Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6983 del 12/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 12/03/2021, (ud. 29/09/2020, dep. 12/03/2021), n.6983

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15627-2013 proposto da:

L.A., RICORSO NON DEPOSITATO ALLA data del 01/07/2013;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in 2602 ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

e contro

L.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA della Luce

n. 34/A, presso il Dott. C.R., rappresentata e difesa

dall’avvocato ESPOSITO GIOVANNI;

– ricorrente successivo –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, DP POTENZA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 96/2012 della COMM. TRIB. REG. della

BASILICATA, depositata il 01/08/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/09/2020 dal Consigliere Dott. ROSARIA MARIA CASTORINA.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 96/01/2012, depositata in data 1.08.2012, la Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo respingeva l’appello proposto da L.A. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Potenza che aveva rigettato il ricorso proposto dalla contribuente avverso un avviso di accertamento, per l’anno di imposta 2006; l’Agenzia delle Entrate aveva accertato induttivamente il reddito conseguito dalla contribuente, che non aveva presentato dichiarazione dei redditi e contestato, ai fini Iva, l’emissione e la contabilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, provvedendo a richiedere la relativa imposta dovuta. Il tutto scaturiva da una attività di indagine, conseguente ad una verifica effettuata nei confronti della società Borghi e Masserie s.p.a. interessando, con riferimento alla contribuente, sia il profilo connesso alle operazioni relative alle fatture per operazioni inesistenti, sia l’aspetto finanziario verificato mediante indagini bancarie.

La CTR, per quanto di interesse, affermava la legittimità dell’avviso sul presupposto che l’attività agrituristica era considerata agricola ai fini amministrativi ma non tributari ed era quindi assoggettata alle norme disciplinanti il reddito di impresa e quindi l’accertamento induttivo e, con riferimento alle fatture, che le stesse non trovavano riscontro in operazioni rese.

Avverso la sentenza della CTR la contribuente propone ricorso per cassazione affidato a sette motivi.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo e il secondo motivo la contribuente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.

Lamenta l’omesso esame della prova documentale dei lavori descritti nelle fatture contestate come inesistenti, consistente nella comunicazione di inizio lavori presentata presso la Comunità Alto Bradano di Acerenza in data 16.3.2006 dalla committente Borghi e Masserie s.p.a., e il difetto di motivazione sulla circostanza.

La censura non è fondata.

1.1. La CTR ha osservato che, in relazione alla fattura emessa dalla ditta Progetto Verde relativa a lavori di sistemazione esterna e modellamento terreno, i controlli effettuati sulla ditta contribuente avevano verificato che la stessa, relativamente a questi lavori, non aveva acquistato materiali e servizi inerenti, non disponeva di sufficiente personale e non aveva mai dichiarato, quale luogo di lavoro a fini Inail la località di Forenza, sede della contribuente e luogo di espletamento delle prestazioni. Altri elementi valutati dalla CTR erano la mancanza di registrazione della fattura, il mancato pagamento e l’omesso collaudo degli ingenti lavori. La CTR ha osservato che la ricostruzione di fatti ed accadimenti era fondata su presunzioni aventi le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza e nè era stata fornita prova certa a confutazione della tesi dell’ufficio.

1.2. In merito alla fattura di Euro1.000.000,00 emessa alla società Borghi e Masserie, la CTR ha rilevato che la contribuente non aveva nè attrezzature idonee alle prestazioni rese, nè aveva contabilizzato fatture inerenti a costi e/o materiali attinenti alle operazioni fatturate.

Inoltre, relativamente alla predetta operazione, la CTR ha ritenuto non sufficientemente documentate e giustificate le operazioni di versamento ai soci della società Borghi e Masserie per l’importo di Euro 731.000,00 successive al pagamento di complessivi Euro 948.000,00 riferito alla fattura emessa alla società Borghi e Masserie. Le operazioni di versamento ai soci della anzidetta società da parte della contribuente, a giudizio della Commissione erano una operazione di retrocessione alla società dello stesso credito, senza che fosse stata fornita alcuna idonea giustificazione in merito ai versamenti alle persone fisiche.

