Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6973 del 11/04/2016


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 6973 Anno 2016
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso 23784-2013 proposto da:
SCAVO

IVAN

SCVVNI83M19C351T,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA G.B. VICO 1, presso lo
studio dell’avvocato LORENZO PROSPERI MANGILI, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato STEFANO
PROSPERI MANGILI giusta procura speciale a margine
2015

del ricorso;
– ricorrente –

2522
contro

GENERALI ITALIA già INA ASSITALIA SPA e per essa la
mandataria

e

rappresentante

1

GENERALI

BUSINESS

Data pubblicazione: 11/04/2016

SOLUTIONS

S.C.P.A.

in persona

dei

procuratori

speciali Dott. VITTORIO PASCOLI e Dott. GIOVANNI
DIGITO, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato VINCENZI
MARCO, rappresentata e difesa dall’avvocato ROSARIO

al

controricorso;
– contrari correntenon chè contro

FINOCCHIARO MARIO;
– intimato –

avverso la sentenza n. 1033/2012 della CORTE
D’APPELLO di CATANIA, depositata il 27/07/2012,
R.G.N. 831/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 16/12/2015 dal Consigliere Dott. CHIARA
GRAZIOSI;
udito l’Avvocato LORENZO PROSPERI MANGILI;
udito l’Avvocato GIAN MARCO SPANI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

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GIUSEPPE GRASSO giusta procura speciale in calce

23784/2013

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 17 giugno 2008 il Tribunale di Catania, sezione distaccata di Acireale„
dichiarava improponibile una domanda risarcitoria di danni derivati da sinistro stradale
avvenuto il 25 luglio 2004 proposta da Scavo Ivan nei confronti di Finocchiaro Mario
(proprietario del veicolo) e ma Assitalia Assicurazioni S.p.A. (compagnia assicuratrice del

Avendo lo Scavo proposto appello contro tale sentenza, la Corte d’appello di Catania, con
sentenza del 25 giugno-27 luglio 2012, lo rigettava.
2. Ha presentato ricorso lo Scavo, sulla base di due motivi, il primo denunciante violazione e
falsa applicazione degli articoli 2943 e 2947 c.c. ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n.3
c.p.c. e il secondo denunciante omesso esame di fatto decisivo e controverso ex articolo 360,
primo comma, n.5 c.p.c.
Si difende con controricorso Generali Italia S.p.A. (già ma Assitalia S.p.A.) mediante la sua
rappresentante Generali Business Solutions, chiedendo il disattendimento del ricorso, e
insistendo poi anche con memoria ex articolo 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è infondato.
3.1 Il primo motivo si articola in una serie di doglianze, adducendo che il giudice d’appello
avrebbe violato le norme che disciplinano l’istituto della prescrizione “sotto un triplice profilo”.
In primo luogo, pur avendo condiviso la giurisprudenza di legittimità sull’applicabilità alla
fattispecie del termine quinquennale di prescrizione per l’azione di risarcimento di danni
derivanti da un illecito che integra il reato di lesioni personali, la corte territoriale avrebbe
erroneamente negato la concreta applicabilità della suddetta prescrizione quinquennale
ritenendo che su tale questione si sarebbe formato un giudicato interno,
Infatti, diversamente da quanto asserisce il giudice d’appello, nel gravame di merito sarebbe
stato impugnato anche detto profilo, perché tra le censure si annoveravano “l’errata e falsa
applicazione della sentenza n. 129/1986 della Corte Cost. in riferimento all’art. 2943 cc,” e
“l’errata interpretazione dell’art. 2943 c.c.”: e quindi non si sarebbe formato il giudicato
interno, tanto più che le sentenze di legittimità citate nella pronuncia impugnata – che hanno

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veicolo) per maturata prescrizione biennale.

