Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6988 del 17/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 17/03/2017, (ud. 17/11/2016, dep.17/03/2017),  n. 6988

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GHNOY Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29587-2014 proposto da:

EQUITALIA NORD S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DI RIPETTA 70, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO LOTTI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURIZIO BERTOLA,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

F.O.;

– intimato –

Nonchè da:

F.O., C.F. (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avvocato

MARCO MEZZANOGLIO, domiciliato in Roma Piazza Cavour, presso la

cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, giusta delega in

atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

EQUITALIA NORD S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DI RIPETTA 70, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO LOTTI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURIZIO BERTOLA,

giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 597/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 08/07/2014 R.G.N. 766/13;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del dal

Consigliere Dott. PAOLA GHINOY;

udito l’Avvocato ACHILLE BORRELLI per delega verbale LOTTI MASSIMO;

udito l’Avvocato MARCO MEZZANOGLIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’accoglimento per

quanto di ragione del ricorso principale e rigetto del ricorso

incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

F.O., dipendente da Equitalia Nord s.p.a con mansioni di ufficiale di riscossione dal 4.10.1999, veniva sospeso dal servizio a far data dal 20.11.2002 per motivi cautelari, in relazione ad un procedimento penale a suo carico per falso ideologico in atto pubblico. Solo in data 15 aprile 2010, all’esito dell’assoluzione definitiva da tutte le ipotesi criminose a lui ascritte con la formula “perchè il fatto non costituisce reato”, il lavoratore veniva riammesso in servizio.

Il Tribunale di Aosta, adito dal F. al fine di ottenere il risarcimento dei danni arrecatigli dalla sospensione dal servizio, condannava Equitalia Nord S.p.A. a corrispondere al ricorrente la somma di Euro 188.119,72 e rigettava le ulteriori domande.

La Corte d’appello di Torino con la sentenza n. 597 del 2014, in parziale accoglimento dell’appello proposto dal lavoratore, condannava Equitalia Nord anche al pagamento a titolo di risarcimento del danno da perdita di chances della somma netta, liquidata a titolo equitativo, di Euro 50.000 oltre rivalutazione ed interessi, sul presupposto che quattro colleghi di lavoro del F. che erano stati assunti insieme a lui ed uno assunto successivamente avevano tutti ottenuto una progressione di carriera e che l’81% dei 2644 dipendenti della società di riscossione aveva un inquadramento superiore a quello del F.; riconosceva altresì Euro 18.413,59 a titolo di premio di produzione per gli anni di sospensione.

Per la cassazione della sentenza Equitalia Nord S.p.A. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, cui ha resistito con controricorso Omar F., che ha proposto altresì ricorso incidentale affidato a tre motivi (di cui due condizionati all’accoglimento del ricorso principale), cui ha resistito Equitalia Nord S.p.A. con controricorso e memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente il ricorso principale e quello incidentale sono stati riuniti ex art. 335 c.p.c. in quanto proposti avverso la medesima sentenza.

2. I motivi del ricorso di Equitalia Nord s.p.a. possono essere così riassunti:

2.1. con il primo, si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1218 c.c. e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. La ricorrente rileva che se la sospensione dal servizio del lavoratore era stata legittimamente disposta ai sensi dell’articolo 33 del contratto collettivo Ascotributi del 12/12/2001, come ritenuto dalla Corte territoriale, nessun danno patrimoniale da perdita di chances poteva essere riconosciuto, considerato che l’obbligo risarcitorio può fare seguito soltanto ad una condotta contra ius di chi avrebbe causato il danno.

2.2. Come secondo motivo, deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 33, comma 7 del C.C.N.L. Ascotributi del 12/12/2001 in relazione agli artt. 2095, 2099, 2103, 1218 e 1226 c.c.; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 33, comma 7 del C.C.N.L. Ascotributi del 12/12/2001 in relazione agli artt. 1362 c.c. e ss.; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 145 e 116 c.p.c.. Sostiene che il riconoscimento del diritto al danno patrimoniale da perdita di chances non poteva neppure derivare dall’art. 33 del C.C.N.L., a mente del quale il periodo di sospensione viene considerato “di servizio attivo per ogni altro effetto previsto dal presente contratto collettivo di lavoro”, in quanto il contratto non prevede alcun automatismo contrattuale in forza del quale un dipendente inquadrato nel primo livello della terza area professionale, come il F., acquisisca un superiore inquadramento dopo un certo numero di anni, tanto che i colleghi menzionati dalla Corte territoriale avevano tutti conseguito promozioni meritocratiche.

