Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6990 del 03/03/2022

Cassazione civile sez. II, 03/03/2022, (ud. 25/01/2022, dep. 03/03/2022), n.6990

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. LA BATTAGLIA Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24176/2017 proposto da:

G.P., rappresentato e difeso dall’Avvocato BRUNO BARBATO

MASTRANDREA, per procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.E., C.A.M., C.E., C.F.,

C.M., C.A., in qualità di eredi di Ce.Ma.;

– intimati –

avverso la SENTENZA N. 1465/2017 della CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA,

depositata il 20/6/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 25/1/2022 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.1. Il tribunale, con decreto, ha ingiunto a G.P. il pagamento, in favore di Ce.Ma., della somma di Euro 8.514,55 quale compenso dovuto allo stesso per le prestazioni medico-legali da lui rese nel giudizio proposto dal debitore per la liquidazione di una malattia da causa di servizio.

1.2. Il decreto era fondato sulla dichiarazione scritta con la quale il G. si era impegnato a corrispondere al suo consulente “solo ed esclusivamente nel caso che la sua opera di assistenza medico-legale… porti a risultato favorevole… una somma, a titolo (di) onorario e palmario, pari all’incirca al 10% del valore in capitale dal sottoscritto acquisito” e sul fatto che il G., all’esito del giudizio a tal fine proposto, aveva percepito la somma di Euro 85.145,59.

1.3. G.P. ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo deducendo che il patto di quota lite era nullo per violazione dell’art. 2233 c.c., comma 3.

1.4. C.M. si è costituito in giudizio chiedendo il rigetto dell’opposizione.

2.1. Il tribunale, con sentenza del 19/2/2013, ha respinto l’opposizione.

2.2. G.P. ha proposto appello avverso tale sentenza.

2.3. B.E., C.A.M., C.E., C.F., C.M. ed C.A., in qualità di eredi di Ce.Ma., hanno resistito al gravame, chiedendone il rigetto.

3.1. La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello.

3.2. La corte, in particolare, per quanto ancora d’interesse, ha esaminato le censure con le quali l’appellante aveva dedotto, per un verso, che l’art. 2233 c.c., comma 3, si estende per analogia anche ai professionisti che intervengono a difesa nell’ambito delle controversie, e tra questi sono certamente compresi i medici legali patrocinatori, e, per altro verso, che la cifra pattuita tra il G. e il C. è sproporzionata rispetto alla prestazione di quest’ultimo poiché si tratta del 10% di quanto riconosciuto al G. dal 1972 e non dalla data di stipula dell’accordo, e cioè il 2002: e l’ha ritenuto infondato.

3.3. La corte, sul punto, ha osservato: – innanzitutto, che l’art. 2233 c.c., comma 3, costituisce eccezione ad una regola generale e non è estensibile per analogia oltre i soggetti ivi indicati, e cioè gli avvocati e i praticanti abilitati, laddove il C. si è limitato a svolgere l’attività medico-legale; d’altra parte, possono essere inclusi nella categoria dei soggetti cui applicare la norma anche i professionisti che svolgano attività difensive in quanto abilitati alla difesa in sede di controversie giurisdizionali in rappresentanza dei propri assistiti, ma non certo al consulente medico-legale; – in secondo luogo, che l’asserita sproporzione (“a prescindere che trattasi di domanda nuova e quindi vietata ai sensi dell’art. 345 c.p.c. e come tale inammissibile”) è priva di fondamento avendo le parti liberamente concordato il compenso nel “dieci per cento del valore in capitale… acquisito” dal G., senza alcun distinguo in merito al periodo di tempo cui si riferisca l’acquisizione.

3.4. La corte, quindi, ha esaminato la censura con la quale l’appellante aveva lamentato l’erroneità del calcolo delle somme dovute al C.: e l’ha parimenti ritenuta infondata.

3.5. La corte, al riguardo, ha ritenuto che nessun errore di calcolo era stato operato dal tribunale in merito alle somme dovute avendo l’opponente omesso di provare l’avvenuto versamento della somma di Euro 1.670,26 in acconto. Il G., d’altra parte, ha aggiunto la corte, ha omesso di presentarsi a rendere l’interrogatorio formale avente ad oggetto capitoli di prova inerenti il mancato versamento di acconti per cui le circostanze ivi indicate, e cioè la mancata corresponsione di acconti, devono ritenersi riconosciute.

4.1. G.P., con ricorso notificato il 9/10/2017, ha chiesto, per quattro motivi, la cassazione della sentenza della corte d’appello, dichiaratamente notificata l’11/7/2017.

