Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6978 del 11/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 11/03/2020, (ud. 08/10/2019, dep. 11/03/2020), n.6978

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15504-2018 proposto da:

AEREOPORTO DI GENOVA SPA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ARNO 88, presso lo

studio dell’avvocato CAMILLO UNGARI TRASATTI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ROBERTO NICOLA CASSINELLI;

– ricorrente –

contro

CURATELA FALLIMENTO (OMISSIS) SPA, in persona del Curatore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RUFFINI 2/A, presso

lo studio dell’avvocato VINCENZO ANNIBALE LAROCCA, rappresentata e

difesa dall’avvocato ANTONIO AIELLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 446/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 09/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 08/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO

ANGELO DOLMETTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Il Fallimento della s.p.a. (OMISSIS) ha convenuto avanti al Tribunale di Catanzaro la s.p.a. Aeroporto di Genova, con azione revocatoria fallimentare proposta, ex art. 67 L. Fall., comma 2 (nella versione alla riforma del 2005), nei confronti di una serie di pagamenti dalla società poi fallita corrisposti, nel corso del periodo sospetto, al convenuto in revocatoria.

Con sentenza depositata nell’ottobre 2014, il Tribunale ha accolto la domanda, emettendo le conseguenti condanne restitutorie.

2.- La s.p.a. Aeroporto di Genova ha proposto impugnazione avanti alla Corte di Appello di Catanzaro. Che la ha accolta parzialmente – in relazione, cioè, a pagamenti in relazione ai quali ha riscontrato che, in realtà, non era stata formulata alcuna domanda di revoca -, con sentenza depositata in data 9 marzo 2018.

3.- Nel confermare per il resto la decisione del giudice del primo grado, la Corte territoriale ha prima di tutto respinto l'”eccepita tardività della produzione della sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza e della sentenza dichiarativa del fallimento di (OMISSIS) s.p.a.”.

“Preme rilevare” – ha argomentato la sentenza – “come nel corso del giudizio di primo grado il fatto che la Minerva fosse stata prima attinta da una dichiarazione dello stato di insolvenza e a seguire dalla dichiarazione di fallimento non risulta essere mai stato contestato”. “Posta tale premessa è evidente come il Tribunale, nell’attivare i suoi poteri istruttori, abbia di fatto acquisito documenti in qualche modo “presupposti” da entrambe le parti, senza in alcun modo alterare l’onere della prova gravante su ciascuna delle due”.

D’altro canto, “la censura di cui trattasi si rileva fine a sè stessa sotto un duplice profilo”, ha proseguito la decisione. “Senza la documentazione di cui aveva disposto l’acquisizione, il Tribunale avrebbe dovuto fare riferimento alla data (pur errata) della dichiarazione di insolvenza indicata nell’atto di citazione dalla curatela, che, sul punto, non era stata contestata dall’odierna appellante”. “Sotto altro profilo poi l’errore in cui era incorsa la curatela nell’indicare la data della dichiarazione di insolvenza (emessa il 15.12.03 e non l’1.12.03) risulta del tutto innocuo, atteso che i prime pagamenti presi in considerazione, risalendo al 30.12.02 erano in ambedue i casi da ricomprendere nel periodo sospetto”.

4.- Quanto poi al tema della scientia decoctionis, la Corte d’Appello ha rilevato che “correttamente il giudice di prime cure ha posto l’accento sulle qualità personali del creditore che aveva ricevuto il pagamento”; “lungi dal confondere la società appellante con un operatore finanziario è evidente come il fatto che sia la Minerva, che l’Aeroporto di Genova operassero nel medesimo settore commerciale, e intrattenessero da tempo rapporti economici, risultava dato da dovere privilegiare”.

Operando creditore e debitore nello stesso settore, “peraltro del tutto ristretto”, il primo non poteva non conoscere le “vicende, le dinamiche e le problematiche di quello specifico mercato”: in particolare, lo “stato di dipendenza” di Minerva da Alitalia, “che progressivamente riduceva i margini di una sua collaborazione” con quella. Nei fatti, del resto, “un imprenditore esperto e accorto non può non essersi accorti; di un debito che nel tempo lievitata sino a raggiungere” cifre particolarmente importanti; nè può farsi “influenzare e convincere a dispetto di tali dati da una politica di rilancio anche pubblicitaria e caratterizzati da investimenti anche rischiosi”. In un simile contesto, anzi, “appare ben difficile immaginare il fatto che Aeroporto di Genova, chiamata a gestire i rapporti con la Minerva, non avesse prudenzialmente ritenuto di consultare i bilanci della sua debitrice”.