ritenuto che se il fatto dannoso è astrattamente qualificabile come reato opera il termine
prescrizionale quinquennale – sono successive alla sentenza di primo grado.
Contraddittoriamente pertanto il giudice d’appello avrebbe escluso che potesse operare il
principio della rilevabilità di ufficio, non essendo considerabile l’applicabilità della prescrizione
quinquennale una nuova questione versata per la prima volta nelle memorie autorizzate
depositate dall’appellante il 14 giugno 2012.
La corte territoriale, invero, esclude che l’operatività della prescrizione biennale sia stata

quinquennale ex articolo 2947, terzo comma, c.c. secondo l’interpretazione del giudice di
legittimità di cui alle sentenze nn. 27337/2008, 20111/2010, 15883/2011 e 23795/2011
(sentenze tutte posteriori alla pronuncia di primo grado), ma altresì osservando che il principio
della rilevabilità d’ufficio deve essere coordinato con i principi governanti il sistema delle
impugnazioni, per cui i giudici dei gradi successivi al primo non hanno cognizione su ciò che ha
già integrato giudicato interno. Esclude, allora, che nell’atto d’appello sussistesse alcuna
censura sull’applicabilità del termine biennale di prescrizione, sul quale quindi si è formato il
giudicato interno, non potendo poi “il ravvedimento tardivo, operato dalla difesa dell’appellante
nelle note conclusive”, scardinare tale giudicato, poiché “nelle dette note non possono proporsi
questioni nuove”.
Quanto afferma la corte territoriale sulla graduale formazione dell’accertamento giurisdizionale
che dà luogo a giudicato interno prima che si pervenga alla conclusione del giudizio in tutti
suoi gradi è del tutto corretto, e di ciò ben consapevole è il ricorrente, che tenta di smentire la
formazione del giudicato interno adducendo che già nell’atto d’appello – e non come nova nelle
note conclusive, come ritiene la corte – erano presenti motivi censuranti l’applicazione della
prescrizione biennale a favore, appunto, di quella quinquennale. Ma quel che adduce il
ricorrente è privo di autosufficienza ex articolo 366, primo comma, n.6 c.p.c., non essendo
invero sufficienti, per valutare la presenza nell’atto d’appello di una siffatta censura, le due
enunciazioni quanto mai generiche cui si rapporta il ricorrente. Del tutto aspecifica, in primis, è
la denuncia di una “errata interpretazione dell’art. 2943 c.c.”, di cui il ricorrente non fornisce
poi in alcuna misura il contenuto argomentativo, ovvero identificativo della doglianza. Analogo
discorso vale altresì quanto alla denuncia di “errata e falsa applicazione” della sentenza n.
129/1986 della Corte Costituzionale ancora in riferimento all’articolo 2943 c.c., sentenza ormai risalente – che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 112, primo comma,
d.p.r. 30 giugno 1965 n. 1124 in relazione agli effetti interruttivi del deposito di ricorso
giurisdizionale in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali.
Adduce poi il ricorrente a integrazione del motivo il rilievo che le sentenze di legittimità
richiamate dal giudice d’appello sono successive alla sentenza di primo grado, deducendone
che tale giudice, in considerazione sia dei motivi di appello (che non sarebbero affatto impliciti)

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oggetto di impugnazione, premettendo che in astratto sarebbe applicabile la prescrizione

sia degli orientamenti giurisprudenziali “nuovi” rispetto alla sentenza del Tribunale, avrebbe
dovuto rilevare d’ufficio l’operatività del più lungo termine prescrizionale e non avrebbe
comunque potuto censurare la difesa dell’appellante “per avere nello specifico reso noto
l’applicabilità del termine più lungo…nelle memorie autorizzate” del 14 giugno 2012.
Sulla carenza di autosufficienza in ordine alla specificità dei motivi versati nell’atto d’appello si
è appena osservato. Per quanto riguarda, invece, l’effetto di una giurisprudenza posteriore alla
sentenza di primo grado, è sufficiente rilevare che il ricorrente continua subito dopo ad

