Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6978 del 11/04/2016


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 6978 Anno 2016
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: ROSSETTI MARCO

SENTENZA
C/11

sul ricorso 18915-2013 proposto da:
TUCCI ILARIA TCCRLI74B51F839S, TAGLIENTE DONATO,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI GRACCHI
137, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO
BONANNI, rappresentati e difesi dall’avvocato ANGELO
SCALA giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrenti contro

PATRIARCA ALFREDO, elettivamente domiciliato in ROMA,
CIRCONVALLAZIONE CLODIA 177, presso lo studio
dell’avvocato FERNANDO ARISTEI STRIPPOLI, che lo

1

Data pubblicazione: 11/04/2016

rappresenta e difende giusta procura speciale in
calce al controricorso;
UNIPOL ASSICURAZIONI SPA (già NAVALE ASSICURAZIONI
SPA) in persona del suo procuratore Dott. GIACOMO
MARIA SAVERIO LOVATI, elettivamente domiciliata in

FRANCESCO BALDI,

che la rappresenta e difende giusta

procura speciale a margine del controricorso;
UNIPOL ASSICURAZIONI SPA in persona del suo
Procuratore Dott. ENZO FRILLI, elettivamente

domiciliata

in ROMA, VIALE B. BUOZZI 53, presso lo

studio dell’avvocato CLAUDIO RUSSO, che la
rappresenta e difende giusta procura speciale a
margine del controricorso;
ASL ROMA D in persona del Commissario Straordinario
p.t. nonché legale rappresentante p.t., domiciliata
ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato
GLORIA DI GREGORIO giusta procura speciale in calce
al controricorso;
– controricorrenti

nonchè contro
CASTALDO FRANCESCO;
– intimato Nonché da:
CASTALDO FRANCESCO, elettivamente domiciliato in

2

ROMA, VIA SALARIA 292, presso lo studio dell’avvocato

ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 177, presso lo studio
dell’avvocato FERNANDO ARISTEI STRIPPOLI, che lo
rappresenta e difende giusta procura speciale in
calce al controricorso e ricorso incidentale;
– ricorrente incidentale –

UNIPOL ASSICURAZIONI SPA (già NAVALE ASSICURAZIONI
SPA) in persona del suo procuratore Dott. GIACOMO
MARIA SAVERIO LOVATI, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA SALARIA 292, presso lo studio dell’avvocato
FRANCESCO BALDI, che la rappresenta e difende giusta
procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente all’incidentale nonchè contro

TUCCI ILARIA TCCRLI74B51F839S, TAGLIENTE DONATO,
PATRIARCA ALFREDO, ASL ROMA D, UNIPOL ASSICURAZIONI
SPA;
– intimati –

avverso la sentenza n. 260/2013 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 15/01/2013, R.G.N. 6852/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16/12/2015 dal Consigliere Dott. MARCO
ROSSETTI;
udito l’Avvocato ANGELO SCALA;
udito l’Avvocato FERNANDO ARISTEI STRIPPOLI;
udito l’Avvocato GIUSEPPE BALDI per delega;

3

contro

udito l’Avvocato CLAUDIO RUSSO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per il
rigetto del ricorso principale, inammissibilità del

ricorso incidentale;

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R.G.N. 18915/13
Udienza del 16 dicembre 2015

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il 19.12.2003, nell’ospedale “G.B. Grassi” di Ostia, Ilaria Tucci diede alla
luce una bimba nata morta.
Nel 2006 Ilaria Tucci e il marito, Donato Tagliente, convennero dinanzi al
Tribunale di Roma i dott.ri Francesco Castaldo e Alfredo Patriarca, e la ASL

rispettivamente in conseguenza del fatto di cui sopra.