4.2. B.E., C.A.M., C.E., C.F., C.M. ed C.A., in qualità di eredi di Ce.Ma., sono rimasti intimati.

4.3. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2233 c.c., comma 3, e degli artt. 12 e 14 disp. gen., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che il divieto del patto di quota-lite, previsto dall’art. 2233 c.c., comma 3, nel testo allora in vigore, si applica solo ai professionisti che svolgono attività difensive in sede di controversia giurisdizionale e non anche al medico incaricato di svolgere la funzione di consulente tecnico di parte in una causa, in tal modo, tuttavia, omettendo di considerare che il consulente tecnico di parte svolge, nell’ambito del processo, un’attività di natura squisitamente difensiva, ancorché di carattere tecnico, mirando a sottoporre al giudicante rilievi a sostegno della tesi difensiva della parte assistita, e che può, di conseguenza, ritenersi, attraverso la sua interpretazione estensiva, che lo stesso, in qualità di “patrocinatore”, sia assoggettato alla norma che vietava il patto di quota-lite senza che sia necessaria alcuna interpretazione analogica della stessa, peraltro ammissibile. trattandosi di norma che non ha carattere eccezionale poiché, in realtà, non deroga al principio generale della libera pattuizione del compenso ma si limita a specificare il principio di cui all’art. 1322 c.c., nel particolare ambito della prestazioni professionali funzionali all’amministrazione della giustizia.

5.2. Il motivo è infondato. Questa Corte, invero, ha affermato il principio, dal quale non vi sono ragioni per discostarsi, secondo cui, in tema di compensi professionali, la disposizione di cui all’art. 2233 c.c., comma 3 (nel testo, applicabile ratione temporis, antecedente alla sostituzione operata dal D.L. n. 223 del 2006, art. 2, comma 2 bis, conv., con modifiche, nella L. n. 248 del 2006), che prevede la nullità del cosiddetto patto di quota lite, è norma speciale a carattere tassativo e, come tale, non suscettibile di estensione analogica, sicché essa si riferisce esclusivamente all’attività svolta da professionisti abilitati al patrocinio in sede giurisdizionale (Cass. n. 20839 del 2014). La norma, in effetti, disponeva che “gli avvocati, i procuratori ed i patrocinanti non possono, neppure per interposta persona, stipulare con i loro clienti alcun patto relativo ai beni che formano oggetto delle controversie affidate al loro patrocinio sotto pena di nullità e dei danni”. Il dato letterale e’, dunque, inequivoco: il divieto previsto dalla norma riguardava l’attività difensiva prestata nell’ambito di una controversia, vale a dire “non ogni attività professionale, ma esclusivamente l’esercizio dell’attività di patrocinio affidata ad un difensore in una controversia o in vista di una controversia”. Del resto, nella giurisprudenza di legittimità, si è affermato che la nullità di cui si discute “riguarda il negozio bilaterale stipulato dal professionista investito del patrocinio legale con il cliente relativamente ai beni oggetto della controversia a lui affidata” (Cass. n. 2455 del 1984): e solo perché questo era il contenuto effettivo della disposizione in esame, si è aggiunto, è stato possibile ritenerla applicabile ai ragionieri e ai commercialisti nelle ipotesi in cui questi avessero svolto attività di patrocinio dinnanzi alle Commissioni tributarie (Cass. n. 6203 del 1998).

5.3. La norma, pertanto, non potendo trovare applicazione al di fuori dell’attività di patrocinio affidata ad un difensore nel corso o in vista di una controversia (cfr. Cass. n. 20839 del 2014, la quale ha escluso la sua applicabilità all’attività del consulente del lavoro consistita in una prestazione di tipo amministrativo-contabile volta ad ottenere dall’INPS il riconoscimento, in via amministrativa, del diritto del cliente allo sgravio relativamente a contributi da quest’ultimo già pagati), non vieta il patto di quota lite stipulato, come quello in esame, tra la parte sostanziale del giudizio ed il consulente tecnico della stessa, la cui attività, pur concretandosi nello svolgimento di prestazioni difensive a carattere tecnico (in relazione alle diverse materie di volta in volta interessate) innanzi al giudice (cfr. Cass. n. 19399 del 2011), rimane, tuttavia, giuridicamente diversa e distinta rispetto all’attività, cui la norma si riferisce in via esclusiva, di rappresentanza e di assistenza che, sul piano tecnico-giuridico, viene svolta dal difensore (sia esso un avvocato o un diverso professionista egualmente abilitato al patrocinio) in funzione del giudizio e/o nel corso del suo svolgimento e che si traduce nel compimento degli atti processuali che lo compongono.

6.1. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1418, comma 2, in comb. disp. con l’art. 1325 c.c., n. 2, art. 1322 c.c., comma 2 e art. 1421 c.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che la domanda di declaratoria della nullità del contratto per sproporzione delle prestazioni corrispettive costituisse una domanda nuova e come tale inammissibile in appello e che tale domande fosse comunque infondata nel merito essendo stato il compenso in misura percentuale pattuito liberamente tra le parti, in tal modo, tuttavia, omettendo di considerare, innanzitutto, che la nullità del contratto può essere rilevata d’ufficio in ogni grado e stato del giudizio, anche per motivi diversi da quelli originariamente prospettati, e cioè la contrarietà del patto all’art. 2233 c.c., comma 3, che la domanda di nullità, ed, in secondo luogo, che la mancanza di equivalenza tra le prestazioni determina la nullità del contratto per mancanza di causa in ragione delle caratteristiche obiettive delle prestazioni corrispettive assunte dalle parti a prescindere dal fatto che il relativo accordo sia stato liberamente stipulato dalle stesse.