nuove” e quindi inammissibili, in quanto parte appellante ha fondato tutto il giudizio di appello
proprio sulla questione relativa alla inapplicabilità delle norme relative alla prescrizione
dell’azione risarcitoria… Nessuna domanda nuova quindi è stata mai proposta nelle memorie
autorizzate di cui sopra, in quanto si è trattato piuttosto di contestazioni volte a contrastare la
domanda (sic) avversaria diretta a far valere il termine prescrizionale biennale” (ricorso,
pagina 5s.).
Meramente ad abundantiam, pertanto, si osserva che le Sezioni Unite con la sentenza n.
27337 del 18 novembre 2008, più che introdurre un drastico revirement (cfr. già, p. es., Cass.
sez. 3, 29 settembre 2004 n.19566), hanno disperso incertezze, intensificando così, in effetti,
il livello di tutela del danneggiato (conformi le successive Cass. sez. 3, 23 giugno 2009 n.
14644, Cass. sez. 3, 12 novembre 2009 n. 23930, Cass. sez. 3, 23 febbraio 2010 n. 4332,
Cass. sez. 3, 25 maggio 2010 n. 12699, Cass. sez. 3, 13 luglio 2011 n. 15368, Cass. sez. 3, 27
luglio 2012 n. 13407 e Cass. sez. 3, 25 novembre 2014 n. 24988). Ma anche qualora si
intendesse qualificare un assoluto mutamento del diritto vivente l’intervento delle Sezioni Unite
di cui si tratta, non si aprirebbe alcuno spiraglio nel giudicato interno, essendosi questo già
regolarmente formato visto il contenuto dell’atto di appello. Il riferimento che potrebbe infine
ravvisarsi, per quanto assai implicito, a quella giurisprudenza (a partire dalla nota ordinanza
interlocutoria Cass, sez. 2, 17 giugno 2010 n. 14627, cui si sono conformate Cass. Sez. 2, ord.
2 luglio 2010 n. 15809 e Cass. sez. 6-1, 26 luglio 2011 n. 16365) che ha riconosciuto, in forza
del principio costituzionale del giusto processo, la rimessione in termini ai sensi dell’allora
vigente articolo 184 bis c.p.c., e per di più d’ufficio, nel caso in cui un

revirement della

giurisprudenza namofilattica cagionasse al ricorso un vizio che come impugnazione lo rendesse
inammissibile o improcedibile – si osserva ancor più ad abundantiam – non ha comunque
pregio, sia perché, appunto e soprattutto, nel caso di specie già sussiste un giudicato mentre
questo non sussiste nelle ipotesi esaminate dal suddetto orientamento, sia perché in
quest’ultimo la natura del vizio scaturito dai revirement è tale da giustificare la rimessione in
termini officiosa, mentre ciò non sarebbe nel caso in questione, nel quale l’appellante avrebbe
ben potuto – ma non risulta che l’abbia mai fatto – immettere l’impulso di parte previsto dalla
legge (all’epoca, dall’articolo 184 bis c.p.c., attualmente dall’articolo 153, secondo comma,
c.p.c.) richiedendo la rimessione.
5

insistere che nelle memorie del 14 giugno 2012 “certamente non possono ravvisarsi” questioni

3.2.1 In secondo luogo, il ricorrente sostiene il principio per cui, in caso di rito del lavoro, i
termini di interruzione della prescrizione decorrerebbero dalla proposizione del ricorso
introduttivo, anziché dalla sua notificazione, come sarebbe stato riconosciuto, oltre che dalla
sentenza n. 129/1986 della Consulta, dal giudice di legittimità con la sentenza n. 7295/2004.

corte territoriale, la quale la disattende con una motivazione che, a ben guardare, il ricorrente
non confuta, limitandosi a richiamare le due pronunce suddette ma non fronteggiando il profilo
della recettizietà sulla base del quale la corte fonda la sua posizione.
Osserva invero la corte che l’appellante omette di considerare che l’atto interruttivo della
prescrizione, come atto recettizio, deve entrare nella sfera di conoscenza/conoscibilità del
debitore e che non si può confondere la questione dell’avvenuta instaurazione del giudizio – nel
rito del lavoro scindente la imploratio judici offici dalla in jus vocatio

