Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6979 del 11/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 11/03/2020, (ud. 08/10/2019, dep. 11/03/2020), n.6979

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16452-2018 proposto da:

G.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA

732, presso lo studio dell’avvocato ELVIRA RICCIO, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIULIO CALABRETTA;

– ricorrente –

contro

CREDITO COOPERATIVO CENTRO CALABRIA, in persona del Presidente pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 58,

presso lo studio dell’avvocato PIETRO TROIANELLO, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato PAOLO BATTAGLIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 776/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 22/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 08/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO

ANGELO DOLMETTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- G.S. ha convenuto avanti al Tribunale di Catanzaro – Sezione distaccata di Chiaravalle Centrale il Credito cooperativo Centro Calabria chiedendone la condanna alla restituzione di tutte le somme indebitamente addebitate e percepite a titolo anatocistico, sia su scoperto di conto, che su mutuo chirografario.

Nell’articolare le proprie difese, la Banca ha anche spiegato domanda riconvenzionale relativa al pagamento del residuo debito ancora in essere.

Con sentenza depositata il 20 luglio 2011, il Tribunale ha accolto sia la domanda attorea che quella riconvenzionale, condannando G.S. al versamento del maggiore importo.

2.- Avverso questa pronuncia, G.S. ha proposto impugnazione avanti alla Corte di Catanzaro.

In particolare ha rilevato che il giudice del primo grado non aveva tenuto conto, in relazione al credito fatto valere dalla Banca, del fatto che – tra questa e il condebitore solidale S.S. – era intervenuta un’apposita transazione, poi pure eseguita; e che di tale transazione egli aveva dichiarato, anche nel corso del giudizio, di volersi specificamente valere. Ha pure affermato che il Tribunale non aveva preso in integrale esame la richiesta restitutoria, che era stata formulata a partire dall’inizio del rapporto (1988) e non già con decorso solo dal 1993.

3.- Con sentenza depositata in data 22 aprile 2017, la Corte di Appello ha respinto l’impugnazione così presentata.

Con riguardo al punto dell’invocata transazione, ha rilevato che l'”odierno appellante, a fronte della tesi spesa dall’Istituto in seno alla comparsa di costituzione circa la presenza di una transazione e connessa richiesta di improcedibilità della domanda di restituzione, ebbe a insistere nelle proprie richieste”, laddove il diritto potestativo di aderire alla transazione stipulata da altri, ex art. 1304 c.c., deve intendersi rinunciato nel caso l’interessato opti per l’instaurazione o la prosecuzione della lite, invece che per la sua chiusura transattiva.

Con riferimento all’altra censura, come relativa all’oggetto concreto dell’azione intentata da S.G., ha riscontrato che dalla “lettura combinata” degli atti di parte emergeva in modo “indubitabile” che “l’azione venne focalizzata attorno a quanto verificatosi dal 1993 in poi”.

4.- Avverso questa pronuncia S.G. propone ricorso, affidandolo a due motivi di cassazione.

Resiste, con controricorso, la Banca.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5.- Il primo motivo di ricorso assume violazione delle norme degli artt. 1965,1976 e 1304 c.c., nonchè omesso esame di fatto decisivo.

Ad avviso del ricorrente, la transazione intercorsa tra la Banca, da un lato, e S.S. e G., dall’altro, ha oggetto diverso da quello proprio del presente giudizio, posto che la prima ha ad oggetto la “risoluzione bonaria stragiudiziale di altri contenziosi pendenti tra le dette parti” e, in specie, “l’azione esecutiva di pignoramento nei confronti di entrambi i Sestito per il recupero delle somme a sofferenza del c/c”. Invece, l'”oggetto del presente giudizio” attiene all'”anatocismo”.

D’altro canto – si aggiunge – la Corte calabrese non tenuto conto della “dichiarazione della Banca stessa di avere liberato entrambi i debitori (anche l’attore)”.

6.- Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

Il ricorrente non indica gli atti e le modalità con cui, nel precedente giudizio di merito, avrebbe sollevato il tema della diversità tra la transazione a suo tempo conclusa e l’oggetto del giudizio in essere. Sì che il ricorso difetta del pure necessario requisito dell’autosufficienza, di cui all’art. 366 c.p.c..

Non diversamente è da ritenere per l’altro punto rilevato dal motivo, posto che il ricorrente non indica cosa concreterebbe il preteso atto di liberazione, che la Banca avrebbe effettuato. Nè gli atti e i termini con cui ne avrebbe rilevato la sussistenza nell’ambito del giudizio di merito.

7.- Il secondo motivo assume violazione delle norme dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, come pure violazione degli artt. 183 e 184 c.p.c., nonchè omesso esame di fatto decisivo.

Secondo il ricorrente, dunque, “l’attore con la memoria ex art. 183 c.p.c…. aveva precisato la domanda nel senso della richiesta di indebito doveva intendersi retroagita fino al 1988 (quando era stato aperto il c/c) e di conseguenza chiedeva che la CTU compisse il suo accertamento non dal 1993, ma dal 1988. Vi è stato un errore in procedendo non avendo il giudice vagliato una domanda nuova. Non si comprende perchè, se il c/c era stato aperto nel 1988… e l’attore chiede l’accertamento dell’anatocismo e CMS sin dall’apertura del c/c, perchè il giudice debba considerarlo domanda nuova inammissibile e non (l’indicazione dell’anno 1993) un mero refuso, un errore materiale”.

8.- Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.

Il ricorrente trascura di trascrivere il testo delle conclusioni assunte nell’atto di citazione del primo grado, come pure i passi rilevanti della memoria ex art. 183 c.p.c. Non di meno omette di riportare pure il contenuto dell’atto di precisazione delle conclusioni (sempre in relazione al giudizio del primo grado).

Perciò, il motivo non risponde al requisito della necessaria autosufficienza, che risulta prescritto dall’art. 366 c.p.c.

9.- In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la regola della soccombenza e vengono

liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità. che liquida nella somma di Euro 2.100.00 (di cui Euro 100,00 per esborsi), oltre a spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile – 1, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2020

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