Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6991 del 11/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 11/03/2020, (ud. 22/01/2020, dep. 11/03/2020), n.6991

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA s.p.a., in persona del delegato del

l.r.p.t., rappr. e dif. dagli avv. Paolgiulio Mastrangelo e Licia

Mastrangelo, elett. dom. presso lo studio dell’avv. Maria Cristina

Napoleoni, in Roma, via Germanico n. 197 come da procura in calce

all’atto;

– ricorrente-

Contro

FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l., in persona del curatore fallim. p.t.,

rappr. e dif. dall’avv. Gabriella Zuccarini, elett. dom. presso lo

studio della stessa in Teramo, Circonvallazione Spalato 74/a,

gabriella.zuccarini.pec-avvocatiteramo.it, come da procura in calce

all’atto;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto Trib. Teramo 21.2.2017, cron.

2722/2017, R.G. 3747/2014;

viste le memorie delle parti;

vista l’istanza di rimessione della causa alle Sezioni Unite e il

conseguente decreto del Primo Presidente;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 22 gennaio 2020 dal Consigliere relatore Dott. Ferro Massimo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA s.p.a. (MPS) impugna il decreto Trib. Teramo 21.2.2017, cron. 2722/2017, R.G. 3747/2014, che, rigettando l’opposizione allo stato passivo del FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l., ha ritenuto corretta la dichiarazione di inammissibilità della domanda di insinuazione ultratardiva, così come statuita dal competente giudice delegato L. Fall. ex art. 101;

2. il tribunale ha rilevato che l’aver assunto la banca la veste di parte processuale nel giudizio di revocatoria ordinaria, con subentro del curatore che parimenti proseguiva la domanda originaria e così aveva chiesto ed ottenuto l’inefficacia dell’atto di cessione a terzi dell’immobile gravato di ipoteca in favore dell’attuale ricorrente, giustificava una parametrazione del ritardo della domanda di ammissione al passivo computato a far data almeno dal passaggio in giudicato della citata sentenza (emessa nel 2009); derivandone allora, con la sua definitività (1 febbraio 2011) e in relazione ad un’insinuazione tardiva depositata solo il 14 novembre 2013, senza altre ragioni di scusabilità, una causa pienamente imputabile alla riprovevole diligenza della banca; veniva così svalutata la comunicazione del 5 luglio 2013 con cui il curatore comunicava alla banca che i beni recuperati erano stati assoggettati ad esecuzione in sede fallimentare ed in forza della sentenza di accoglimento della revocatoria resa dal Tribunale di Teramo, posto che un “ingente ritardo” aveva contrassegnato il lungo periodo in cui la banca ben poteva presentare l’insinuazione e non l’aveva fatto;

3. con il ricorso, in tre motivi, si contesta la decisione per: a) violazione della L. Fall., art. 101, avendo erroneamente il tribunale non considerato che il credito della banca era divenuto azionabile solo nel corso del fallimento, col passaggio in giudicato della sentenza di revocatoria; b) identica violazione ove la valutazione del ritardo, come nella specie e trascorso ormai un anno dopo l’esecutività dello stato passivo, sarebbe stata rimessa alla discrezionalità giudiziale; c) ulteriore pari violazione della norma, ove il ritardo è stato apprezzato nonostante l’apprensione esecutiva del bene L. Fall. ex art. 107 fosse stata comunicata alla banca solo successivamente;

4. il fallimento si è costituito resistendo con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. i motivi, per l’intima connessione, vanno trattati congiuntamente e la complessiva censura è, per alcuni profili, inammissibile e, per altri, infondata; dal tenore delle rispettive difese appare incontroverso che l’iniziativa di ammissione al passivo di MPS, già creditore ipotecario della società fallita, si realizzò con la domanda svolta ai sensi della L. Fall., art. 101, solo quasi tre anni dopo che il bene immobile oggetto di garanzia ipotecaria in suo favore venne recuperato alla massa, a seguito dell’esercizio con successo dell’azione revocatoria, esperita in un primo tempo proprio dalla banca ora ricorrente e poi proseguita dalla curatela;

