Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6980 del 11/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 11/03/2020, (ud. 05/11/2019, dep. 11/03/2020), n.6980

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36676-2018 proposto da:

D.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

FRANCESCO CARRICATO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO

DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI PADOVA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2496/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 07/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARINA

MELONI.

La Corte.

Fatto

RILEVATO

che:

Con pronuncia depositata il 7/9/2018, la Corte d’appello di Venezia ha respinto l’appello proposto da S.D. avverso la pronuncia del Tribunale, che non gli aveva riconosciuto la protezione internazionale, nè la protezione umanitaria.

La Corte del merito ha rilevato che, nella specie, il ricorrente aveva dichiarato di avere lasciato il Paese di origine, la Guinea, perchè, essendo orfano dall’età di dieci anni ed essendo sempre vissuto di espedienti, era stato coinvolto in un traffico di marjuana da un poliziotto corrotto, e successivamente era stato ingiustamente accusato di avere partecipato ad una rapina, da cui la fuga dalla Guinea, lasciando la moglie ed il figlio piccolo.

Secondo la Corte d’appello, anche a prescindere dalla credibilità, la narrazione evidenziava una vicenda di diritto comune; inoltre, l’appellante non aveva mai fatto cenno alla situazione del Paese di origine quale fonte di effettivo pericolo per la sua incolumità in caso di rimpatrio nè aveva contestato il rilievo del Tribunale, sulla situazione della Guinea dopo le elezioni del 2014; anche per la protezione umanitaria, il ricorrente non aveva allegato alcuna effettiva esposizione a specifico rischio.

Ricorre il S.D. con tre motivi, illustrati con memoria.

Il Ministero non ha spiegato difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Col primo mezzo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3 e 14, per avere omesso la Corte d’appello di valutare tutte le allegazioni effettuate dalla parte, al fine di valutare la sussistenza del “danno grave” legittimante la protezione sussidiaria; col secondo mezzo, si duole della violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per avere la sentenza impugnata omesso di valutare le allegazioni dell’appellante in relazione alla doverosa comparazione tra il Paese di origine e quello di accoglienza, al fine di riconoscere la protezione umanitaria; col terzo, si duole della errata revoca dell’ammissione al patrocinio, non essendo manifestamente infondato l’appello.

I motivi sono da ritenersi inammissibili.

E’ bene precisare i passaggi argomentativi esposti dalla Corte d’appello a base della reiezione del gravame, inteso ad ottenere il riconoscimento della protezione sussidiaria e dell’umanitaria.

Quanto alla reiezione della prima misura, il Giudice territoriale, prescindendo dalla credibilità della narrazione, ha rilevato che il ricorrente, nell’audizione avanti alla Commissione territoriale, non aveva mai fatto cenno alla situazione generale del proprio Paese quale fonte di effettivo pericolo per la sua incolumità in caso di rimpatrio, nè aveva censurato il fatto, evidenziato dal Tribunale, che dopo le elezioni del 2014, la Guinea Bissau è tornata all’indipendenza e che l’Escovas è impegnata a mantenere l’assetto democratico conseguito; che il ricorrente aveva allegato una situazione di pericolo per la propria incolumità, correlata alle minacce ricevute dai famigliari del poliziotto corrotto, e non già alla situazione di conflitto armato interno o internazionale, ed aveva sottolineato le condizioni di insicurezza e l’alto tasso di criminalità.

Ora, è di chiara evidenza come la Corte del merito abbia fondato la reiezione della richiesta protezione sussidiaria sulla mancanza di allegazione da parte del ricorrente della situazione generale nel Paese di origine, derivante da violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato interno o internazionale, tale da costituire minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14.

Il Giudice territoriale ha sul punto ben evidenziato come il ricorrente si fosse limitato ad allegare il pericolo derivante dai famigliari del poliziotto corrotto, nonchè l’alto tasso di criminalità e la mancanza di prospettive economiche, fatti tutti che, neppure in astratto, possono ritenersi rientrare nella fattispecie considerata dall’art. 14 cit., come idonea ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria.

A fronte di detta argomentazione, il ricorrente si è limitato a sostenere la mancata cooperazione istruttoria da parte della Corte d’appello, la mancata considerazione della Relazione COI aggiornata, ha evidenziato la superficialità della pronuncia, per avere riportato che il D. è sposato ed ha una figlia, mentre la parte non è sposato e non ha figli, con ciò dimostrando di non avere colto l’effettiva ratio decidendi della pronuncia, ovvero la carenza allegativa di base, che viene ancora prima del profilo probatorio.

Anche il secondo mezzo è inammissibile, dato che, a fronte del rilievo della Corte d’appello, dell’assenza di allegazione in relazione alla “presumibile durata di una esposizione a rischio specifico”, il ricorrente ha denunciato la mancata comparazione della situazione nel Paese di origine con quella che la parte sta vivendo in Italia, ancora una volta non cogliendo la ragione del decidere adottata dal Giudice del merito, fondata sulla carenza di allegazione.

Non può, infine, non rimarcarsi che il ricorso è altresì carente sul piano dell’autosufficienza, limitandosi a ribattere di non avere una famiglia propria, a fronte della diversa indicazione di cui in sentenza (tra l’altro, la Corte d’appello ha indicato detta circostanza come riferita dalla stessa parte), senza neppure indicare dove e quando avrebbe fatto valere nel giudizio di merito la propria condizione di persona sola, priva di famiglia propria e di parenti.

Il terzo mezzo non è autonomo e resta quindi assorbito.

Non v’è luogo alla pronuncia sulle spese, non essendosi costituito il Ministero. In accordo con la pronuncia Sez. U. 23535/2019, va dato atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1- quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2020

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