La CTR ha dunque esaminato le prove fornite, motivando sul punto.

1.3. La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).

Le censure motivazionali non conferiscono, comunque, al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda, bensì la sola facoltà di controllare – sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale – le argomentazioni svolte dal giudice di merito, cui “spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (ex multis, Cass. n. 742/2015).

3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione del D.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 42, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Lamenta che erroneamente la CTR aveva ritenuto la natura imprenditoriale e non agricola dell’attività agrituristica accertata.

La censura non è fondata.

2.1. In ordine all’inquadramento ai fini fiscali, la L. n. 96 del 2006, art. 7, comma 2, stabilisce l’applicazione delle disposizioni di cui alla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 5 il quale prevede un regime fiscale apposito per lo svolgimento dell’attività agrituristica: si tratta di un regime forfettario che si applica a condizione che l’attività agrituristica sia svolta nel rispetto delle autorizzazioni amministrative previste dalle leggi regionali.

Ai fini Iva, il regime forfettario consiste nell’applicazione di una percentuale di detrazione pari al 50% dell’Iva sulle operazioni attive relative all’agriturismo. Il regime è applicabile a tutti i soggetti che esercitano tale attività, sia in forma individuale, che in qualsiasi forma societaria. Ai fini delle imposte sui redditi, la norma prevede la determinazione del reddito imponibile applicando ai ricavi derivanti dall’attività agrituristica un coefficiente di redditività pari al 25%. Il coefficiente di redditività può essere applicato soltanto dalle ditte individuali e dalle società di persone (comprese snc e sas), con esclusione, quindi, delle società di capitali ed enti commerciali.

Tale regime, pur essendo quello naturale, non è obbligatorio, per cui si può sempre optare per la determinazione dei redditi e dell’Iva con metodi ordinari; l’opzione va comunicata nella dichiarazione Iva, valida anche ai fini del reddito, vincolante per almeno un triennio.

Il regime di favore non comporta l’esonero dagli obblighi contabili previsti in applicazione delle norme tributarie e civilistiche per lo svolgimento di attività commerciali (contabilità semplificata o ordinaria) ai fini della determinazione del reddito, mentre ai fini Iva vi è l’obbligo della separazione dell’attività in base al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 36, comma 4, a meno che entrambe le attività (sia quella agricola che l’agriturismo) siano svolte in regime ordinario.

La CTR ha osservato che all’attività di agriturismo, benchè connessa all’attività agricola strictu sensu, non si applicano le norme proprie del settore agricolo relativamente ai redditi ed Iva e che, in considerazione della mancata presentazione della dichiarazione dei redditi, l’ufficio poteva induttivamente determinare i redditi e le altre componenti attive (anche ai fini IVA).

2.2. Ciò posto, in tema di accertamento tributario, sulla base di una giurisprudenza consolidata di questa Corte, cui si ritiene di dovere dare continuità, rientra nel potere dell’Amministrazione finanziaria, nell’ambito della previsione di legge, la scelta del corrispondente metodo da utilizzare per procedere all’accertamento, di cui il contribuente può dolersi solo se gliene derivi un pregiudizio sostanziale (v., per tutte, da ultimo, Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 2872 del 03/02/2017 Rv. 642889). L’Amministrazione finanziaria non è infatti vincolata nella metodica da utilizzare, spettandole il potere di scegliere, nell’ambito dei criteri stabiliti dalla legge, quello ritenuto, nel caso, utile per il buon fine dell’azione accertativa, per cui una doglianza, che si limiti a contestare la correttezza formale di un atto impositivo, in connessione con una scelta discrezionale dell’amministrazione ed in assenza di pregiudizio sostanziale, risulta inammissibile, per difetto di interesse e non è idonea a giustificarne l’annullamento. Nella specie, come correttamente rilevato dalla ricorrente, sussistevano astrattamente i presupposti per l’accertamento ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41, ma anche ai sensi dell’art. 39, comma 2, lett. c) e d), poichè la contribuente aveva omesso di presentare le dichiarazioni fiscali il che rendeva, all’evidenza, inattendibile nel complesso la contabilità, a nulla rilevando che le scritture fossero state inizialmente istituite.