con la recettizietà,

riconoscendo la giurisprudenza di legittimità che anche nel processo svolto secondo il rito del
lavoro l’interruzione della prescrizione non discende dal deposito del ricorso presso la
cancelleria del giudice adito ma dalla notifica dell’atto al convenuto.
Effettivamente tale è stato finora l’insegnamento – non contraddetto dalla sentenza n.
129/1986 del giudice delle leggi, specificamente relativa alla materia degli infortuni sul lavoro
e delle malattie professionali – di questa Suprema Corte. La sentenza richiamata dai ricorrente
– Cass. sez. lav., 16 aprile 2004 n. 7295 – è semplicemente uno dei molti arresti che si sono
collocati sulla linea dettata dall’intervento della Corte Costituzionale a motivo della peculiarità
della funzione di tutela in caso di infortuni sul lavoro e di malattie professionali (Cass. sez. lav.,
29 marzo 1995 n. 3737, S.U. 5 marzo 1998 n. 2429, Cass. sez. lav., 4 maggio 2007 n. 10212,
Cass. sez. lav., 9 novembre 2010 n. 14548 e Cass. sez. lav., 26 novembre 2012 n. 20859). Al
di fuori di tale eccezione, la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto come generale
principio, dettato dal codice civile governante gli effetti sostanziali anche degli atti processuali,
la recettizietà come requisito anche dell’atto processuale affinché questo abbia effetto
interruttivo (oltre alle pronunce richiamate dalla sentenza impugnata, v. le successive Cass.
sez. 2, 24 aprile 2010 n. 9861, Cass. sez. 3, 8 giugno 2012 n. 9303, Cass. sez. 1, 3 dicembre
2012 n. 21595 e Cass. sez. 1, 29 novembre 2013 n. 26804).
3.2.2 Occorre peraltro dare atto che nelle more del grado di legittimità su questa tematica
sono intervenute le Sezioni Unite, con una pronuncia – la sentenza 9 dicembre 2015 n. 24822
– che richiede un’attenta analisi della sua approfondita motivazione per valutare se possa
assumere una qualche incidenza sulla fattispecie in esame.

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Si tratta della riproposizione di una doglianza già presentata nell’atto d’appello, come illustra la

La questione da cui è sorto l’intervento delle Sezioni Unite concerne una fattispecie di
revocatoria ordinaria, la cui azione era stata dichiarata prescritta da entrambi i giudici di
merito, e consiste nel chiarimento dell’ampiezza di effetti del principio della scissione: in
particolare, si è posto alle Sezioni Unite il quesito se il principio della diversa decorrenza degli
effetti della notificazione nelle sfere giuridiche del notificante e del destinatario – introdotto
dalla sentenza n. 477/2002 della Corte Costituzionale e normativizzato dal legislatore
nell’articolo 149 c.p.c. aggiungendovi un terzo e ultimo comma mediante l’articolo 2, primo

specificamente in tal senso, da ultimo nella giurisprudenza antecedente all’intervento delle
Sezioni Unite, Cass. sez. 3, 8 giugno 2012 n. 9303, cit.) o se ne sia estensibile l’ambito di
applicazione alla notifica di atti sostanziali o di atti processuali che producano anche effetti
sostanziali, come è il caso, appunto, dell’atto di citazione per l’azione ex articolo 2901 c.c.
Le Sezioni Unite prendono le mosse dal rilievo che il principio introdotto dal giudice delle leggi
incide sulla interpretazione del concetto di “notificazione” come richiamato nell’articolo 2943
c.c., rendendone necessaria una interpretazione costituzionalmente orientata, la quale tenga in
conto che ratto della sentenza della Consulta è, prima ancora del diritto di difesa, il principio di
ragionevolezza, molto più espansivo del diritto di difesa sul piano interpretativo e implicante un
bilanciamento dei beni in conflitto, che si concretizza nel senso che “è proprio nella natura
della tecnica del bilanciamento che una soluzione normativa valida per una disposizione non sia
valida per un’altra”, io’ est che in un caso normative si dia tutela prevalente al notificante e in
un altro caso normativo si dia tutela prevalente al notificato.
Passando poi a un diretto esame del principio della scissione degli effetti della notifica a
seconda che siano da considerare nei confronti del notificante o nei confronti del notificato, le
Sezioni Unite additano come elementi ostativi a tale principio quelle che definiscono la teoria
dell’atto recettizio e la teoria della notificazione come fattispecie a forma progressiva,
osservando che, peraltro, le remore tanto giurisprudenziali quanto dottrinali al principio di
scissione che la Corte Costituzionale ha evinto dall’ordinamento “si riassumono in un timore: il
pregiudizio per il superiore principio della certezza delle situazioni giuridiche”. Principio che le
Sezioni Unite reputano superabile considerando che, qualora la notifica non si perfezioni,
cadono anche gli effetti provvisoriamente prodotti a favore del notificante. Dunque, il vero
problema non è altro che l’incertezza giuridica medio tempore, ovvero l’incertezza che dal
principio di scissione discende nel periodo tra la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario per la
notifica e la ricezione legale dell’atto. Per questa incertezza la soluzione si reperisce nel
bilanciamento dei beni coinvolti quale tecnica interpretativa.
Nell’atto processuale, allo scopo di tutelare il diritto di difesa del notificante, a questi deve
essere riconosciuto un termine per svolgere la sua attività processuale, termine da concedere
in misura intera. Per gli atti negoziali unilaterali, che sono atti sostanziali, ogni bilanciamento è