2. I convenuti si costituirono negando la propria responsabilità, e comunque
chiedendo di essere garantiti dai rispettivi assicuratori. Vennero dunque
chiamate in causa le società Navale s.p.a., Cattolica s. coop. a r.l. e Unipol
s.p.a..

l Il Tribunale di Roma con sentenza 16.5.2011 n. 10126 rigettò la
domanda, ritenendo insussistente la colpa dei sanitari.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza 15.1.2013 n. 260, rigettò il
gravame.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da Ilaria Tucci e
Donato Tagliente, con ricorso fondato su otto motivi.
Francesco Castaldo ha resistito con controricorso e proposto ricorso
incidentale.
Alfredo Patriarca ha resistito con controricorso.
La Unipol ha resistito al ricorso principale con due controricorsi a firma di
due diversi legali, consegnati per la notifica il 16.9.2013 (quello redatto
dall’avv. Russo) ed il 17.9.2013 (quello redatto dall’avv. Baldi); con un
terzo controricorso ha resistito al ricorso incidentale proposto da Francesco
Castaldo.
Anche la ASL ha resistito con controricorso.
Francesco Castaldo e la Unipol hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo ed il secondo motivo del ricorso principale.

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m4i

Roma /D, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni

R.G.N. 18915/13
Udienza del 16 dicembre 2015

1.1. I primi due motivi del ricorso principale possono essere esaminati
congiuntamente.
Col primo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano il vizio di nullità
processuale, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c.. Deducono di avere
domandato, in primo grado, la condanna dei sanitari e dell’ente convenuto
sia per

violazione dell’obbligo di informare la gestante sulle sue condizioni, e di
riceverne un valido consenso all’atto medico. Soggiungono che la Corte
d’appello ha ritenuto tardiva tale domanda sebbene ritualmente formulata,
ed avrebbe in tal modo violato l’art. 345 c.p.c.
Col secondo motivo di ricorso i ricorrenti lamentano

“la nullità della

sentenza ex art. 360 n. 5 c.p.c.”, per avere erroneamente trascurato di
esaminare il “fatto decisivo” rappresentato dalla violazione, da parte dei
sanitari, dell’obbligo di informare la paziente circa i rischi connessi alle
scelte terapeutiche.

1.2. Nella parte in cui lamenta il vizio di “omesso esame d’un fatto decisivo”,
ex art. 360 n. 5 c.p.c., il motivo è manifestamente inammissibile. Il “fatto”
di cui è menzione nell’art. 360 n. 5 c.p.c., infatti, è rappresentato da una
circostanza costitutiva della domanda o dell’eccezione, non concepibile
rispetto alla prospettazione di un error in procedendo, quale è il giudizio di
tardività d’una domanda.

1.3. Nella parte in cui lamenta la nullità processuale, il motivo è infondato.
Perché una domanda di danno (contrattuale o extracontrattuale) possa
ritenersi compiutamente formulata, non è sufficiente che l’attore si limiti a
domandare la condanna del convenuto al risarcimento. E’, al contrario, è
necessario che l’attore alleghi in modo chiaro e compiuto:
(a) in che cosa sia consistita la condotta che si assume illecita;
(b) perché essa deve dirsi colposa;
(c) quale danno ne sia derivato.
Tanto si desume dall’art. 163, nn. 3 e 4, c.p.c., là dove richiede che l’atto di
citazione contenga “la determinazione della cosa oggetto della domanda” e

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sia per imperita esecuzione della prestazioni da essi dovuta,

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Udienza del 16 dicembre 2015

“l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della
domanda”. La “cosa” oggetto della domanda è il risarcimento richiesto; i
“fatti” sono rappresentati dalla condotta materiale che si ascrive al
responsabile; gli “elementi” di diritto sono rappresentati dalle norme che
imponevano al responsabile una condotta alternativa, che mancò.

responsabilità d’un medico per violazione dell’obbligo di informare,
dovrebbe quindi non solo descrivere la condotta colposa, ma anche spiegare:
– quale danno ne sia derivato;
– quale sarebbe stata la scelta che avrebbe compiuto il paziente se fosse
stato correttamente informato.

