motivazione, deducendo che non è comprensibile se il giudice di appello abbia o meno applicato i criteri di cui agli artt. 1064 e 1065 c.c. Comunque il titolo del 6/6/1980 è esaustivo, ai sensi dell’art. 1063 c.c., al fine di regolare l’estensione della servitù nel senso di consentire alla appellata solo l’edificazione della piscina coperta unico oggetto della previsione dei contraenti. Alla stessa conclusione si perviene applicando i criteri sussidiari di cui agli artt. 1064 e 1065 c.c. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 1029, 1075 e 2034 c.c. nonchè vizi di motivazione, sostenendo che la corte di appello ha errato nell’affermare che l’art. 1029 c.c., comma 2 riguarda edifici già esistenti e nel ritenere applicabile nella specie il comma 1 di tale articolo. Nella specie dal tenore letterale del contratto – nel quale si fa riferimento alla servitù di tollerare la costruzione – si evince lo stretto legame esistente tra il diritto di servitù e la costruzione da edificare: da ciò la costituzione tra le parti di un rapporto obbligatorio con conseguente prescrizione dei diritti derivanti da tale rapporto. La corte di appello ha poi errato nel ritenere applicabile l’art. 1075 c.c. posto che nella specie: il titolo del 6/6/1980 non prevede un’estensione illimitata del diritto di servitù costituito in favore della società: esso P. non avrebbe potuto riconoscere un diritto così ampio con conseguente svalutazione del proprio fondo; il diritto di servitù e stato pienamente esercitato (e consumato) con la costruzione della piscina coperta.

La Corte rileva l’infondatezza delle dette censure che – per evidenti ragioni di ordine logico e per economia di motivazione e di trattazione – possono essere esaminate congiuntamente per la loro stretta connessione ed interdipendenza riguardando tutte (quale più e quale meno sia pur sotto aspetti e profili diversi) le seguenti collegate questioni:

1) interpretazione (nel rispetto o meno dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1063, 1064, 1065 c.c., e art. 1362 c.c. e segg.) del contratto stipulato dalle parti in data 6/6/1980 con il quale venne costituito il diritto di servitù in esame (secondo e terzo motivo);

2) eventuale nullità de detto contratto per indeterminatezza e indeterminabilità dell’oggetto (secondo motivo);

3) prescrizione (art. 1029 c.c., ex comma 2) del diritto della società resistente di ampliare il corpo di fabbrica già realizzato lungo la linea di confine con la proprietà del P. (quarto motivo);

4) conseguenze (ai fini dell’applicazione o meno di quanto disposto dall’art. 1075 c.c.) derivanti dalla utilizzazione per circa venti anni della servitù da parte della resistente limitatamente alla realizzazione della piscina coperta (quarto motivo).

In relazione alle dette questioni va rispettivamente osservato.

1) Con riferimento alla prima questione è appena il caso di richiamare e ribadire il principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità secondo cui l’interpretazione degli atti di autonomia privata si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice del merito: tale accertamento è incensurabile in cassazione se sorretto da motivazione sufficiente ed immune da vizi logici o da errori di diritto e sia il risultato di un’interpretazione condotta nel rispetto delle norme di ermeneutica contrattuale di cui all’art. 1362 c.c. e segg. L’identificazione della volontà contrattuale – che, avendo ad oggetto una realtà fenomenica ed obiettiva, concreta un accertamento di fatto istituzionalmente riservato al giudice di merito – è censurabile non già quando le ragioni poste a sostegno della decisione siano diverse da quelle della parte, bensì quando siano insufficienti o inficiate da contraddittorietà logica o giuridica.

Questa Corte ha anche più volte rilevato che non è sindacabile in sede di legittimità la scelta da parte del giudice del merito del mezzo ermeneutico più idoneo all’accertamento della comune intenzione delle parti, qualora sia stato rispettato il principio del gradualismo, secondo il quale deve farsi ricorso ai criteri interpretativi sussidiari solo quando i criteri principali (significato letterale e collegamento tra le varie clausole contrattuali) siano insufficienti all’individuazione della comune intenzione stessa.