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comrna, lettera e), I. 28 dicembre 2005 n. 263 – riguarda soltanto gli atti processuali (cfr.

precluso dalla norma specifica racchiusa nell’articolo 1334 c.c. Ora, l’atto di citazione per
azione revocatoria produce effetti processuali e sostanziali, per cui la giurisprudenza anteriore
all’intervento delle Sezioni Unite ha ritenuto che l’effetto interruttivo della prescrizione si
verifichi al momento del perfezionamento della notifica della citazione. Le Sezioni Unite
obiettano a tale interpretazione che l’articolo 1334 c.c. non è applicabile perché la citazione
non è atto negoziale, e che l’articolo 1334 non è neppure estensibile agli atti processuali con
effetti sostanziali perché a una siffatta dilatazione costituisce barriera il criterio ermeneutico

alcuna analogia tra gli atti processuali e gli atti negoziali. Ma ove non può operare l’articolo
1334 deve applicarsi in espansione il principio generale ex articolo 12 prel., ovvero non
l’analogia legis (cioè l’applicazione analogica dell’articolo 1334), bensì l’analogia juris, ovvero il
principio affermato dalla Corte Costituzionale che deve applicarsi in difetto di norma specifica
contraria.
Osservano ancora le Sezioni Unite che la giurisprudenza fino ad allora prevalente identifica
nella citazione anche un atto di costituzione in mora, e dunque un atto recettizio, operando
così però una inaccettabile “commistione tra effetti sostanziali e struttura dell’atto”. Ma la
citazione per azione revocatoria non può avere una duplice natura processuale e negoziale,
poiché allora si dovrebbe ritenere che i vizi dell’atto di costituzione in mora (per esempio un
vizio di volontà) si propaghino all’atto processuale della citazione, in contrasto con il principio
dell’irrilevanza della volontà negli atti processuali. Il fatto che un atto processuale produca
effetti sostanziali non ne muta la natura, rectius non sviluppa in esso quei che le Sezioni Unite
suggestivamente descrivono come una doppia “natura formale (atto di citazione) e una natura
nascosta e baluginante (atto di costituzione in mora)”.
Il principio di certezza dei rapporti giuridici vale però tanto per gli atti sostanziali quanto per gli
atti processuali: ritorna allora il giudice nomofilattico a focalizzare l’incertezza che deriva dalla
provvisorietà degli effetti discendenti dalla scissione. In particolare, osserva che l’incertezza
giuridica originata dagli effetti provvisori scaturiti dalla consegna all’ufficiale giudiziario dell’atto
per la notifica (e che cessa con il perfezionamento di questa) è solo temporanea, e costituisce
una sorta di servitus justitiae, nel senso di “un danno temporaneo che ben può essere imposto
ad una parte incolpevole (il notificando) per evitare un danno ben più grave e definitivo al
notificante, parte ugualmente incolpevole”. E, più in generale, se il diritto non si prescrive
qualora lo si eserciti, nel caso in cui l’esercizio consiste nell’instaurare il giudizio “ciò che rileva
è che l’avente diritto abbia compiuto gli atti necessari per iniziarlo, nonché nel termine
l’obbligato lo venga a sapere”; quindi l’impedimento alla maturazione della prescrizione non
esige la conoscenza dell’obbligato, e comunque il completamento del procedimento di notifica
“mette il convenuto nella condizione di verificare se la prescrizione si è o no maturata”. In tal
modo, rilevano le Sezioni Unite, viene ragionevolmente applicata la tecnica interpretativa del
bilanciamento, dal momento che “non si può allocare sul notificante incolpevole la perdit a
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letterale; nè è configurabile una interpretazione analogica dell’articolo 1334, non sussistendo