2.3. Come terzo motivo, deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 41 del C.C.N.L. Ascotributi del 12/12/2001, dell’art. 41 del C.C.N.L. Ascotributi del 4/11/2005 e dell’art. 42 del C.C.N.L. Equitalia del 9/4/2008, in relazione all’art. 33, comma 7 di C.C.N.L. Ascotributi 12/12/2001 ed agli articoli 2099 e 1218 del codice civile; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 145 e 116 c.p.c. Lamenta che la Corte d’appello abbia riconosciuto la somma di Euro 18.413,59 al titolo di premi aziendali non percepiti in relazione agli esercizi compresi nel periodo di allontanamento dal servizio, ignorando che in base alle disposizioni del contratto collettivo vi sono due presupposti per I’ erogazione dei premi aziendali, e cioè i risultati complessivi dell’azienda e l’apporto individuale del singolo lavoratore, che non può mancare. Tanto che la normativa esclude l’erogazione per chi, assente per oltre un anno, non sia valutabile.

3. Il primi due motivi di ricorso, che vanno esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono fondati.

3.1. La Corte territoriale ha liquidato in misura equitativa il danno per il mancato avanzamento professionale sotto il profilo della perdita di chance, ritenendo che in assenza della sospensione dal servizio, tenendo conto degli avanzamenti attribuiti a cinque colleghi con la medesima anzianità di servizio e del dato percentuale degli inquadramenti dell’intero personale della società, con alto grado di probabilità (sentenza gravata, p. 20) il F. avrebbe conseguito un livello superiore.

3.2. Deve però rilevarsi che la perdita di chance rappresenta un modello generale di danno che trova collocazione nel campo della responsabilità contrattuale o extracontrattuale. Nel rapporto di lavoro, essa presuppone un inadempimento del datore, che abbia impedito al dipendente di conseguire un risultato favorevole cui egli poteva aspirare con elevata probabilità di successo. Si afferma infatti che il lavoratore/creditore che voglia ottenere i danni derivanti dalla perdita di chance ha l’onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato, che sia stato impedito dalla condotta illecita del datore di lavoro, della quale il danno risarcibile dev’essere conseguenza immediata e diretta (v. Cass S.U. 23/09/2013 n. 21678; Cass. 10/01/2014 n. 3771, n. 4014 del 2016).

Quando però la condotta datoriale sia legittima, qual era nel caso (v. oltre, par. 7), non sussiste inadempimento, nè la conseguente responsabilità risarcitoria per il mancato conseguimento del risultato favorevole, sicchè nessun risarcimento a cagione di esso può essere accordato.

3.3. Ne consegue che la Corte d’appello ha errato nel riconoscere il risarcimento da perdita di chance in difetto di condotta inadempiente del datore di lavoro.

4. Diversa questione è quella attinente agli effetti della sospensione dal servizio sulla progressione professionale, ai sensi dell’art. 33, comma 7 del C.C.N.L. Ascotributi del 12/12/2001. La disposizione prevede che all’atto della riammissione in servizio il periodo di sospensione viene considerato “di servizio attivo per ogni altro effetto previsto dal presente contratto collettivo di lavoro”, sicchè la valutazione del periodo come di effettivo servizio dev’ essere effettuata per tutti gli effetti retributivi e contrattuali previsti dalla legge e dalla normativa collettiva, compresi gli avanzamenti di carriera cui il dipendente abbia diritto.

Allo scopo, tuttavia, è necessario che sussista un diritto soggettivo, agli avanzamenti, diritto che non consegue alla mera equiparazione a colleghi che abbiano conseguito promozioni meritocratiche, in assenza di un principio di parità di trattamento (Cass. n. 26236 del 2014), essendo la posizione del lavoratore a tali fini tutelabile (solo) sotto il profilo del dovuto rispetto da parte del datore di lavoro degli artt. 1175 e 1375 c.c.

4.1. Nel caso, comunque, la Corte non ha configurato un diritto del F. all’avanzamento professionale e quindi alle differenze retributive in virtù del richiamato settimo comma, tanto che ha obliterato la deduzione secondo la quale il contratto non prevede avanzamenti automatici (pg. 19) e non ha riconosciuto il diritto alla promozione ad uno dei livelli superiori gradatamente rivendicati.

