Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 697 del 15/01/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 697 Anno 2014
Presidente: COLETTI DE CESARE GABRIELLA
Relatore: BANDINI GIANFRANCO

SENTENZA

sul ricorso 27679-2008 proposto da:
BOCCHINI EUGENIO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA CARLO POMA 2, presso lo studio dell’avvocato
ASSENNATO GIUSEPPE SANTE, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato ANDREONI AMOS, giusta delega
in atti;
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I.

contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE
C.F. 80078750587, in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

Data pubblicazione: 15/01/2014

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FREZZA

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l’Avvocatura

presso

Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati
RICCIO ALESSANDRO, VALENTE NICOLA, GIANNICO
GIUSEPPINA, giusta delega in atti;
– controri corrente –

MINISTERO DELL’ ECONOMIA E DELLE FINANZE;
– intimato –

avverso la sentenza n. 522/2007 della CORTE D’APPELLO
di ANCONA, depositata il 18/12/2007 R.G.N. 882/05;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza

del

11/12/2013

dal

Consigliere

Dott.

GIANFRANCO BANDINI;
udito l’Avvocato AMODEO ROBERTO per delega verbale
ASSENNATO GIUSEPPE;
udito l’Avvocato PREDEN SERGIO per delega ALENTE
NICOLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

contro

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 7-18.12.2007 la Corte d’Appello di Ancona
respinse il gravame proposto da Bucchini Eugenio nei confronti

pronuncia di prime cure, che aveva rigettato la sua domanda di
pensione di inabilità civile.
A sostegno del decisum la Corte territoriale ritenne che, ai fini del
riconoscimento del requisito reddituale richiesto per la concessione
del beneficio, non operava l’esclusione, dettata invece per l’assegno
di invalidità, del reddito percepito da altri componenti del nucleo
familiare dell’invalido e, quindi, nel caso di specie, giusta quanto
rilevato dal primo Giudice, di quello del fratello del Bucchini.
Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, Bucchini
Eugenio ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi.
L’intimato lnps ha resistito con controricorso.
L’intimato Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto
attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente sostiene che, in forza di
un’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa di
riferimento, deve ritenersi che, anche ai fini del beneficio della
pensione di inabilità, va dato rilievo soltanto al reddito personale
dell’invalido.

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dell’Inps e del Ministero dell’Economia e delle Finanze avverso la

In via gradata, con il secondo motivo, il ricorrente solleva poi
questione di illegittimità costituzionale dell’art. 14 septies legge n.
33/80 in relazione agli artt. 3, 29, 31, 32 e 38 della Costituzione.

Cass., nn. 4677/2011; 5003/2011; 10658/2012), rese con riferimento
alla disciplina anteriore alla novella di cui all’art. 10, commi 5 e 6, dl
n. 76/13, convertito in legge n. 99/13, ha enunciato il principio
secondo cui, ai fini dell’accertamento della sussistenza del requisito
reddituale per l’assegnazione della pensione di inabilità agli invalidi
civili assoluti, di cui all’art. 12 della legge n. 118 del 1971, assume
rilievo non solamente il reddito personale dell’invalido, ma anche
quello (eventuale) del coniuge del medesimo, onde il beneficio va
negato quando l’importo di tali redditi, complessivamente considerati,
superi il limite determinato con i criteri indicati dalla norma
suindicata.
A tale conclusione, innovativa rispetto ad altri precedenti arresti di
legittimità (ma sostanzialmente conforme ad ancora più risalenti
orientamenti ermeneutici), questa Corte è pervenuta sulla base delle
seguenti considerazioni:
– nel dettare una nuova disciplina delle provvidenze a favore dei
mutilati e invalidi civili, la legge 30 marzo 1971 n. 118 aveva previsto
la concessione di una pensione di inabilità per i soggetti maggiori di
18 anni nei cui confronti fosse stata accertata una totale inabilità
lavorativa (art. 12) e la corresponsione, per i periodi di
incollocamento al lavoro, di un assegno mensile ai soggetti di età

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2. Questa Corte, con alcune recenti pronunce (cfr, ex plurimis,

compresa fra il diciottesimo e il sessantaquattresimo anno, con
capacità lavorativa ridotta in misura superiore a due terzi (art. 13);

le condizioni economiche richieste dalla legge per l’assegnazione

comma 2, facendo riferimento a quelle stabilite dall’art. 26 della
legge n. 153 del 1969 e, a sua volta, l’art. 13, comma 1, prevedendo
la concessione dell’assegno mensile “con le stesse condizioni e
modalità previste per l’assegnazione della pensione di cui all’articolo
precedente”;

in base al richiamato art. 26 legge n. 153 del 1969 (norma,

quest’ultima, che stabiliva le condizioni economiche richieste per la
pensione sociale), l’invalido, per aver diritto alla pensione di inabilità,
come pure all’assegno mensile, non doveva essere “titolare di
redditi, a qualsiasi titolo, di importo pari o superiore a lire 156.000
annue” (così il testo originario dell’art. 26 della legge citata);

successivamente il decreto legge 2 marzo 1974 n. 30 (convertito

nella legge 16 aprile 1974 n. 114) intervenne per elevare l’importo
annuo della pensione di inabilità e quello mensile dell’assegno (art.
7), ribadendo (art. 8) che le condizioni economiche per le
provvidenze ai mutilati e invalidi civili – e, quindi, tanto per la
pensione di inabilità che per l’assegno mensile –