La inattendibilità della contabilità può discendere invero dalla sua incompletezza ma anche dalla sua mancata istituzione o dal mancato aggiornamento, trattandosi di situazioni del tutto assimilabili, alla luce della lett. e della ratio della previsione dell’accertamento induttivo extracontabile, ai sensi dell’art. 39, comma 2, che è collegato a tutte le ipotesi di contabilità complessivamente inattendibile ovvero ad altre circostanze di una certa gravità, quali: 1) Mancata presentazione della dichiarazione dei redditi; 2) Mancata tenuta scritture contabili o sottrazione delle stesse all’ispezione; 3) Scritture contabili complessivamente inattendibili.

In coerenza al consolidato orientamento giurisprudenziale, qualora il reddito sociale non sia stato indicato nella dichiarazione, ovvero la contabilità sociale possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto palesemente incompleta addirittura per mancanza delle scritture contabili per l’anno di riferimento, deve quindi ritenersi legittimo l’accertamento del reddito d’impresa, effettuato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2; ciò in quanto, in tali casi è consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e della regolarità complessiva della contabilità fiscale e, quindi, desumere, sulla base di presunzioni semplici, maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente (Cass. 26369/2019)

4. Con il quarto motivo la contribuente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Lamenta che la CTR aveva ritenuto integrato l’obbligo di motivazione dell’accertamento con il semplice riferimento alla indicazione della autorizzazione all’indagine bancaria.

La censura non è fondata.

Questa Corte ha ancora di recente affermato che “L’autorizzazione necessaria agli uffici per l’espletamento di indagini bancarie non deve essere corredata dall’indicazione dei motivi, non solo perchè in relazione ad essa la legge non dispone alcun obbligo di motivazione, a differenza di quanto invece stabilito per gli accessi e le perquisizioni domiciliari, ma anche perchè la medesima, nonostante il nomen iuris adottato, esplicando una funzione organizzativa, incidente esclusivamente nei rapporti tra uffici, e avendo natura di atto meramente preparatorio, inserito nella fase di iniziativa del procedimento amministrativo di accertamento, non è nemmeno qualificabile come provvedimento o atto impositivo, tipologie di atti per le quali, rispettivamente, la L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 1, e la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, prevedono l’obbligo di motivazione”. (Cass. civ., sez. trib., 03-08-2012, n. 14026; Cass. 17457/2017).

Inoltre, in tema di accertamento dell’IVA, l’autorizzazione prescritta dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 7 (nel testo, applicabile “ratione temporis”, risultante dalle modifiche introdotte dalla L. 30 dicembre 1991, n. 413, art. 18, comma 2, lett. c) e d)), ai fini dell’espletamento delle indagini bancarie risponde a finalità di mero controllo delle dichiarazioni e dei versamenti d’imposta e non richiede alcuna motivazione; pertanto, la mancata esibizione della stessa all’interessato non comporta l’illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite dall’Ufficio o dalla Guardia di Finanza, potendo l’illegittimità essere dichiarata soltanto nel caso in cui dette movimentazioni siano state acquisite in materiale mancanza dell’autorizzazione, e sempre che tale mancanza abbia prodotto un concreto pregiudizio per il contribuente.” (Cass., 7747/2019;Cass. Sez. 5, Sentenza n. 16874 del 21/07/2009 – Rv. 609290 – 01).

Peraltro si osservi che nemmeno l’assenza di autorizzazione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 7, ai fini della richiesta di acquisizione, dagli istituti di credito, di copia delle movimentazioni dei conti bancari, implica, in assenza di previsioni specifiche, l’inutilizzabilità dei dati acquisiti, salvo che ne sia derivato un concreto pregiudizio al contribuente ovvero venga in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale dello stesso, come l’inviolabilità della libertà personale o del domicilio, in quanto detta autorizzazione attiene solo ai rapporti interni ed in materia tributaria non vige il principio, invece sancito dal c.p.p., dell’inutilizzabilità della prova irritualmente acquisita (Cass. 13353/2018).

2. Con il quinto motivo la contribuente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, art. 38, comma 4 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La censura non è fondata.