5. Il terzo motivo di ricorso non è fondato.

La Corte territoriale ha correttamente interpretato la disciplina contrattual-collettiva richiamata dalla ricorrente, considerato che gli artt. 41 del C.C.N.L. Ascotributi del 12/12/2001, l’art. 41 del CCNL 4/11/2005 e art. 42 del C.C.N.L. Equitalia del 9/4/2008 prevedono come presupposto per l’erogazione del premio aziendale il conseguimento degli obiettivi proposti, nell’azienda o nel gruppo, e non i risultati conseguiti dal singolo lavoratore. Vero è poi che si prevede che si debba tener conto anche “dell’inquadramento, degli apporti professionali, delle attività svolte e della funzione ricoperta”, ma tali indicatori valgono come parametri per la quantificazione del premio ad opera del contratto integrativo aziendale e non di presupposti dell’erogazione. Inoltre, è vero che in base alla stessa disciplina il premio aziendale non viene erogato o viene ridotto nei casi previsti di assenza dal servizio, ma l’impossibilità di valorizzare l’assenza nel caso in rassegna deriva dal fatto che l’art. 33, comma 7 impone l’equiparazione della sospensione dal servizio ai periodi di presenza al lavoro. Inoltre, è altresì vero che nel caso di attribuzione di un giudizio professionale di sintesi negativo il premio aziendale non viene erogato, ma nel caso non si è verificata tale condizione ostativa.

6. A fondamento del ricorso incidentale, F.O. deduce:

6.1. come primo motivo, violazione dell’art. 112 c.p.c. consistente nell’omessa pronuncia circa una domanda espressamente formulata.

Sostiene che la Corte, territoriale, una volta assodato che egli avrebbe conseguito il diritto ad un inquadramento superiore (QD1 ovvero A3 L4), pur permanendo incertezza in merito al momento preciso in cui tale diritto si sarebbe effettivamente perfezionato, avrebbe dovuto accogliere la domanda svolta in merito, riconoscendogli almeno il livello più basso tra quelli richiesti, quantomeno a far data dalla proposizione della domanda.

6.2. Il F. propone poi altri due motivi di ricorso incidentale, condizionati all’accoglimento del ricorso principale:

Come secondo motivo, deduce infatti violazione e/o falsa applicazione dell’art. 33, comma 3 del C.C.N.L. Ascotributi del 2001, e lamenta che la Corte d’appello abbia sussunto la sospensione realizzata nei suoi confronti nell’art. 33, comma 3 del C.C.N.L. sopra richiamato, sulla base della considerazione che egli era imputato di reati gravi, mentre la normativa di riferimento non fa alcun riferimento alla gravità dell’imputazione.

6.3. Come terzo motivo, deduce violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 34, commi da 1 a 4 del C.C.N.L. Ascotributi. Sostiene che erroneamente la Corte non avrebbe ritenuto applicabile tale disposizione, che era stata richiamata dalla società nella lettera di sospensione del 20/11/2002 e che si applica quando le imputazioni penali a carico del lavoratore concernono fatti commessi nell’esercizio delle funzioni. Dall’applicazione di tale disposizione deriverebbe l’illegittimità della sospensione, preclusa dal comma 4. Aggiunge che Equitalia non aveva appellato il capo della sentenza di primo grado con cui il Tribunale di Aosta aveva riconosciuto la rifusione delle spese giudiziali sostenute per l’assistenza legale nei procedimenti penali prevista proprio dall’art. 34 del C.C.N.L.

7. Il primo motivo del ricorso incidentale è inammissibile.

La Corte territoriale non ha omesso la pronuncia in merito al diritto alla qualifica rivendicata, ma – in riforma della sentenza del Tribunale che aveva ritenuto che l’assunto secondo il quale il lavoratore avrebbe potuto ottenere la medesima progressione di carriera dei colleghi che esercitavano mansioni assimilabili al momento della sospensione costituisse “una mera petizione di principio” – ha valorizzato gli elementi sulla base dei quali invece il lavoratore poteva nutrire una ragionevole aspettativa di essere promosso, ed ha ritenuto risarcibile (solo) la lesione di tale (non realizzata) aspettativa.

Ha così disatteso la possibilità di configurare un vero e proprio diritto alla qualifica superiore, tanto che non ha adottato per la liquidazione del danno i parametri retributivi forniti dal lavoratore con riferimento ai due inquadramenti gradatamente rivendicati.