1.4. Ciò premesso in diritto, si osserva in fatto che nel nostro caso gli attori
avevano dedotto nell’atto di citazione, al § XXIV, che tra il 13 e il 19
dicembre 2003 “i sanitari non comunicarono alcunché alla (gestante] (…),
né (…) provvidero a fornire una diagnosi in ordine alla situazione clinica (…)
e alla necessità e ai rischi connessi all’intervento di taglio cesareo”.
In nessuna altra parte dell’atto di citazione si descrive compiutamente la
violazione colposa, da parte dei convenuti, dell’obbligo di informare la
gestante sulla opportunità e/o sui rischi di eseguire un parto cesareo.
Il fuggevole accenno sopra trascritto non basta a ritenere correttamente
dedotta in giudizio una colpa per violazione dell’obbligo di informare, e la
sottesa domanda di risarcimento. Ciò per due ragioni.
La prima ragione è che di quella domanda mancavano sia l’esposizione della
“cosa” che ne formava oggetto (ovvero il danno causato dall’omessa
informazione); sia l’indicazione dei “fatti” posti a suo fondamento (ovvero la
scelta alternativa che la paziente avrebbe potuto compiere); sia
l’indicazione degli “elementi” di diritto che la sorreggevano (ovvero la regola
di condotta che si assumeva violata dai sanitari).
La seconda ragione è che qualsiasi domanda processuale, per potersi dire
correttamente formulata (alla luce del combinato disposto degli artt. 163,
nn. 3 e 4, ed 88 c.p.c.), deve essere espressa in modo chiaro ed inequivoco.
La domanda formulata dall’attore concorre a determinare il

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thema

m

Alla stregua di tali basilari principi, chi volesse invocare in giudizio la

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Udienza dei 16 dicembre 2015

decidendum, e non può ammettersi che per delimitare quest’ultimo il
convenuto prima, ed il giudice poi, debbano arrovellarsi a sciogliere le
cabale e le ambiguità d’una citazione oscura od ermetica.
Alla luce di quanto precede deve concludersi che:
(a)

la domanda non può dirsi nemmeno formulata, se dall’esame

cui all’art. 163, nn. 3 e 4 c.p.c., né la volontà dell’attore di proporla;
(b) se dall’esame complessivo dell’atto di citazione possa ricavarsi la volontà
dell’attore di proporre la domanda, ma ne siano incerti presupposti e
contenuti, il giudice ha l’obbligo di dichiarare la nullità della citazione e
fissare all’attore un termine per emendarla.
Nel caso di specie, per quanto detto, sussiste l’ipotesi sub (a), né i ricorrenti
hanno mai prospettato la violazione dell’art. 164 c.p.c., dolendosi che non
sia stato loro fissato alcun termine per sanare la nullità della citazione.

3. Il terzo, il quarto ed il quinto motivo del ricorso principale.
3.1. Il terzo, il quarto ed il quinto motivo del ricorso principale possono
essere esaminati congiuntamente.
Con questi motivi i ricorrenti lamentano sotto diversi profili (nullità della
sentenza, illogicità della motivazione, violazione di legge) la mancata
ammissione, da parte della Corte d’appello, delle richieste istruttorie da essi
formulate e vòlte a dimostrare la colpa per negligenza dei convenuti.
Col terzo motivo di ricorso deducono che le loro richieste istruttorie
sarebbero state rigettate dalla Corte d’appello con motivazioni tra loro
inconciliabili, per avere il giudice del gravame dapprima ritenuto che il
motivo d’appello, sul punto, era inammissibile, e poi sostenuto che le prove
richieste erano comunque irrilevanti. Sostengono che la decisione avrebbe,
in tal modo, violato l’art. 132 c.p.c..
Col quarto motivo di ricorso deducono che la Corte d’appello ha
erroneamente ritenuto generico il motivo d’appello col quale gli appellanti si
erano doluti del rigetto delle prove da loro richieste, sebbene la totale
mancanza di motivazione da parte del Tribunale su tale questione non

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complessivo dell’atto di citazione non emergano né gli elementi essenziali di

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Udienza del 16 dicembre 2015

consentiva di motivare in modo “specifico” la relativa doglianza. Sostengono
che la decisione avrebbe, in tal modo, violato l’art. 342 c.p.c..
Col quinto motivo di ricorso, infine, i ricorrenti lamentano che la Corte
d’appello abbia genericamente dichiarato “inammissibili e irrilevanti” le
prove da essi richieste, senza esaminarle nel merito. Sostengono che la