definitiva del diritto quando basterebbe imporre al notificato il lieve peso di un onere di attesa,
dettato dal principio di precauzione”. Seguendo questo ragionamento, in sintesi, le Sezioni
Unite gravano del rischio del ritardo nell’espletamento da parte dell’ufficiale giudiziario delle
sue funzioni il destinatario dell’atto da notificare, affermando peraltro che occorre evitare sempre attraverso tale tecnica di riequilibrio interpretativo che viene definita, secondo
l’accezione tradizionale, bilanciamento – a entrambe le parti, incolpevoli, la perdita del diritto a
una e un lucro indebito all’altra: a quest’ultima le Sezioni Unite riconoscono tuttavia di porre a
carico un pati, ovvero “una situazione di attesa che non pregiudica, comunque, la sua sfera

Ravvisando la configurabilità in astratto di una obiezione fondata sul fatto che la tecnica del
bilanciamento porta a soluzioni opposte per gli atti sostanziali – ove il legislatore privilegia il
destinatario ex articolo 1334 c.c. – e per gli atti processuali – ove l’interpretazione
giurisprudenziale giunge a privilegiare il notificante -, le Sezioni Unite la confutano assumendo
che si tratta di un “conflitto apparente”, dato che “è proprio nella logica del bilanciamento che
non può esservi una soluzione valida per tutti i casi”. Gli opposti esiti del bilanciamento
derivano dalla opposta natura degli atti: per gli atti negoziali unilaterali un diritto non può
essere esercitato se l’atto non giunge a conoscenza del destinatario, mentre per gli atti
processuali è esercitato con la consegna dell’atto all’ufficio notificante. La ratio delle opposte
soluzioni, concludono le Sezioni Unite, “implica una fondamentale adio finium regundorum: la
soluzione a favore del notificante vale solo nel caso in cui l’esercizio del diritto può essere fatto
valere solo mediante atti processuali”.
3.2.3 è chiaro che questo meditato e ben calibrato intervento del giudice nomofilattico, qualora
fosse pervenuto a un risultato di cui poteva sembrare avesse già posto i fondamenti – laddove
ha negato che un atto introduttivo di giudizio possa avere una duplice natura, processuale e
negoziale -, avrebbe potuto incidere sulla questione oggetto del motivo in esame, nel senso di
neutralizzare il tradizionale requisito della recettizietà e facendo dunque discendere
l’interruzione della prescrizione dall’esercizio del diritto sostanziale mediante l’atto processuale,
pur se questo ancora non fosse stato reso noto al convenuto/destinatario essendo ancora nello
stadio di una mera imploratio judicis offici. Ma le Sezioni Unite si sono sapientemente attenute
a una cauta valutazione, che dopo una impostazione sistemica assai sviluppata è confluita
peraltro in uno stretto percorso finale, nel quale si è manifestato un

favor nei confronti del

preteso titolare del diritto sostanziale per impedire un indebito lucro della sua controparte
originato dalla condotta di un terzo – l’ufficiale giudiziario -, escludendo così che l’iniziativa
assunta da chi esercita il suo diritto sostanziale in prossimità della scadenza del termine
prescrizionale sia considerabile come una oggettiva inerzia, dovendosi al contrario qualificare
manifestazione della fruizione completa dello spazio temporale che il legislatore accorda prima
della estinzione del diritto per maturata prescrizione. La prescrizione viene intesa così come
uno strumento per tutelare la certezza giuridica che il legislatore utilizza, ma che integra un
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giuridica”.

sorta di extrema ratio rispetto alla quale è preferito – e quindi garantito in massima misura l’esercizio del diritto “sensibile” alla prescrizione.
La consapevolezza degli echi sistemici e comunque della delicatezza della materia trattata
viene manifestata dal giudice nomofilattico nella specificità finale, in cui si pone come actio
finium regundorum la necessità di una giustapposizione tra l’elemento sostanziale e l’elemento
processuale, poiché l’idoneità a interrompere la prescrizione viene riconosciuta all’atto
processuale solo nel caso in cui unicamente mediante atto processuale può essere fatto valere