Non contrasta con questo scenario – ha proseguito la sentenza – il fatto che, nel corso del 2002 e del 2003, “fossero state avviate delle trattative volte a favorire il radicamento della Minerva nell’aeroporto appellante e a rafforzare l’operativo del vettore sullo scalo ligure”. La concessione di un contributo “promo-pubblicitario” era, in realtà, “subordinato alla verifica del rispetto di una serie di condizioni (regolarità dei voli; minimo di voli garantiti da Genova)” e “poteva essere elargito soltanto a seguito dell’avvenuto pagamento di tutte le fatture emesse dall’Aeroporto”.

“L’odierna appellante, ben conscia dello stato di crisi in cui versava Minerva, apriva a quest’ultima una speranza di rilancio assicurandosi comunque il preliminare pagamento dei propri crediti”. Il fatto poi che l’Aeroporto “non abbia interrotto i rapporti commerciali nel corso del 2003, il periodo c.d. sospetto, continuando a maturare crediti… non assume valenza significativa”. Minerva risultava “priva di alcun patrimonio con il quale far fronte agli ingenti crediti già maturati. In tale contesto, pur a fronte dello stato di insolvenza, l’unica speranza di rientro era data proprio dal perdurare delle attività di linea”.

5.- Avverso questa pronuncia la s.p.a. Aeroporto di Genova ha presentato ricorso per cassazione; che ha articolato in due motivi.

Ha resistito, con controricorso, il fallimento.

6.- Il ricorrente ha anche depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

7.- Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 67 L. Fall., artt. 2727,2729 e 2697 c.c., artt. 115,116 e 210 c.p.c., “nella parte in cui la Corte di Appello ha ritenuto ammissibile l’acquisizione della dichiarazione di stato di insolvenza e della dichiarazione di fallimento d’ufficio da parte del giudice di promo grado – Nullità del procedimento per avvenuta acquisizione agli atti del giudizio di documenti al di fuori dei parametri legali di cui agli artt. 183210 c.p.c.”.

Secondo il ricorrente, l'”ordine di esibizione l’ex art. 210 c.p.c. presuppone una specifica e tempestiva istanza di parte, che nella specie non vi è stata”. Nè può ritenersi che l'”acquisizione delle sentenze sarebbe stata irrilevante ai fini della decisione”: la “dichiarazione dello stato di insolvenza e la successiva dichiarazione di fallimento integrano ab origine presupposti dell’azione ex art. 67 L. Fall., la cui dimostrazione prescinde dall’insorgenza di contestazioni in ordine alla decorrenza del periodo sospetto”.

8.- Il motivo non può essere accolto.

La motivazione svolta dalla Corte di Appello muove in via espressa dal rilievo che la sussistenza della dichiarazione di insolvenza e quella di fallimento non sono state – in quanto tali – messe in discussione nell’ambito del giudizio del primo grado. Nè il ricorrente censura in qualche modo questo passo di accertamento.

Fermo questo punto, va pure rilevato che il ricorrente non segnala aspetti di erroneità nell’individuazione della data degli atti in questione come compiuta dai giudici di merito. Nè manifesta ragioni atte a contrastare il rilievo della Corte d’Appello per cui l’atto di citazione in primo grado del Fallimento conteneva, in proposito, l’indicazione di due date: tra loro sì diverse, ma comunque non rilevanti – nello specifico contesto della fattispecie concreta – ai fini della perimetrazione del periodo sospetto.

Per completezza, appare opportuno rilevare ancora che, anche ai sensi della versione dell”art. 17 L. Fall., vigente all’epoca dei fatti, la sentenza dichiarativa di un fallimento è atto giudiziario da rendere pubblica (tra l’altro) a mezzo di iscrizione per estratto nel registro delle imprese.

9.1.- Il secondo motivo lamenta violazione dell’art. 67 L. Fall., artt. 2727,2729 e 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., “nella parte in cui è stata ritenuta provata la scientia decoctionis in capo all’Aeroporto di Genova s.p.a. a fronte della mera conoscibilità dello stato di insolvenza, di fatto operando un’inversione dell’onere della prova senza tenere conto che la circostanza della mancata adozione da parte di Enac di provvedimento nei confronti di Minerva consentiva agli operatori del mercato aeronautico di escludere legalmente l’insolvenza”.

Nel concreto, il motivo porta sostanzialmente tre ordini di distinte censure.

9.2.- Nel ritenere la sussistenza della scientia decoctionis la Corte d’Appello si è fermata – questa la prima censura – al punta, della potenziale e astratta conoscibilità, senza tenere conto il requisito soggettivo della revocatoria fallimentare “si identifica nella conoscenza effettiva e concreta dello stato di insolvenza del debitore”.