3.2. I tre motivi, nella parte in cui invocano il vizio di motivazione e la
nullità del processuale, sono complessivamente fondati.
Gli attori, nel giudizio di primo grado, avevano sostenuto che la sig.a Ilaria
Tucci, nelle ore precedenti il parto, venne lasciata sola e priva di assistenza,
sebbene le sue condizioni la richiedessero.
Avevano chiesto di provare per testi, a sostegno di tale domanda, la
seguente circostanza: che “la mattina del 19 dicembre [giorno del parto]
Tucci Ilaria non veniva sottoposta d alcun monitoraggio, non veniva visitata,
e nonostante le ripetute ed insistenti richiesta di essere esaminata, la
[gestante] era totalmente ignorata”.
Il Tribunale su tale istanza istruttoria non provvide, e su tale questione gli
odierni ricorrenti proposero appello.
La Corte d’appello, dopo avere ritenuto che il Tribunale avesse non già
omesso di pronunciarsi sull’istanza istruttoria, ma l’avesse implicitamente
rigettata, ha rigettato il motivo di gravame sulla base di due

rationes

decidendi.
Per un verso, la Corte d’appello ha – implicitamente, ma chiaramente ritenuto inammissibile il motivo d’appello concernente la prova per testi, sul
presupposto che, essendo il giudizio d’appello un “controllo della decisione
di primo grado”, gli appellanti avevano l’onere di indicare i mezzi di prova
della cui mancata ammissione si doleva, spiegare “dove si annidasse l’errore
del primo giudicante”, e dimostrare la rilevanza potenziale della prova
nell’economia della decisione.
Per altro verso, la Corte d’appello ha soggiunto che comunque “alla stregua
delle produzioni documentali e della istruttoria espletata le richieste

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decisione avrebbe, in tal modo, violato l’art. 132 c.p.c..

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Udienza del 16 dicembre 2015

istruttorie [degli appellanti] erano irrilevanti ovvero inammissibile ai fini del
decidere”.
Ambedue le suddette rationes decidendi sono viziate in diritto.

3.3. Erronea, in primo luogo, è l’affermazione secondo cui, essendo il
giudizio d’appello una revisio prioris instantiae, gli appellanti avrebbero

(a) trascrivere i capitoli di prova del cui rigetto intendevano dolersi;
(b) censurare in modo specifico il preteso errore del primo giudice;
(c)

esporre l’interesse all’impugnazione, e quindi l’esito che il giudizio

avrebbe avuto se le prove da essi richieste fossero state ammesse.
La Corte d’appello mostra dunque di ritenere che il giudizio d’appello abbia
ad oggetto non il rapporto dedotto in giudizio, ma la sentenza di primo
grado (p. 4, terzo capoverso, della sentenza impugnata). Qualifica quindi il
giudizio d’appello come revisio prioris instantiae, e ne trae la conseguenza
che l’atto d’appello dovesse essere “autosufficiente”

(scilicet, trascrivere i

capitoli di prova della cui mancata ammissione gli appellanti si dolevano).
Queste affermazioni della Corte capitolina sono erronee perché si fondano
su un presupposto erroneo: ovvero il fraintendimento del principio secondo
cui l’appello costituisce una revisio prioris instantiae.
Il giudizio d’appello, sin da quando entrò in vigore il vigente codice di
procedura civile, è sempre stato una

revisio prioris instantiae. Tale sua

caratteristica era resa evidente – tra l’altro – sia dall’obbligo di specificità dei
motivi d’appello (art. 342 c.p.c., nel testo originario), sia dal principio di
acquiescenza alle parti della sentenza non appellate (art. 329 c.p.c.).
La concezione del giudizio d’appello quale

revisio prioris instantiae fu

espressamente voluta dal legislatore del 1940: nel sistema del codice del
1865, infatti, nel quale l’appello devolveva al giudice di secondo grado la
cognizione piena della causa, a prescindere dai mezzi di impugnazione, il
giudizio d’appello finiva per “ridurre quello di primo grado ad un semplice
saggio preliminare”, riservando la trattazione dei “problemi più salienti e le
prove più importanti” alla fase d’appello (così la Relazione del Guardasigilli
al sul progetto definitivo, § 244).

