Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6985 del 12/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 12/03/2021, (ud. 29/09/2020, dep. 12/03/2021), n.6985

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28531/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto presso quest’ultima in Roma, via dei Portoghesi 12;

– ricorrente –

contro

D.F. & C. s.r.l., in persona del suo rappresentante

p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Carlo Nunziante Cesaro e

dall’Avv. Giuseppe Gorga, elettivamente domiciliata in Roma, via

Lungotevere dei Mellini n. 17, presso lo studio dell’Avv. Oreste

Cantillo;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania n. 476/04/12, depositata il 18 settembre 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 settembre

2020 dal Cons. Salvatore Leuzzi.

Lette le conclusioni scritte del P.G., Dott. Visonà Stefano, che ha

insistito per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– Con istanza del 19 settembre 2010, la contribuente in epigrafe chiedeva all’Ufficio di procedere al rimborso dell’eccedenza di imposta risultante dalla dichiarazione IVA presentata per l’anno 1992, adducendo esser venuta meno la causa ostativa costituita da due pendenze relative a ricorsi avverso avvisi di rettifica relativi agli anni di imposta 1984 e 1985, il primo dei quali definito col pagamento dell’importo richiesto, il secondo annullato dal giudice tributario con sentenza passata in giudicato.

– Con ricorso del 28 dicembre 2010, la contribuente impugnava il silenzio-rifiuto formatosi sull’istanza prodotta, insistendo nella richiesta di liquidazione del rimborso, deducendo che il proprio diritto si era reso attuale in concomitanza col venire meno dei carichi pendenti in relazione ai quali l’Ufficio aveva sospeso, con nota del 14 novembre 1994, ai sensi del R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, comma 6, il rimborso già richiesto con istanza del 7 gennaio 1993.

– La CTP di Salerno accoglieva il ricorso della contribuente avverso il silenzio-rifiuto, escludendo che, a fronte della sospensione della pratica da rimborso comunicata dall’Ufficio, potesse maturare la prescrizione del diritto al rimborso eccepita dall’erario.

– L’Agenzia delle Entrate appellava la sentenza deducendo l’ininfluenza della sospensione anzidetta sul decorso della prescrizione del credito da rimborso.

– Si costituiva il contribuente insistendo in senso contrario.

– La CTR della Campania rigettava il gravame di merito.

– L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso articolato su due motivi. La contribuente si è costituita con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia ha censurato la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2935 c.c. e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, comma 1, n. 27-ter, per avere il giudice a quo erroneamente ritenuto che la sospensione per carichi pendenti R.D. n. 2440 del 1923, ex art. 69, costituisse impedimento all’esercizio del diritto al rimborso IVA, rivelando natura interruttiva del decorso della relativa prescrizione fino alla chiusura dei carichi pendenti.

– Con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la ricorrente ha censurato la decisione impugnata per motivazione apparente, avuto riguardo all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, per avere il giudice a quo effettuato un inconferente “richiamo in sentenza ai principi di collaborazione e buona fede che dovrebbero “connotare sempre il rapporto dell’ufficio con i contribuenti” e un’eccentrica affermazione in ordine alla rispondenza del comportamento del contribuente al “rispetto delle ragioni dell’ufficio”.

– Il primo motivo è infondato.

La sentenza della CTR motiva il rigetto dell’appello evidenziando, tra gli altri, i seguenti profili: il “carattere legale” del provvedimento di sospensione dell’Ufficio del 14 novembre 1994 relativo alla pratica di liquidazione del rimborso, classificato irregolare per carichi pendenti; l’effetto interruttivo della prescrizione connesso al provvedimento in parola “fino alla data di conclusione dei carichi pendenti indicati nell’atto di sospensione”; la circostanza dell’avvenuta definizione, solo nella data del 28 dicembre 2009, con il deposito della sentenza della Commissione salernitana che rigettava il ricorso dell’ufficio, del carico pendente correlato al ravviso di rettifica n. (OMISSIS)”.

