Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 698 del 13/01/2011

Cassazione civile sez. trib., 13/01/2011, (ud. 23/09/2010, dep. 13/01/2011), n.698

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.M.L., rappresentata e difesa dall’avv. Antonio

Cicognani e dall’avv. D’Ayala Valva Francesco, presso il quale è

elettivamente domiciliata in Roma in viale Parioli n. 43;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro in

carica, e AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato,

presso la quale sono domiciliati in Roma in via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 28/17/08, depositata il 17 marzo 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23

settembre 2010 dal Relatore Cons. Dott. Antonio Greco;

uditi l’avv. Francesco D’Ayala Valva per la ricorrente e l’avvocato

dello Stato Maria Letizia Guida, per i controricorrenti e ricorrenti

incidentali;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generala Dott.ssa

Zeno Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso

nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze e per

l’inammissibilità e in subordine l’accoglimento del ricorso nei

confronti dell’agenzia delle entrate, e per il rigetto del ricorso

incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.M.L. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia indicata in epigrafe con la quale, accogliendo parzialmente l’appello dell’Agenzia delle entrate, ufficio di Milano (OMISSIS), veniva riformata la decisione di annullamento dell’avviso di accertamento ai fini dell’IRPEF, dell’IRAP e dell’IVA per l’anno 2000 emesso a suo carico.

All’origine dell’atto impositivo era la verifica dei rapporti fra la contribuente e la spa Cave San Bartolo, e segnatamente il contratto con il quale la prima cedeva alla seconda tutto il materiale lapideo estraibile nella cava di sua proprietà in (OMISSIS):

l’amministrazione finanziaria riteneva che la M. rivestisse la qualifica di imprenditore commerciale e – che il contratto posto in essere dissimulasse due distinti rapporti, il primo di appalto, ed il secondo di permuta con compensazione tra quanto dovuto dalla cedente alla società per l’attività di estrazione e di trasformazione svolta e quanto dovuto dalla cessionaria per l’acquisto dei materiali.

Secondo il giudice d’appello non era fondata la costruzione presuntiva dell’ufficio circa la dissimulazione di due distinti contratti, e neppure le presunzioni circa l’esercizio da parte della contribuente di un’attività d’impresa, e circa l’acquisto senza fattura delle prestazioni di estrazione e la vendita senza fattura dei materiali estratti alla società. In base all’art. 51 del t.u.i.r., tuttavia, doveva essere considerato come reddito d’impresa quello derivante dallo sfruttamento di cave, a prescindere dalla tipologia contrattuale adottata, rimanendo preclusa ogni indagine circa la sussistenza o meno in capo alla contribuente dell’esercizio di un’attività d’impresa, per la cui nozione occorreva far riferimento al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 4. Venivano, pertanto, ritenuti illegittimi i recuperi a tassazione, e le relative sanzioni, degli imponibili ai fini IVA e IRAP, mentre era ritenuto soggetto a tassazione quale reddito d’impresa il solo compenso percepito dalla contribuente, e non esposto nella dichiarazione dei redditi.

L’Agenzia delle entrate ed il Ministero dell’economia e delle finanze propongono ricorso per cassazione articolando un motivo di ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via preliminare, va esaminata l’eccezione di giudicato esterno sollevata dalla ricorrente nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..

In particolare, si deduce che, con ordinanze nn. 23206, 23368 e 23369 del 2008, questa Corte, nell’ambito di controversie tra la spa Cave San Bartolo e l’Agenzia delle entrate aventi ad oggetto avvisi di accertamento derivati dal medesimo contratto stipulato nel luglio 1995 tra la detta società e la M., sopra menzionato, ha dichiarato inammissibili i ricorsi proposti dall’Agenzia, con conseguente passaggio in giudicato delle relative sentenze di appello, con le quali tale contratto era stato qualificato come vendita di genere del materiale lapideo da estrarre, ai sensi dell’art. 1378 cod. civ., con esclusione della qualità di imprenditore commerciale della venditrice M..