Nella specie la corte di appello ha proceduto all’interpretazione del contratto in questione – e delle relative rilevanti clausole – ed alla valutazione del significato letterale e logico delle espressioni utilizzate dalle parti. Come sopra riportato nella parte narrativa che precede, il procedimento ermeneutico seguito dalla corte di merito – che ha confermato l’interpretazione data al contratto dal tribunale – ha tenuto conto: delle molteplici osservazioni al riguardo formulate nell’atto di appello; del corrispondente analogo diritto di costruire in aderenza in favore del P.;

dell’irrilevanza della circostanza relativa alla firma apposta dal P. al progetto per la costruzione della piscina coperta: del comportamento tenuto dalle parti anche successivo alla conclusione del contratto (mantenimento per circa venti anni del solo manufatto della piscina coperta; richiesta del P. di estensione della servitù anche in proprio favore). Dal complesso della motivazione della sentenza impugnata risulta evidente che la corte di appello è pervenuta al risultato interpretativo criticato dal ricorrente considerando anche lo stato dei luoghi e le circostanze di fatto cui ha fatto riferimento in ricorso il P..

Il procedimento logico-giuridico sviluppato nell’impugnata decisione è ineccepibile, in quanto coerente e razionale, ed il giudizio di fatto in cui si è concretato il risultato dell’interpretazione del contenuto del detto contratto e delle relative clausole è fondato su un’indagine condotta nel rispetto dei comuni canoni di ermeneutica e sorretto da motivazione, adeguata e corretta, immune dai vizi denunciati.

A fronte delle coerenti argomentazioni poste a base della conclusione cui è pervenuto il giudice di appello, è palese che le censure in proposito mosse dal ricorrente devono ritenersi rivolte non alla base del convincimento del giudice, ma, inammissibilmente, al convincimento stesso e, cioè, all’interpretazione del contratto e delle clausole contrattuali in modo difforme da quello auspicato; il P. contrappone all’interpretazione del contratto ritenuta dalla corte di merito la propria interpretazione. Ciò rende manifesto che è stato investito il “risultato” interpretativo raggiunto, il che è inammissibile in questa sede.

Occorre segnalare che l’art. 1063 cod. civ. (al quale ha ripetutamente fatto riferimento il ricorrente) stabilisce una graduatoria delle fonti regolatrici dell’estensione e dell’esercizio delle servitù, ponendo a fonte primaria il titolo costitutivo del diritto, mentre i precetti dettati dai successivi art. 1064 e 1065 rivestono carattere meramente sussidiario. Tali precetti, pertanto, possono trovare applicazione soltanto quando il titolo manifesti al riguardo lacune o imprecisioni non superabili mediante l’impiego di adeguati criteri ermeneutici; ove, invece, il contenuto e le modalità di esercizio risultino puntualmente e inequivocabilmente determinati dal titolo, a questo soltanto deve farsi riferimento, senza possibilità di ricorrere al criterio del soddisfacimento del bisogno del fondo dominante con minor aggravio del fondo servente.

Nel caso in esame, quindi, non può porsi il problema dell’applicazione dei precetti dettati dagli artt. 3064 e 1065 c.c. – che rivestono carattere meramente sussidiario – giacchè i giudici del merito non hanno dubitato sull’estensione e sulle modalità di esercizio della servitù per cui è causa secondo quanto risultante dal titolo interpretato secondo i canoni di cui agli art. 1362 c.c. e segg. con prioritario riferimento ai criteri principali (significato letterale e collegamento tra le varie clausole contrattuali).

Va infine aggiunto che il P. non ha riportato in ricorso – come era suo onere – il testo integrale delle regolamentazione pattizia in questione il che ha comportato la difficoltà di comprendere appieno alcune delle censure mosse alla sentenza impugnata essendo precluso in questa sede di legittimità l’esame degli atti al fine di verificare la rilevanza e la fondatezza delle dette censure.