7.1. Non si è trattato quindi di omissione della pronuncia in relazione alla domanda di superiore inquadramento, configurabile nella totale carenza di considerazione della stessa, ma di rigetto implicito, configurato dall’accoglimento della domanda risarcitoria in virtù di una soluzione (la perdita di chances per il conseguimento di una promozione non ottenuta) alternativa ed incompatibile con l’effettiva maturazione del diritto alla promozione per l’equiparazione tra periodo di sospensione e di servizio ai sensi dell’art. 33, comma 7.

7.2. Il motivo pertanto, così come proposto, è inidoneo a rimettere in discussione la ratto decidendi adottata dalla Corte territoriale.

8. I due motivi di ricorso incidentale condizionati, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, non sono fondati.

La Corte territoriale ha ritenuto che si attagliasse alla fattispecie l’art. 33 del contratto collettivo, malgrado l’invocazione dell’art. 34 della missiva del 20/11/2002, in quanto il ricorrente era imputato per reati gravi, commessi in danno del datore di lavoro, ipotesi maggiormente incidente sul rapporto di lavoro che legittima la sospensione cautelare.

8.1. Tale interpretazione è coerente con le previsioni delle due disposizioni contrattuali richiamate. E difatti, le parti collettive hanno differenziato il trattamento del lavoratore sottoposto a procedimento penale per reati gravi (che comportino l’applicazione della pena detentiva anche in alternativa a alla pena pecuniaria) (art. 33) da quello del lavoratore sottoposto a procedimento penale in relazione a fatti commessi nell’esercizio delle sue funzioni, predisponendo per il secondo caso forme di tutela quali l’accollo all’azienda delle spese di tutela legale e l’onere a carico dell’azienda dell’eventuale risarcimento al danneggiato costituitosi parte civile che ricalca la previsione civilistica dell’art. 2049 c.c..

8.2. Con la previsione dell’art. 34 però le parti collettive non hanno voluto privare la società della possibilità di disporre l’allontanamento cautelare in pendenza del processo penale, proprio nei casi in cui maggiormente si può manifestare l’esigenza di tutela dell’ente (e, nel caso, trattandosi di attività di riscossione, quello correlato della collettività) a cagione dell’abuso della funzione, considerato anche che l’allontanamento temporaneo dal servizio in pendenza del procedimento disciplinare costituisce un’ipotesi prevista in via generale (v. u.c. dell’art. 36): l’art. 34, comma 4 deve infatti intendersi nel senso che non può procedersi a sospensione cautelare nel caso in cui il dipendente cui siano ascritti in sede penale fatti commessi nell’esercizio delle funzioni sia privato della libertà personale, in tal caso avendo egli comunque diritto alla conservazione del posto di lavoro con diritto alla retribuzione, a prescindere dalla valutazione discrezionale del datore di lavoro in ordine alla sospensione dal servizio.

8.3. Correttamente quindi la Corte territoriale ha ritenuto che la sospensione fosse stata realizzata in virtù della previsione dell’art. 33, pur venendo richiamato nella missiva datoriale l’art. 34 in quanto i fatti erano stati commessi nell’esercizio delle funzioni attribuite, essendo stato addebitato al F. un reato grave (l'”avere artatamente lasciato in bianco un verbale riguardante un tentativo di vendita per consentirne alterazioni, materialmente compiute ad opera di terzi”, v. sentenza gravata, p. 8), per di più costituente violazione dei doveri legati alla funzione, che in quanto tale legittimava l’adozione del provvedimento cautelare.

8.4. Nè può valere a qualificare la sospensione così come realizzata il fatto che non sia stata appellata la sentenza di primo grado laddove riconosceva il rimborso delle spese legali, non costituendo la condotta processuale della parte un criterio valido di interpretazione della volontà contrattual-collettiva espressa nelle disposizioni richiamate. Le deduzioni in tal senso peraltro risultano inammissibili, in quanto non vengono riportate le argomentazioni sul punto formulate dal giudice di primo grado, nè il contenuto del ricorso in appello.

9. Alle esposte considerazioni segue l’accoglimento dei primi due motivi del ricorso principale, il rigetto del terzo e del ricorso incidentale.

La sentenza gravata dev’essere quindi cassata in relazione ai motivi accolti e rinviata alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, che dovrà esaminare le conseguenze economiche della sospensione, attenendosi ai principi sopra esposti.

Il giudice del rinvio dovrà anche liquidare le spese del giudizio di cassazione.

9.1. Il rigetto del ricorso incidentale determina la sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, primo periodo, introdotto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, ai fini del raddoppio del contributo unificato dovuto per tale ricorso.

PQM

La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso principale, rigetta il terzo motivo ed il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2017

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