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lo

(14-

dovuto, a pena d’inammissibilità:

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Le riforme del 1990-1995-2012 hanno accentuato tale aspetto, ma non lo
hanno affatto introdotto.
E’, pertanto erroneo affermare che il giudizio d’appello abbia oggi una
natura od un oggetto diverso da quello che aveva nel 1940. Revisio prioris
instantiae è oggi, e revisio prioris instantiae era allora (come affermato già,

Stabilito dunque che l’oggetto del giudizio d’appello non è affatto mutato,
deve ora rilevarsi come l’attribuzione al giudizio d’appello della natura di
revisio prioris instantiae non vuol affatto dire che esso costituisca un
giudizio sulla sentenza di primo grado, e non sul rapporto.
L’appello resta un giudizio di merito pieno, sul rapporto dedotto in giudizio,
sia pure nei limiti dei motivi proposti dall’appellante. La Corte d’appello,
entro tali limiti, è chiamata a stabilire se la pretesa dell’attore sia fondata,
non se il Tribunale abbia correttamente applicato la legge.
Tali principi sono stati ripetutamente affermati dalle Sezioni Unite di questa
Corte, sebbene – a quanto consta – con sentenze talora fraintese nella
pratica.
Infatti sia Sez. U, Sentenza n. 3033 del 08/02/2013, Rv. 625141, sia Sez.
U, Sentenza n. 28498 del 23/12/2005, Rv. 586371, là dove hanno
affermato che l’appello ha natura di revisio prioris instantiae, non hanno
affatto inteso sostenere che esso fosse un giudizio a critica vincolata, ma
compirono quell’affermazione al limitato fine di stabilire come si ripartisse
l’onere della prova in appello, e comunque ribadendo che la natura di revisio
prioris instantiae del giudizio d’appello impedisce all’appellante di impugnare
la sentenza di primo grado limitandosi ad una denuncia generica
dell’ingiustizia della sentenza, ma non trasforma il sindacato sul rapporto in
un sindacato sull’atto impugnato.
Da questi principi deriva, in primo luogo, che rispetto all’atto d’appello non è
concepibile alcun requisito di “autosufficienza” (quale che sia il maggior o
minore rigore che si volesse attribuire a tale nozione, dal significato non
sempre univoco nella giurisprudenza di legittimità). L’appellante ha l’onere
di indicare in modo chiaro di quale errore intende dolersi, ma non ha alcun

Pagina

,

llivt,
,.

tra le tante, da Sez. 3, Sentenza n. 2229 del 13/08/1966, Rv. 324357).

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Udienza dei 16 dicembre 2015

onere di trascrivere integralmente nell’atto d’appello i capitoli di prova che
assume erroneamente rigettati.
Potrà dunque limitarsi, una volta esposta la doglianza in modo chiaro, a
rinviare alle richieste istruttorie formulate in primo grado, indicando l’atto
nel quale tali richieste siano contenute (come già ritenuto da Sez. L,
“la

mancanza nell’appello di un principio di autosufficienza”).

3.4 Escluso dunque che gli odierni appellanti avessero l’onere, a pena di
inammissibilità dell’appello, di trascrivere in esso i capitoli di prova della cui
mancata ammissione si dolevano, la decisione qui impugnata è altresì
erronea sia nella parte in cui ha ritenuto inammissibile l’appello per non
avere gli appellanti specificato “dove si annidasse l’errore del giudicante”,
sia nella parte in cui ha comunque ritenuto inammissibili le prove da essi
richiesti.

3.5. Sotto il primo profilo, la decisione d’appello non ha considerato che il
Tribunale non adottò alcun provvedimento formale di rigetto delle istanze
istruttorie degli attori. La mancanza di una motivazione esplicita non
consentiva dunque agli attori che reiterare le proprie istanze, ovvio essendo
che è assai arduo muovere una censura specifica ad una decisione priva di
motivazione.
In questa fattispecie particolare, pertanto, l’onere di specificità dell’appello
era stato soddisfatto con la denuncia della mancanza di motivazione
espressa e con la reiterazione delle richieste, oneri cui gli appellanti
effettivamente assolsero (così l’atto d’appello, p. 7).