Per tale riguardo, il motivo segnala che la decisione prende in considerazione il modello dell'”operatore economico avveduto del settore aeronautico” e che fonda la statuizione “sui dati desumibili dai bilanci, presupponendone la conoscenza” da parte del ricorrente.

9.3.- La seconda censura si condensa nel rilievo che la sentenza impugnato ha errato a considerare l’accordo di riscadenziamento del giugno 2002 come fatto dimostrativo della scientia.

In realtà, la circostanza dimostra – sostiene il ricorso – l'”esatto contrario, esprimendo la fiducia che Aeroporto di Genova riponeva nella continuità dell’attività di Minerva”. “Il creditore, che sa che la debitrice è sul punto di fallire, cerca di “strappare” il più possibile prima dell’imminente catastrofe (mediante transazioni “a saldo e stralcio”), non concede dilazioni a quindici mesi”

9.4.- La terza osservazione critica si focalizza sul fatto che la “vigente regolamentazione, comunitaria e nazionale, stabilisce che, la fine di potere operare collegamenti aerei di natura commerciale per il trasporto di passeggeri, posta e merci, ogni impresa deve preventivamente ottenere la licenza di esercizio di trasporto aereo”. Alla verifica dei requisiti necessari è deputato l’ENAC, che pure deve controllare che i singoli vettori sono in “possesso dei mezzi finanziari sufficienti per svolgere l’attività oggetto di licenza”.

Tale controllo – prosegue il ricorrente – non si arresta alla fase di concessione della licenza, essendo per contro duraturo. Nello specifico, però, l’ENAC non aveva adottato alcun provvedimento: per questa ragione – si conclude – il ricorrente ben “poteva ragionevolmente confidare sulla permanenza in capo a Minerva dei requisiti economici – finanziari per la contabilità aziendale”.

10.- Il motivo di ricorso non merita di essere accolto, in nessuna delle censure in cui è articolato.

11.- Secondo il tradizionale orientamento della giurisprudenza di questa Corte, la conoscenza effettiva del creditore dello stato di insolvenza del debitore poi fallito, di cui all’art. 67 L. Fall., ben può essere provata – così come ha ritenuto la Corte di Appello – a mezzo di presunzioni semplici ex artt. 2727 e 2729 c.c., comma 1, (cfr. di recente, tra le altre. Cass., 8 febbraio 2019, n. 3854; Cass., 12 novembre 2019, n. 29257; Cass., 8 febbraio 2018, n. 3081; Cass., 14 gennaio 2016, n. 526).

Il ricorrente sembra confondere, mescolare insieme, queste due nozioni (cfr. il precedente n. 9.2.), che pure sono, in sè stesse, nettamente distinte: l’una, attenendo all’oggetto della prova; l’altra, allo strumento probatorio.

Nella materia della prova per presunzioni non viene in considerazione un profilo di “negligenza” – ovvero pure di “colpevolezza”, a volere utilizzare un’espressione diversa, ma di sostanza omogenea -, che porti il tema verso il fronte della conoscibilità. Erra dunque il ricorrente che in proposito viene a evocare la figura dell'”avveduto” operatore economico e creditore e a soffermarsi sulla “conoscibilità” dei dati del bilancio di esercizio: allo scopo, appunto, di contrapporre alla conoscenza effettiva quella, solo “astratta” o “potenziale”, che assume essere caratteristica delle presunzioni.

Nell’ambito delle prove presuntive viene in considerazione, invece, la particolarmente elevata probabilità della effettiva sussistenza di un fatto, in sè ignoto, ma ritratto – per il mezzo di nessi gravi e precisi (oltre che tra loro concordanti) – da altri e noti fatti.

La materia delle presunzioni semplici si pone, in effetti, sul piano della realtà fattuale, non già su quello della doverosità giuridica.

12.- E’ senz’altro da escludere, poi, che – nel concreto dello sviluppo del procedimento presuntivo posto in essere – la Corte di Appello sia venuta a formulare delle presunzioni errate o “false”, perchè impiantate sul modello della diligenza/negligenza del creditore.

In effetti, essa si è focalizzata sul fatto oggettivo dell’esistenza di un mercato fortemente specifico ed estremamente ristretto – qual è quello delle attività imprenditoriali inerenti all’aeroporto di Genova – di cui erano parti attive tanto il creditore, quanto il debitore, tra loro specificamente legati, altresì, da nutriti rapporti operativi. Ha così riscontrato la concreta esistenza di una situazione fattuale oggettivamente connotata dalla reciproca conoscenza dei dati ed eventi relativi a ciascun operativo attivo in quel particolare mercato.

