Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6974 del 12/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 12/03/2021, (ud. 17/09/2020, dep. 12/03/2021), n.6974

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 15753 del ruolo generale dell’anno

2015, proposto da:

C.F., rappresentato e difeso, giusta procura speciale

apposta a margine del ricorso, dall’avv. Luigi Giuliano,

elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv.to Antonio

Giuliano in Roma, Via Conca d’Oro n. 221;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Campania, n. 10747/18/14, depositata in data 9

dicembre 2014, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17 settembre 2020 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

 

Fatto

RILEVATO

che:

-con sentenza n. 10747/18/2014, depositata in data 9/12/14, non notificata la Commissione tributaria regionale della Campania, rigettava l’appello proposto da C.F. nei confronti dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 314/07/2013, della Commissione tributaria provinciale di Benevento che aveva rigettato il ricorso proposto dal suddetto contribuente avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Ufficio di Benevento, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, commi 2 e 3 aveva contestato, nei confronti di quest’ultimo, esercente attività di commercio al dettaglio di biancheria, maglieria e camicie, maggiori ricavi, ai fini Irpef, Irap e Iva, per l’anno 2009, in base all’emerso scostamento tra il reddito dichiarato e quello derivante dall’applicazione dello studio di settore nonchè alla ritenuta incompatibilità del reddito dichiarato con il tenore di vita condotto;

– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) a fronte di un accertamento da studi di settore corroborato da un’analisi del tenore di vita e dei costi sopportati per esigenze di vita familiare, il contribuente: a) incontestato il trasferimento di sede dell’attività in (OMISSIS) – non aveva fornito prova dell’eccepito minore pregio della zona precedente (Via E. Goduti) nè della effettiva flessione dei ricavi conseguente alla chiusura della detta strada dal 2007, denotando, per contro, i redditi dichiarati dal 2006 al 2009 un incremento e nessun evento perturbativo; b) non aveva provato alcunchè in ordine alla riscontrata incongruenza per la mancata indicazione nel quadro relativo ai beni strumentali dello studio di settore del valore dell’autovettura di sua proprietà e, in ordine alla rilevata non coerenza degli indici del valore aggiunto per addetto, del margine operativo lordo per addetto, dipendente e non dipendente; c) aveva acquistato un immobile – a fronte della spesa di Euro 72.500,00 e anche volendo considerare il contributo familiare – stimato non compatibile con il reddito dichiarato;

– avverso la sentenza della CTR, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle entrate;

– il ricorrente ha depositato memoria illustrativa insistendo per l’accoglimento del ricorso;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 21 septies, art. 42, commi 1 e 2 del D.P.R. n. 600 del 1973 nonchè D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, comma 1, per avere la CTR ritenuto legittimo l’avviso di accertamento in questione anche se affetto da nullità assoluta/inesistenza in quanto viziato da difetto assoluto di attribuzione del sottoscrittore in forza della declaratoria di incostituzionalità del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 24, a seguito della sentenza n. 37 del 2015 della Corte costituzionale;

– il motivo è inammissibile;

– in base all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronuncia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza non riguardante il “decisum” della sentenza gravata (così ad es. sez. 5 n. 17125 del 2007 e sez. 1 n. 4036 del 2011). In altri termini, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si traducano in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi della citata disposizione (così Cass., sez. 5, n. 21296 del 2016; Sez. 6 – 5, n. 187 del 08/01/2014; Sez. 5, n. 17125 del 03/08/2007; sez. 3, n. 359 del 2005 e altre); nella specie, il motivo non menziona alcun passaggiò della sentenza impugnata;

– trattasi, comunque, di censura inammissibile per novità della questione dedotta – peraltro non rilevabile d’ufficio, come dedotto dal ricorrente in memoria – e per violazione del principio di autosufficienza, evidenziandosi, sotto il primo profilo, che dal contenuto della sentenza impugnata non emerge la proposizione di una specifica eccezione in punto di invalidità dell’atto impositivo per difetto assoluto di attribuzione del sottoscrittore e, sotto il secondo profilo, che è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione di quelle questioni innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare – riproducendone il contenuto nelle parti rilevanti – in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. n. 17831 del 2016, n. 23766 e n. 1435 del 2013, n. 17253 del 2009);

– con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, e art. 2729 c.c. per avere la CTR ritenuto legittimo l’avviso di accertamento in questione, sulla base – in presenza di una contabilità regolare – della mera comparazione tra la percentuale di ricarico applicata e quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza potendo, invece, tale difformità fondare la ripresa solo nel caso in cui avesse raggiunto un livello di abnormità e irragionevolezza tale da privare la documentazione contabile di ogni attendibilità;

– il motivo è infondato;