3.6. Sotto il secondo profilo, l’errore della Corte d’appello è stato duplice.
In primo luogo, essa ha esaminato nel merito un motivo d’appello reputato
poco prima inammissibile: il che non le era consentito, in virtù del principio
secondo cui quando il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità,
abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito,
queste sono da considerare tamquam non esset, e la parte soccombente

Pagina42,

m-

Sentenza n. 26192 del 01/12/2005, Rv. 585633, ove si ribadisce

R.G.N. 18915/13
Udienza del 16 dicembre 2015

non ha l’onere né l’interesse ad impugnare (Sez. U, Sentenza n. 3840 del
20/02/2007, Rv. 595555).
In secondo luogo, ed in ogni caso, la Corte d’appello ha rigettato nel merito
le richieste istruttorie degli attori con una motivazione solo apparente e
tautologica, e come tale violativa dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c.,

sentenza pronunciata da Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv.
629830.

3.7. La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla Corte
d’appello di Roma, la quale nel riesaminare il gravarne si atterrà ai seguenti
principi di diritto:
L’appello, nei limiti dei motivi di impugnazione, è un giudizio sul
rapporto controverso, e non sulla correttezza della sentenza
impugnata. Ne consegue che rispetto all’atto d’appello non è
concepibile alcun requisito di autosufficienza, ma solo di specificità,
e che pertanto l’appellante che intenda dolersi del rigetto in primo
grado delle sue istanze istruttorie non ha l’onere di trascriverle
nell’atto d’appello.

La specificità dei motivi d’appello presuppone la specificità della
motivazione della sentenza impugnata, sicché ove manchi
quest’ultima, dall’appellante non è esigibile altro onere che
riproporre l’istanza o la domanda immotivatamente rigettata.

4. Il sesto ed il settimo motivo del ricorso principale.
4.1. Il sesto ed il settimo motivo del ricorso principale possono essere
esaminati congiuntamente.
Con essi i ricorrenti lamentano che la Corte d’appello avrebbe motivato in
modo illogico il rigetto della loro richiesta di rinnovo della c.t.u.,
comunque non si è pronunciata sulle deduzioni svolte al riguardo dagli attori.

4.2. Il motivo è infondato.

Pagina

43

secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la nota

R.G.N. 18915/13
Udienza del 16 dicembre 2015

Il giudice che condivida la consulenza tecnica d’ufficio non ha altro onere
che di richiamarla, senza necessità di spiegare le ragioni della propria
adesione.
Né può costituire un vizio della sentenza, censurabile in sede di legittimità,
la scelta del giudice di merito non disporre o non disporre il rinnovo della

5. L’ottavo motivo del ricorso principale.
5.1. Con l’ultimo motivo del ricorso principale i ricorrenti sostengono che la
sentenza impugnata sarebbe nulla ex 132 c.p.c. per “omessa e/o
contraddittoria motivazione” sul punto dell’accertamento del nesso di causa
tra l’operato dei sanitari ed il danno da essi lamentato. Deducono che la
Corte d’appello ha, da un lato, rigettato la prova con cui gli attori
chiedevano di dimostrare che la paziente la mattina del parto fu lasciata
sola dai medici; dall’altro ha ritenuto che gli attori non avessero chiesto di
provare che la gestante avesse segnalato ai medici sintomi di sofferenza
fetale.

5.2. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento dei motivi nn. 3, 4 e 5.

consulenza.

Wu
6. Il ricorso incidentale di Francesco Castaldo
6.1. Col proprio ricorso incidentale Francesco Castaldo non ha proposto
alcuna doglianza nei confronti della sentenza impugnata, ma ha solo
riproposto le eccezioni rimaste assorbite per effetto del rigetto del gravame
(ovvero l’assenza di responsabilità del primario per non avere questi avuto
alcun rapporto con la paziente).
Esso è dunque manifestamente inammissibile.

7. Le spese.
Le spese dei presente grado di giudizio saranno liquidate dal giudice dei
rinvio.
P.q.m.
la Corte di cassazione, visto l’art. 380 c.p.c.:

Pagina

44

R.G.N. 16915/13
Udienza dei 16 dicembre 2015

(-) accoglie il ricorso principale nei sensi di cui in motivazione, cassa la
sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in
diversa composizione;
(-) dichiara inammissibile il ricorso incidentale proposto da Francesco
Castaldo;

I egittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile
della Corte di cassazione, addì 16 dicembre 2015.

(-) rimette ai giudice del rinvio la liquidazione delle spese del giudizio di

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