Su questa base ha poi constatato la concreta presenza di altri fatti, nell’intrinseco denunciativi di una progressivamente crescente insolvenza di Minerva. E così, in particolare, il progressivo deteriorarsi, e poi esaurirsi, dei rapporti economici (di franchising, in specie) correnti tra Minerva e Alitalia, dalla esistenza dei quali veniva nei fatti a dipendere la sopravvivenza economica della società poi fallita. E pure il continuativo, inesausto, crescere del montante di debito di Minerva (non solo in generale, ma anche) in specie nei confronti dell’Aeroporto creditore. E così anche l’oggettiva mancanza di beni di Minerva in qualche modo atti a coprire questa sua crescente misura di deficit, secondo quanto emergente (anche) dai dati del bilancio di esercizio del debitore medesimo.

13.- Ad avviso del ricorrente, comunque, questo insieme sarebbe rotto, frantumato, dal dato “discordante” delle trattative di riscadenziamento del debito di Minerva a suo tempo intercorse tra le parti (sopra, n. 9.3.).

In realtà, la nuda circostanza della concessione di una dilazione (ovvero della sussistenza delle trattative al riguardo) è fatto in sè neutro; non viene comunque a dimostrare – in automatico, per così dire – che il creditore non ha avuto nemmeno il “sentore della decozione in atto del patrimonio sociale” del debitore, come invece afferma il ricorrente.

Secondo quanto ha correttamente rilevato la Corte di Appello, la concessione di una dilazione dei pagamenti dovuti ben può essere frutto di una scelta imprenditoriale del creditore, consapevole non solo della precarietà dell’attuale situazione economica del debitore, ma pure che un’eventuale ripresa del medesimo (con tutto ciò che a questo consegue) può passare

solo attraverso la continuazione di quell’attività

imprenditoriale.

Ben può trattarsi, dunque, dell’accettazione consapevole di un rischio: di ricevere poi, alla resa dei conti, solo un pagamento in moneta fallimentare. Così come, per altro verso, si assume il “rischio potenziale di una futura revocatoria” (Cass., 24 aprile 2018, n. 10117) il creditore che, consapevole della decozione del proprio debitore – e disponendo perciò di un “motivo legittimo” ex art. 1206 c.c., per rifiutare la prestazione offertagli -, da questi comunque accetta il pagamento di quanto dovutogli.

Nel concreto della fattispecie concreta esaminata dalla Corte calabrese l’insieme delle circostanze sopra elencate (n. 12) non manca di dar luce anche a quella delle trattative sul riposizionamento delle scadenze del debito di Minerva (sulla necessità di una valutazione complessiva degli elementi materiali disponibili v., proprio con specifico riferimento al tema della scientia decoctionis, di recente, Cass., 12 dicembre 2019, n. 29257; Cass., 11 febbraio 2020, n. 3327).

14.- Quanto, poi, alla esistenza di una regolamentazione pubblicistica dei vettori aerei (sopra, n. 9.4.), è senz’altro da escludere, da un canto, che la stessa venga a comportare una qualche forma di esenzione dal comune regime della revocatoria fallimentare. Questo punto, del resto, è già stato opportunamente chiarito dalla pronuncia di Cass., n. 10117/2018, sopra citata.

Non può condividersi, d’altro canto, l’assunto del ricorrente per cui l’inerzia dell’ENAC avrebbe ingenerato – nel creditore qui ricorrente – una “ragionevole confidenza” sulla capienza patrimoniale del debitore Minerva.

L’affermazione del ricorrente si arresta, invero, sul piano della mera allegazione. Laddove, per cercare di creare un percorso presuntivo “discordante” da quelli sopra richiamati, sarebbe stato quantomeno necessario dimostrare che – secondo una prassi affatto consolidata a livello degli aeroporti italiani o, almeno, di quello genovese – il compulsare in modo continuativo gli atti dell’ENAC costituisce, per le imprese appunto operanti in quegli specifici e peculiari mercati, l’id quod plerumque accidit in punto di controllo della permanente capienza patrimoniale dei loro debitori.

15.- In conclusione, il ricorso va respinto.

Le spese seguono la regola della soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità. che liquida nella somma di Euro 8.100.00 (di cui Euro 100,00 per esborsi), oltre a spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Dà atto, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, secondo quanto stabilito dalla norma del comma 1 bis dell’art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile – 1, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2020

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