non incide nel senso di gravare il destinatario dell’atto processuale di un onere d’attesa, ovvero
d’un pati (come lo definiscono le Sezioni Unite) di incertezza nel periodo cui si attua il principio
di scissione degli effetti di quella fattispecie a formazione progressiva che è la notifica, per cui,
qualora il diritto sostanziale possa essere tutelato, ovvero esercitato, anche mediante atti non
processuali (cioè atti sostanziali, non necessariamente identificabili esclusivamente in quelli di
cui all’articolo 1334 c.c.: si pensi, per esempio, a un negozio transattivo nel cui ambito il
debitore riconosce il diritto in questione e si obbliga ad adempierlo completamente,
datum et aliquid retentum

l’aliquid

rapportandosi ad altri diritti sostanziali trattati nel negozio),

l’effettuazione dell’atto processuale non incide sulla prescrizione qualora non sia entrato nella
sfera legale della conoscenza del destinatario. E dunque, in tal caso, nel rito ordinario,
irrilevante ai fi ni della prescrizione è la consegna dell’atto di citazione all’ufficiale giudiziario
perché lo notifichi, e nel giudizio avviato con ricorso il deposito di quest’ultimo presso la
cancelleria del giudice adito non incide sulla prescrizione, che si interrompe solo quando il
ricorso e il decreto di fissazione d’udienza vengono notificati al convento.
Rimane, pertanto, dopo l’intervento delle Sezioni Unite, una reciproca interferenza della natura
processuale e della natura sostanziale dell’atto: se l’atto processuale costituisce altresì l’unico
atto di esercizio del diritto sostanziale, quest’ultimo gli conferisce un effetto di immediata
interruzione prescrizionale per incrementare appunto la tutela del diritto sostanziale, ma la
natura processuale a sua volta incide escludendo l’applicabilità dell’articolo 1334 c.c.; qualora
invece il diritto sostanziale sia dotato di strumenti di tutela diversi e ulteriori, l’atto processuale
non si intride di alcuna incidenza peculiare che favorisca il diritto sostanziale ad esso sotteso
(non si può non ricordare del resto, sul piano sistematico, la generale strumentalità del diritto
processuale al diritto sostanziale), ma richiede il suo completo espletamento per poter
produrre non solo gli effetti processuali stabili ovvero definitivi (spegnendo l’incertezza
originata dalla loro provvisoria scissione), ma altresì gli effetti sostanziali che ad essi si
aggiungono.
Essendo indiscutibile che il ricorrente aveva a sua disposizione anche dispositivi interruttivi
della prescrizione diversi dall’instaurazione del giudizio processuale (sulla cui presenza, infatti,
impernia una successiva doglianza), deve riconoscersi quindi che, nel caso di specie,

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il diritto sostanziale. Ne consegue, a ben guardare, che la natura dell’atto processuale di per sé

l’intervento delle Sezioni Unite non apporta modifica all’orientamento giurisprudenziale cui si è
correttamente uniformata la Corte d’appello, non sopprimendo la natura recettizia dell’atto
interruttivo nel caso in cui costituisca pure un atto processuale.
E invero la stessa corte territoriale completa il suo ragionamento osservando che l’articolo
2943 c.c. pone a disposizione dell’interessato atti interruttivi diversi dalla domanda giudiziale,
per cui “il danneggiato non può certamente dolersi dei tempi con i quali il giudice ha
provveduto alla fissazione dell’udienza”, con conseguente posticipazione della notifica del