2. il tribunale ha escluso la non imputabilità del ritardo al creditore, dunque condividendo il giudizio di inammissibilità della relativa domanda ultratardiva, per via della concludenza della citata partecipazione iniziale proprio della banca al giudizio di revocatoria, per come promossa e dunque di uno stato soggettivo di consapevolezza aliunde della pronuncia di fallimento (e della conseguente insinuabilità del credito al passivo) in capo al creditore, a far data, quanto meno, dal passaggio in giudicato della citata sentenza di accoglimento; ciò ben prima che il curatore notiziasse MPS, quale creditore ipotecario, delle operazioni liquidatorie, circostanza che il decreto riferisce al 5 luglio 2013 (e il controricorrente anticipa al 30 aprile 2012 con richiamo alle proprie difese avanti al tribunale);

3. in realtà, circa la relazione tra dimostrazione della tardività giustificabile e inerenza del tempo ipotetico di presentazione della domanda solo se riferito ai dodici mesi dall’esecutività dello stato passivo, cioè alla L. Fall., art. 101, comma 1, la tesi non solo pone una questione nuova, della quale il ricorrente non indica tempestività e ritualità d’introduzione nel processo avanti al giudice di merito, conseguendone l’inammissibilità (Cass. 20694/2018); essa in realtà pone in dubbio la stessa esistenza dell’istituto delle domande ultratardive, L. Fall. ex art. 101, u.c., che ha come limite di riferimento – con l’obiettivo della razionalità del processo distributivo interno dell’attivo – comunque l’esaurimento delle operazioni di riparto, in generale e la prova, nello specifico, che l’esaminabilità stessa del diritto di prendere parte al concorso rifletta l’adempimento, per quanto esigibile, di un onere di diligenza nell’inter-locuzione processuale; ed è proprio la combinazione del primo dato, oggettivo, con il secondo, vertente sulla prova di intempestività scusabile, dunque clausola generale (Cass. 23975/2015), a temperare il rigore del citato obiettivo, così generando una giustificazione per i risultati di un programma di conciliazione tra poste passive e attive che, proprio nei dodici mesi e salvo eccezioni, dovrebbe aver assunto il suo assetto definitivo per tutti, terzi inclusi e ad ogni effetto di fissazione del fabbisogno fallimentare;

4. tuttavia, se i ricordati principi certamente operano per i crediti pregressi, avendo riguardo invece ai crediti insorti dopo la sentenza dichiarativa di fallimento, questa Corte ha ritenuto che si debba “fermare…un termine annuale per la presentazione delle relative domande” (Cass. 18544/2019, 28799/2019); tale indirizzo ha così precisato, del tutto condivisibilmente, che se allora i termini di cui alla L. Fall., art. 101, commi 1 e 4, ovviamente di per sè non soccorrono più a disciplinarne l’accesso al concorso (il primo perchè in ipotesi anche esaurito, il secondo in quanto espresso per clausola generale senza in realtà una specificazione temporale predeterminata), un ragionevole limite temporale, per un verso, va ricavato dal sistema dell’ordinata ed egualitaria opportunità di partecipazione al concorso che deve appartenere a qualunque creditore posteriore, sia esso prededucibile, prelatizio o chirografario; ciò permette, con il richiamo agli artt. 3 e 24 Cost., il recupero della stessa dilazione – i dodici mesi – fissata nella norma per tutti i creditori, ma, per altro verso, con un differente momento di decorrenza; quest’ultimo è stato di conseguenza individuato, anche in armonia con le indubbie esigenze di celerità e di concentrazione della procedura all’accertamento del passivo, con l’epoca da cui l’esercizio di tale diritto di credito, nella sua declinazione come domanda di insinuazione al passivo, diviene esercitabile; nella specie, e come premesso, le citate condizioni si erano già ampiamente verificate al definirsi del vittorioso giudizio di revocatoria, con ogni conseguenza recuperatoria e dunque anche il termine per questa via rinvenuto deve dirsi trascorso, per tale parte enunciativa intendendosi emendata la motivazione del decreto impugnato, invero corretto nella parte decisoria;

il tenore della presente motivazione opera infine, secondo le stesse indicazioni del Primo Presidente, da ragione impeditiva a dar corso alla rimessione della causa alle Sezioni Unite, non sussistendo nè difformità di pronunce, nè attualità di questione di massima importanza ex art. 374 c.p.c.;

al rigetto del ricorso consegue, oltre alla condanna alle spese regolata secondo il principio della soccombenza e liquidazione come meglio da dispositivo, la dichiarazione della sussistenza dei presupposti per il versamento del cd. raddoppio del contributo unificato.

PQM

la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in Euro 5.100 (di cui Euro 100 per esborsi), oltre al 15% a forfait sui compensi e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2020

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