3.1. La presunzione, stabilita dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, n. 2, secondo la quale i singoli dati ed elementi risultanti dai conti bancari sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dai successivi artt. 54 e 55, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili, ha un contenuto complesso, consentendo di riferire i movimenti bancari all’attività svolta in regime IVA e di qualificare gli accrediti come ricavi e gli addebiti come corrispettivi degli acquisti. La presunzione in virtù della quale le movimentazioni bancarie di denaro, risultanti dai dati acquisiti dall’Ufficio, si presumono conseguenza di operazioni imponibili, può essere, pertanto, vinta dal contribuente solo qualora il medesimo offra la prova liberatoria che dei movimenti egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, ovvero che questi non si riferiscono ad operazioni imponibili (Cass. 9573/2007; 21132/2011; 1418/2013). E tuttavia, a tal fine non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sui conti correnti, essendo, per contro, necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero della loro estraneità alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale delle stesse (Cass. 1739/2007; 13818/2007; 9146/2010; 21303/2013).

In materia di accertamenti bancari, la giurisprudenza della Corte di Cassazione (sentenze n. 4829/2015; 5758/2018) è ferma nel ritenere che, qualora l’accertamento, effettuato dall’Ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2), attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova, a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica, ma analitica, per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili, dalla movimentazione bancaria, non sono riferibili ad operazioni imponibili.

Nell’ambito del quadro normativo sopra delineato, la sentenza impugnata fa corretta applicazione della presunzione legale posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, con riferimento ai versamenti effettuati dalla ricorrente ai soci della società Borghi e Masserie, successive al pagamento di complessivi Euro 948.000,00 riferito alla fattura emessa dalla società Borghi e Masserie. La CTR ha osservato che le operazioni di versamento ai soci della predetta società da parte della contribuente, apparivano operazioni di retrocessione alla società delle stesse somme e, inoltre, che nessuna idonea giustificazione era stata addotta in merito a versamenti alle persone fisiche.

Come già evidenziato l’ufficio ha fatto ricorso ad un accertamento induttivo e non invece, ad un accertamento sintetico.

5. Con i commi 6 e 7 la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, comma 1 e art. 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e lamentando la errata determinazione del volume di affari e il mancato riconoscimento del diritto alla detrazione per non avere riconosciuto che le prestazioni contenute nelle fatture risultavano imputabili all’attività agricola.

La censura non è fondata.

Dalla lettura della sentenza si evince che il giudice di appello ha ritenuto che oltre all’attività agricola la ricorrente gestisse una attività imprenditoriale, diversa dall’attività agricola in relazione alla quale aveva omesso la dichiarazione dei redditi. La ricorrente sostiene di aver legittimamente attratto alla contabilità dell’impresa agricola (con IVA esposta deducibile) anche i costi sostenuti per l’attività agrituristica, il cui regime fiscale ammette solo l’abbattimento forfettario del 50% dell’iva sulle fatture attive emesse per servizi (di refezione, di alloggio, di vendita prodotti), ma non per quelle passive.

La CTR ha accertato che le operazioni fatturate erano inesistenti.

In tema d’IVA, il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, comma 7, in base al quale, se vengono emesse fatture per operazioni inesistenti, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura, va interpretato nel senso che il corrispondente tributo viene ad essere considerato “fuori conto” e la relativa obbligazione, conseguentemente, “isolata” da quella risultante dalla massa di operazioni effettuate e, per ciò stesso, estraniata dal meccanismo di compensazione tra IVA “a valle” ed IVA “a monte”, che presiede alla detrazione d’imposta di cui al D.P.R. cit., art. 19 (e ciò anche perchè l’emissione di fatture per operazioni inesistenti ha sempre costituito condotta penalmente sanzionata come delitto).

Tale regola prevale, peraltro, su qualsiasi regime speciale o agevolativo, quale quello del cit. D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 34, in tema di debito d’imposta del produttore agricolo (Cass. 3197/2015).

Il ricorso deve essere, conseguentemente, rigettato Le spese seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna L.A. al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 7.200.00 oltre alle spese prenotate a debito. Doppio contributo, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2021

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