– la giurisprudenza costante di questa Corte ha chiarito che, pur in presenza di contabilità formalmente regolare, i ricavi possano essere ritenuti falsi anche in base alla loro sproporzione, per difetto, rispetto ai costi e che, in tale contesto, sia possibile un accertamento analitico-induttivo, il quale tenga conto delle poste passive indicate dal contribuente, per ricostruire i ricavi effettivi (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 20422 del 21/10/2005, Rv. 585383-01, secondo cui l’accertamento analitico-induttivo, è sempre legittimo quando l’esposizione dei ricavi sia talmente ridotta rispetto ai costi da indurre a ritenere antieconomica la gestione). In particolare è stato da tempo chiarito che “l’accertamento con metodo analitico-induttivo, con quale il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorchè di rilevante importo, è consentito, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacchè la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata” (ex multis: Cass., sez. 5, n. 33508 del 2018; n. 20060 del 2014); egualmente, in materia di IVA, è stato soggiunto che “l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, commi 2 e 3 sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni” (cfr., Sez. 6-5, Ordinanza n. 26036 del 30/12/2015, Rv. 638202-01; eadem, Sez. 5. Ordinanza n. 25217 del 11/101/2018; n. 32624 del 2019);

– nella sentenza impugnata, la CTR si è attenuta ai suddetti principi, in quanto – a fronte, pure in presenza di una regolarità formale della contabilità, di una serie di elementi presuntivi – stimati gravi, precisi e concordanti – posti dall’Ufficio a fondamento dell’accertamento analitico-induttivo di maggiori ricavi (non dichiarati), quali la rilevata incongruenza della mancata indicazione del valore dell’autovettura di proprietà del contribuente nel quadro “beni strumentali” dello studio di settore, la riscontrata non coerenza degli indici del valore aggiunto per addetto, del margine operativo lordo per addetto, dipendente e non, il possesso di un’autovettura e l’acquisto di un immobile asseritamente incompatibili con la percezione del reddito dichiarato – ha ritenuto con una valutazione di merito non sindacabile in sede di legittimità – non assolto dal contribuente l’onere di fornire la prova contraria non avendo quest’ultimo: a) pur essendo incontestato l’avvenuto trasferimento di sede in (OMISSIS) – allegato il “minore pregio della zona precedente” nè dimostrato la diversa incidenza delle ubicazioni sui ricavi nè l’effettiva flessione conseguente alla dedotta chiusura nel 2007 della strada E. Goduti in cui aveva esercitato l’attività nell’anno di imposta contestato; b) giustificato la rilevata incongruenza ai fini degli studi di settore e la riscontrata non coerenza degli indici di ricarico; c) provato l’acquisto dell’immobile con redditi non riconducibili all’attività di impresa essendo, di contro, emerso che del prezzo corrisposto di Euro 72.500,00, parte dell’importo (anche considerando gli aiuti familiari) fosse stato pagato dal contribuente; ogni altra argomentazione sottesa al motivo tende ad una inammissibile rivisitazione di apprezzamenti di fatto operati dal giudice di appello;

– con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, per avere la CTR ritenuto legittimo l’avviso di accertamento in questione ancorchè si basasse su un presupposto qual era l’assunto svolgimento dell’attività commerciale del contribuente in (OMISSIS) – risultato erroneo per essere stato documento il trasferimento della sede dell’attività da (OMISSIS) in (OMISSIS) a partire dal 2010, senza che assumesse quindi rilevanza la mancata prova da parte del contribuente del “minore pregio della zona precedente”;

– con il quarto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, per avere la CTR apoditticamente affermato che il contribuente non aveva eccepito alcunchè in merito alla “incongruenza della mancata indicazione nello studio di settore del quadro beni strumentali rispetto al registro beni ammortizzabili” relativamente al possesso della autovettura WolKswagen Golf, ancorchè quest’ultimo avesse documentato che l’autovettura, non essendo un bene strumentale, non era stata utilizzata per finalità imprenditoriali con conseguente mancata deduzione delle relative quote di ammortamento;

– con il quinto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, per avere la CTR ritenuto legittimo l’avviso di accertamento fondato anche sulla riscontrata incompatibilità del reddito dichiarato con il tenore di vita del contribuente avuto riguardo alla proprietà di un immobile acquistato nel 2009 ancorchè il contribuente avesse eccepito che il relativo corrispettivo fosse stato pagato con risorse accumulate negli anni precedenti e con l’aiuto della propria famiglia;

-i motivi terzo, quarto e quinto – da trattare congiuntamente per connessione – sono inammissibili posto che il vizio specifico denunciabile per cassazione in base alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nella specie, per essere stata la sentenza di appello depositata in data 9 dicembre 2014) concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass. n. 14324 del 2015); nella specie, il ricorrente non ha assolto il suddetto onere, non avendo dedotto l’omesso esame di “fatti storici”, ma peraltro quanto all’assunto della CTR circa la mancata prova da parte del contribuente dell’incidenza del mutamento di luogo di esercizio rispetto al reddito in termini di eccepito “minore pregio della zona precedente”, circa la mancata giustificazione della rilevata incongruenza per mancata indicazione del valore dell’autovettura nel quadro dei beni strumentali dello studio di settore e circa l’avvenuto acquisto dell’immobile con denaro, almeno in parte, del contribuente – di profili attinenti alle risultanze probatorie, la rivalutazione delle quali è preclusa a questa Corte;

-in conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato;

– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

PQM

la Corte:

-rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 5.600,00 per compensi oltre spese prenotate a debito;

Dà inoltre atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2021

 

 

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