2) La questione della nullità del contratto di costituzione della servitù per indeterminatezza e indeterminabilità dell’oggetto correttamente non è stata affrontata dalla corte di appello posto che lo stesso ricorrente ha dedotto di aver prospettato tale questione nel giudizio di primo grado omettendo, però, di riproporla in secondo grado. Dalla lettura delle sentenza impugnata non risulta (nè è stato affermato in ricorso) che il P. abbia nell’atto di appello, con specifico motivo, censurato la decisione di primo grado con la quale il tribunale – accogliendo la domanda riconvenzionale della società convenuta basata sulla possibilità di futura ulteriore utilizzazione della costituita servitù – ha logicamente e necessariamente ritenuto per implicito infondata la tesi dell’attore circa la nullità del contratto di costituzione di servitù per indeterminatezza e indeterminabilità dell’oggetto. Su tale capo della pronuncia di primo grado – peraltro ineccepibile non essendo di certo ravvisabile l’asserita nullità del contratto in esame – si è quindi formato il giudicato interno con conseguente impossibilità di rilevare di ufficio la nullità del detto contratto per l’indicato motivo.

3) La corte di appello, al contrario di quanto sostenuto dal ricorrente, si è puntualmente attenuta ai principi pacifici nella giurisprudenza di legittimità secondo cui in tema di servitù per vantaggio futuro, la differenza fra le due fattispecie previste nei nell’art. 1029 cod. civ., commi 1 e 2 sta in ciò che nel primo caso (servitù per un vantaggio futuro del fondo dominante) esistono tutti gli elementi necessari per la costituzione della servitù, e cioè sia il fondo servente che quello dominante e la sola particolarità della fattispecie va ravvisala nel fatto che l’utilità per il fondo dominante non è attuale, ma verrà ad essere in futuro; nella seconda ipotesi (servitù a favore o a carico di un edificio da costruire o di un fondo da acquistare) all’atto del negozio costitutivo manca uno dei presupposti della servitù, l’edificio da costruirsi in seguito, a cui favore opererà la servitù. Da tanto consegue che nella prima ipotesi (che ricorre appunto nella specie) la servitù viene ad esistenza immediatamente; nella seconda si ha la costituzione di un rapporto obbligatorio, suscettibile di trasformarsi in un rapporto di natura reale soltanto nel momento in cui l’edificio viene costruito. I diritti fondati su quel vincolo, finchè esso rimane di natura obbligatoria, si prescrivono secondo le norme ordinarie in materia di obbligazioni, decorrendo la prescrizione dal momento costitutivo del vincolo stesso (e cioè dalla data della convenzione) e non dalla costruzione dell’edificio.

L’ipotesi di cui all’art. 1029 cod. civ., comma 2 ha carattere eccezionale e presuppone la sicura individuazione del fondo dominante nell’edificio erigendo (nei sensi suddetti, tra le tante, sentenze 7/4/2000 n. 4346; 14/11/1989 n. 4839; 4/8/1988 n. 4833). Nel caso in esame, come emerge da quanto sopra esposto, la servitù in esame è stata costituita per un assicurare all’esistente fondo dominante la permanente maggiore utilizzazione con la possibilità di realizzare costruzione sul confine senza il rispetto delle distanze rispetto all’esistenza fondo servente.

4) La corte di appello – dopo aver puntualmente e con precisione individuato l’oggetto, il contenuto, l’estensione e le modalità di esercizio del diritto di servitù come costituito con il contratto 6/6/1980 – ha coerentemente e correttamente applicato la disposizione dettata dall’art. 1075 c.c. secondo cui la servitù esercitata in modo da trame un’utilità minore di quella indicata dal titolo si conserva per intero. Pertanto la limitazione dell’esercizio della servitù (nella specie utilizzazione della servitù in questione per circa venti anni con la realizzazione del solo corpo di fabbrica della piscina coperta) a qualsiasi causa dovuta ed anche se protratta ne tempo non ha comportato la riduzione dell’oggetto della servitù nei limiti dell’utilità minore a quella consentita dal titolo. Ne consegue che la maggiore utilità che la resistente ha tratto dalla servitù per effetto dell’ampliamento della costruzione già realizzata su confine va considerata potenzialmente compresa nel titolo costitutivo della stessa.

In definitiva il ricorso deve essere rigettato con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 200,00, oltre Euro 2.000,00 a titolo di onorari ed oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2011

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