6.2. Il motivo è fondato nei termini che seguono. Le Sezioni Unite di questa Corte, in effetti, hanno ritenuto che, in caso di mancata rilevazione ex officio della nullità di un contratto da parte del giudice di primo grado, la pronuncia che accolga la domanda di adempimento dello stesso, è idonea alla formazione del giudicato implicito sulla relativa validità (Cass. SU n. 26242 del 2014, in motiv.). Il giudice investito del gravame relativo ad una controversia sul riconoscimento di pretesa che suppone la validità ed efficacia del rapporto contrattuale oggetto di allegazione, che sia stata decisa dal giudice di primo grado senza che questi abbia prospettato ed esaminato, né le parti abbiano discusso, di tali validità ed efficacia, ha, tuttavia, il potere (ed il dovere) di rilevare, d’ufficio, la nullità del contratto trattandosi di questione afferente ai fatti costitutivi della domanda ed integrante, perciò, un’eccezione in senso lato, rilevabile d’ufficio anche in appello, a norma dell’art. 345 c.p.c. (Cass. SU n. 7294 del 2017; Cass. n. 19251 del 2018; Cass. n. 26495 del 2019; Cass. n. 19161 del 2020). La corte d’appello, quindi, lì dove ha ritenuto che la domanda di nullità del contratto dedotto dall’opposto per (asserita) sproporzione tra le prestazioni delle parti costituiva una “domanda nuova” e, come tale, in quanto “vietata ai sensi dell’art. 345 c.p.c.”, inammissibile, non si e’, evidentemente, attenuta al principio esposto, e dev’essere, quindi, in parte qua cassata.

6.3. Non può, per contro, rilevare, quale ulteriore ratio decidendi, il rigetto nel merito di tale domanda che la stessa corte ha in aggiunta pronunciato. In tale situazione, invero, torna applicabile il principio secondo cui, allorquando il giudice si sia comunque pronunciato (per l’inammissibilità della domanda) nel senso di ritenere precluso l’esame di merito, le considerazioni che al riguardo lo stesso abbia poi svolto (rigettando la domanda perché infondata) restano irrimediabilmente fuori dalla decisione per l’assorbente e insuperabile ragione che tali valutazioni provengono da un giudice che, con la pregiudiziale declaratoria d’inammissibilità, si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della questione controversa: con la conseguenza che mentre è ammissibile l’impugnazione rivolta, come quella proposta dal ricorrente, alla statuizione pregiudiziale, e’, al contrario, inammissibile, per difetto d’interesse, l’impugnazione con la quale lo stesso ricorrente pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, da considerare svolta ad abundantiam nella sentenza gravata (cfr. Cass. SU n. 3840 del 2007; Cass. n. 15234 del 2007; Cass. SU n. 15122 del 2013; Cass. n. 17004 del 2015; Cass. n. 30393 del 2017; Cass. n. 11675 del 2020; Cass. SU n. 2155 del 2021).

7.1. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando l’omissione di pronuncia e/o di motivazione e la violazione della L. n. 244 del 1963, art. 2, u.c., e dell’art. 1418 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha del tutto omesso di pronunciarsi ed, in caso di pronuncia implicita, di motivare sul rigetto della domanda con la quale l’appellante aveva chiesto di dichiarare la nullità del contratto per violazione della norma imperativa costituita dalla L. n. 244 del 1963, art. 2, u.c..

7.2. Il motivo è fondato. La corte d’appello, infatti, ha del tutto omesso di pronunciarsi, anche solo in modo implicito, sulla domanda, quale emerge dalla riproduzione in ricorso dell’atto del giudizio d’appello in cui è stata proposta (p. 26, nt. 74 e all. 4.0), con la quale l’opponente, in qualità di appellante, aveva chiesto di accertare e dichiarare la nullità del contratto invocato dal creditore istante per violazione della norma prevista dalla L. n. 244 del 1963, art. 2, u.c.. Come visto, il giudice investito del gravame relativo ad una controversia sul riconoscimento di pretesa che suppone la validità ed efficacia del rapporto contrattuale oggetto di allegazione, che sia stata decisa dal giudice di primo grado senza che questi abbia prospettato ed esaminato, né le parti abbiano discusso, di tali validità ed efficacia, ha il potere ed il dovere di rilevare, d’ufficio, la nullità del contratto trattandosi di questione afferente ai fatti costitutivi della domanda ed integrante, perciò, un’eccezione in senso lato, rilevabile d’ufficio anche in appello, a norma dell’art. 345 c.p.c. (Cass. SU n. 7294 del 2017; Cass. n. 19251 del 2018; Cass. n. 26495 del 2019; Cass. n. 19161 del 2020).

8.2. Con il quarto motivo, il ricorrente, lamentando l’omesso esame di fatti decisivi e la violazione dell’art. 232 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che l’opponente non avesse provato la corresponsione di acconti.

8.3. Il motivo è assorbito.

9. Il ricorso dev’essere, quindi, accolto è la sentenza impugnata, pertanto, cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Bologna che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte così provvede: accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo; cassa, in relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata con rinvio, per un nuovo esame, corte d’appello di Bologna che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 25 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2022

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