Nel caso, infatti, in cui la maturazione della prescrizione è imminente, l’avere depositato
ricorso giudiziale non inibisce al preteso creditore di avvalersi degli ulteriori atti interruttivi di
cui all’articolo 2943 c.c.: imputet sibi quindi il creditore che in tal caso lascia maturare la
prescrizione nelle more dell’emissione del decreto dell’adito giudice.
3.3 In terzo luogo, lamenta il ricorrente, quale violazione di legge, “la mancata attribuzione di
efficacia interruttiva della prescrizione a tutti gli atti e fatti concludenti posti in essere dalla
compagnia di assicurazione prima e successivamente alla data del deposito del ricorso
introduttivo del giudizio ed alla sua notificazione”. Richiama allo scopo una raccomandata della
compagnia datata 26 ottobre 2004 indirizzata tra l’altro al ricorrente, che avrebbe negato ogni
responsabilità del proprio assicurato, attribuendo al ricorrente l’esclusiva responsabilità del
sinistro, deducendone che la compagnia “era quindi perfettamente a conoscenza dell’evento
dannoso, interrompendo quindi essa stessa la decorrenza dei termini prescrizionali”. Si
tratterebbe di una produzione “in seno alle memorie autorizzate” depositata il 18 luglio 2007,
presente come n. 12 nell’elenco dei documenti del fascicolo di primo grado. Richiama altresì
due sentenze del giudice di pace di Acireale, le nn. 506 del 2005 e 410 del 2007, che
sarebbero state depositate in copia nel fascicolo di primo grado e che sarebbero relative al
sinistro in oggetto. Ancora, richiama la sentenza di appello del 6 luglio 2011 n. 528 con cui il
Tribunale di Catania, sezione distaccata di Acireale, avrebbe definitivamente accertato la
dinamica del sinistro con condanna dell’assicurazione all’integrale risarcimento del danno. I
suddetti elementi costituirebbero “fatti di causa” indicanti “una conoscenza piena ed assoluta
da parte della compagnia di assicurazione del diritto al risarcimento dei danni” dell’attuale
ricorrente, in particolare la sentenza d’appello avendo raggiunto definitiva esecutività in ordine
al medesimo sinistro e alle medesime parti processuali.
Questo terzo profilo di censura non rispetta, chiaramente, il principio di autosufficienza, in
quanto si limita a menzionare elementi dei quali non indica, se non in modo generico, il
contenuto, limitandosi ad addurre la loro presenza nel fascicolo di primo grado, e così
imponendo al giudice di legittimità una verifica del contenuto degli atti processuali dei fascicoli
dei gradi di merito che pretermette appunto il requisito dell’autosufficienza del ricorso per
cessazione (da ultimo, Cass. sez. 2, 20 agosto 2015 n. 17049; Cass. sez.1, n, 19 agosto 2015

11

ricorso introduttivo, dovendo questo essere notificato congiuntamente al decreto del giudice.

n. 16900; Cass. sez. 5, 15 luglio 2015 n. 14784; Cass. sez.6-3, ord. 3 febbraio 2015 n. 1926).
Per integrare la quale, evidentemente, il ricorrente avrebbe dovuto trascrivere quanto meno
quelle parti dei documenti invocati che avrebbero avuto a suo avviso incidenza sulla questione
della maturata prescrizione.
In conclusione, nessuno dei tre submotivi che compongono il primo motivo del ricorso risulta
fondato.

parti ex articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c. (si nota per inciso che, pur essendo applicabile
ratione temporis alla fattispecie il testo antecedente alla novellazione operata dall’articolo 54,
primo comma, lettera b), d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modifiche nella I. 7 agosto
2012 n. 134, il ricorrente non lamenta né insufficienza né contraddittorietà motivazionali)
perché il giudice di secondo grado avrebbe omesso di esaminare la sentenza del 6 luglio 2011
n. 528 del Tribunale di Catania, sezione di Acireale, prodotta con le memorie depositate il 14
giugno 2012, ovvero insieme ai primo scritto difensivo utile essendo intervenuta dopo il
deposito del ricorso d’appello. La sentenza costituirebbe un fatto decisivo perché “provava
l’indubbia conoscenza del diritto al risarcimento integrale del danno scaturente dal sinistro
stradale, già a far data dall’atto introduttivo del giudizio instaurato davanti al giudice di pace di
Acireale e definito con tale sentenza in appello.
Il motivo patisce la stessa carenza di autosufficienza in ordine al contenuto di quello che il
ricorrente definisce fatto decisivo che si è già rilevata a proposito della terza doglianza
racchiusa nel primo motivo dei ricorso, cui pertanto si rimanda.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente a
rifondere a controparte le spese processuali liquidate come da dispositivo.
Si dà atto altresì che sussistono i presupposti per il versamento ai sensi dell’articolo 13 comma
1 quater d.p.r. 115/2002 dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso principale imposto dal comma 1 bis dello stesso articolo 13.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, che
liquida in 8300, di cui E 200 per spese vive, oltre spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 si dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis
dello stesso articolo 13.
12

3.4 Il secondo motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

Così deciso in Roma il 16 dicembre 2015

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