L’eccezione deve essere disattesa.

In base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, premesso che dal principio stabilito dall’art. 2909 cod. civ. – secondo cui l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa – si evince, a contrario, che l’accertamento contenuto nella sentenza non estende i suoi effetti, e non è vincolante, rispetto ai terzi (Cass., sez. un., n. 9631 del 1996), il giudicato può, tuttavia, quale affermazione obiettiva di verità, spiegare efficacia riflessa anche nei confronti di soggetti estranei al rapporto processuale. Ma tali effetti riflessi del giudicato, oltre gli ordinari limiti soggettivi, sono impediti quando il terzo sia titolare di un rapporto autonomo e indipendente rispetto a quello in ordine al quale il giudicato interviene, non essendo ammissibile nè che egli ne possa ricevere un pregiudizio giuridico, nè che se ne possa avvalere a fondamento della sua pretesa (salvo che tale facoltà sia espressamente prevista dalla legge, corre nel caso delle obbligazioni solidali, ai sensi dell’art. 1306 c.c., comma 2) (cfr., ex plurimis, Cass. n. 250 del 1996, n. 5320 del 2003, n. 5381 e n. 11677 del 2005, n. 7523 del 2007).

Nella specie, la controricorrente è parte di un distinto ed indipendente rapporto obbligatorio con l’amministrazione finanziaria, rispetto a quello intercorrente tra questa e la società Cave San Bartolo, con la conseguenza che il giudicato intervenuto nella controversia tra queste ultime non ha alcuna efficacia vincolante nel presente giudizio.

Il ricorso principale ed il ricorso incidentale, siccome proposti nei confronti della medesima decisione, vanno riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia.

Con il ricorso principale, denunciando, “ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, “illegittimità e nullità per plurimi motivi e assoluta infondatezza nel merito della sentenza impugnata”, la M. assume che “lo sfruttamento di cave” di cui all’art. 51 del t.u.i.r. sarebbe solo quello derivante da un’attività industriale concretamente svolta dal titolare-proprietario della cava, e quindi da un’attività d’impresa secondo i canoni del diritto commerciale, con esclusione di ogni altra diversa forma di sfruttamento; lamenta, inoltre, la violazione del divieto della doppia imposizione di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 69. Censura perciò il vizio di legittimità che inficerebbe la sentenza impugnata in quanto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, evidenzierebbe una omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio (realizzazione di un preteso reddito derivante da una sussistente attività diretta da parte del titolare-proprietario di sfruttamento della cava).

Il motivo di ricorso, come proposto, è inammissibile, in quanto, sotto la veste di vizi di motivazione vengono in realtà denunciate delle violazioni di legge, senza formulare il relativo quesito di diritto, come prescritto dall’art. 366-bis cod. proc. civ..

Con l’unico motivo di ricorso incidentale l’Agenzia delle entrate, denunciando “insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, censura la sentenza, per quel che concerne l’IVA, per aver escluso la ricorrenza della figura dell’impresa per la mancanza di organizzazione, laddove quel che rileverebbe è l’abitualità dell’attività economica; e si duole che, offrendo del contratto tra la contribuente e la spa Cave San Bartolo una determinata interpretazione, senza esaminare ed eventualmente confutare le argomentazioni dell’Ufficio, anche se in ipotesi infondate, si sìa preclusa la possibilità di verificare se la detta contribuente “svolgeva attività d’impresa, presupposto di IVA ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1, 2 e 4”.

Anche tale motivo di ricorso, come proposto, è inammissibile, in quanto, sotto la veste del vizio di motivazione, viene in realtà denunciata una violazione di legge, senza formulare il relativo quesito di diritto, come prescritto dall’art. 366-bis cod. proc. civ..

I ricorsi vanno pertanto dichiarati inammissibili e le spese del giudizio vanno compensate tra le parti.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, li dichiara inammissibili.

Dichiara interamente compensate fra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 23 settembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2011

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