– Due circostanze emergono come pacifiche in atti: l’intervenuta sospensione della procedura di rimborso in relazione a carichi pendenti riguardanti anni d’imposta precedenti (1984 e 1985); la successiva definizione di detti carichi in virtù di pagamento del dovuto relativamente al primo anno d’imposta (1984) nonchè il sopravvenuto passaggio in giudicato della sentenza n. 2710/09 della C.T.C., depositata il 28 dicembre 2009, non impugnata e sfavorevole all’Agenzia dacchè incentrata sulla statuizione dell’annullamento del secondo avviso di rettifica alla base del provvedimento sospensivo (1985).

– Va allora richiamato l’orientamento già espresso reiteratamente da questa Corte, secondo il quale “Il provvedimento di sospensione del pagamento (c.d. fermo amministrativo), previsto dal R.D. n. 2440 del 1923, art. 69, è espressione del potere di autotutela della P.A. a salvaguardia dell’eventuale compensazione legale dell’altrui credito con quello, anche se attualmente illiquido, che l’amministrazione abbia (o pretenda di avere) nei confronti del suo creditore e, avendo portata generale, in quanto mira a garantire la certezza dei rapporti patrimoniali con lo Stato mediante la concorrente estinzione delle poste reciproche (attive e passive), può essere legittimamente applicato anche ai rimborsi IVA, fino al sopraggiungere dell’eventuale giudicato negativo circa la concorrente ragione di credito vantata dall’erario” (Cass. n. 25893 del 2017; Cass. n. 7320 del 2014; Cass. n. 9853 del 2011).

– Il giudice nomofilattico ha anche condivisibilmente evidenziato che “Il provvedimento di sospensione del pagamento (cd. fermo amministrativo) previsto dal R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 69, u.c., costituisce una misura cautelare, espressione del potere di autotutela della P.A., rivolto a sospendere, in presenza di una “ragione di credito” della P.A. stessa, un eventuale pagamento dovuto, a salvaguardia dell’eventuale compensazione legale dello stesso con un credito, anche se non attualmente liquido ed esigibile, che l’amministrazione abbia, ovvero pretenda di avere, nei confronti del suo creditore e la sua adozione richiede soltanto il “fumus boni iuris” della ragione di credito vantata dall’Amministrazione, restando, invece, estranea alla natura ed alla funzione del provvedimento qualsiasi considerazione di un eventuale “periculum in mora”, senza che detta disciplina ponga dubbi di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.. Ne consegue che deve ritenersi legittimo il diniego di rimborso di IVA da parte dell’Amministrazione finanziaria, in dipendenza dell’adozione di provvedimento di fermo amministrativo delle somme pretese in restituzione, in ragione della pendenza di controversie tra le parti su rettifiche relative ad altre annualità d’imposta” (Cass. n. 9853 del 2011).

– La giurisprudenza di legittimità ha, infine, osservato che “In tema di rimborso IVA, qualora la ragione di credito che l’Amministrazione ha inteso garantire con un provvedimento di fermo amministrativo R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, ex art. 69, sia stata disconosciuta con sentenza definitiva, la prescrizione del diritto del contribuente all’erogazione del credito “fermato” inizia a decorrere dal passaggio in giudicato della suddetta decisione” (Cass. n. 412 del 2013).

– Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.

– Esso, invero, acclude un riferimento alla buona fede del contribuente e all’aderenza del suo comportamento al “principio di collaborazione” che affianca, sul piano argomentativo, la ratio decidendi della sentenza imperniata sulla tempestività dell’istanza di rimborso in correlazione alla cronologia della definizione dei carichi pendenti che avevano giustificato la sospensione in autotutela della procedura R.D. n. 2440 del 1923, ex art. 69.

– Va, pertanto, richiamato, con riferimento al caso di specie, l’avviso di questa Corte secondo cui “Qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa” (Cass. n. 11493 del 2018; Cass. n. 2108 del 2012).

– Il ricorso va in ultima analisi rigettato.

– Le spese sono regolate dalla soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia delle entrate ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 7.300,00, oltre rimborso forfetario e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Suprema Corte di Cassazione, il 29 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2021

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