“sono quelle

previste nel precedente art. 3 per la concessione della pensione
sociale” e, nel contempo, stabilendo (appunto nell’art. 3, dettato in

parziale sostituzione dell’art. 26 della legge n. 153/69 cit.) che le
condizioni economiche necessarie per la concessione della pensione

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di entrambe le descritte prestazioni erano le medesime: l’art. 12,

sociale consistevano nel possesso di redditi propri per un
ammontare non superiore a lire 336.050 annue, ovvero, in caso di
soggetto coniugato, di un reddito, cumulato con quello del coniuge,

– con il successivo intervento di cui all’articolo unico della legge 21
febbraio 1977 n. 29 (di conversione, con modificazioni, del decreto
legge 23 dicembre 1976 n. 850) i limiti di reddito di cui all’art. 8 del
decreto legge n. 30/74 (che, come già detto, richiamava quelli
previsti dall’art. 3 dello stesso decreto legge per la concessione della
pensione sociale, a loro volta aumentati, per effetto dell’art. 3 della
legge 3 giugno 1975 n. 160, a lire 1.560.000 per il reddito cumulato e
a lire 505.050 per il reddito personale) furono elevati a lire 3.120.000
annui, ma esclusivamente (per quanto qui interessa) per la pensione
di inabilità: testuale era, invero, il riferimento fatto dal legislatore “agli

invalidi civili assoluti di cui all’art. 12 della legge 30 marzo 1971 n.
118”, mentre nessuna menzione era contenuta nella norma per gli
invalidi parziali di cui al successivo art. 13;
– per questi ultimi dovevano quindi, per il momento, ritenersi
ancora vigenti i limiti reddituali previsti dall’art. 3 del ripetuto decreto
legge n. 30/74, come modificati dall’art. 3 della legge n. 160/75; e,
nel contempo, in difetto di una qualsiasi esplicita previsione in tal
senso, o, quantomeno, di un sia pure implicito riferimento all’art. 3
del di n. 30/74, non vi era neppure spazio per una interpretazione del
testo normativo che portasse ad argomentarne l’intento del
legislatore di modificare, per la pensione di inabilità, la disciplina

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non superiore a lire 1.320.000 annue;

previgente, adottando come parametro di verifica del superamento
del limite reddituale il (solo) reddito personale dell’invalido assoluto,
ancorché coniugato; in definitiva, anche tale intervento legislativo

andava determinato tenendosi conto del cumulo del reddito dei
coniugi sia per la pensione che per l’assegno, mutando soltanto – ed
esclusivamente per la pensione di inabilità – l’importo massimo da
considerare ai fini della verifica del superamento (o meno) del
suddetto limite;
– nel convertire il decreto legge 30 dicembre 1979 n. 663 con la
legge 29 febbraio 1980 n. 33, venne aggiunta la disposizione dell’art.
14 septies, con la quale, nel mentre vennero ancor più elevati i limiti
di reddito di cui all’ad. 8 del di. n. 30/74, portati a lire 5.200.000
annui rivalutabili annualmente (comma 4), contestualmente (comma
5) venne stabilito che, per l’assegno mensile in favore dei mutilati e
invalidi civili di cui agli artt. 13 e 17 della legge n. 118/71 (l’art. 17, poi
abrogato dall’ad. 6 della legge 21 novembre 1988 n. 508,
disciplinava l’assegno di accompagnamento per gli invalidi minori di
18 anni), il limite di reddito da considerare era fissato nell’importo di
lire 2.500.000 annue, anch’esso rivalutabile annualmente e

“da

calcolare con esclusione del reddito percepito da altri componenti del
nucleo familiare di cui il soggetto interessato fa parte”;

– non poteva condividersi l’orientamento di alcune pronunce di
questa Corte (cfr, Cass., nn. 18825/2008, 7259/2009 e 20426/2010),
secondo cui, dopo la introduzione dell’ad. 14 septies citato, anche

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non incideva sul principio di sistema, per cui il limite reddituale

per la pensione di inabilità avrebbe dovuto farsi esclusivo riferimento
al reddito personale dell’assistito, in quanto:
a) l’intervento attuato dal legislatore con il comma 5 dell’art. 14

e invalidi civili, a seguito dell’innalzamento del limite reddituale
previsto – ma esclusivamente per gli invalidi civili assoluti – dalla
legge n. 29 del 1977; significativo di tale intento era che per
l’attribuzione dell’assegno veniva sì preso a riferimento il solo reddito
individuale dell’assistito, ma che l’importo da non superare per la
pensione di inabilità (comma 4) corrispondeva a più del doppio di
quello stabilito per l’assegno, ossia lire 5.200.000 annue a fronte di
lire 2.500.000 annue;
b) la norma rappresentava una deroga all’orientamento generale
della legislazione in tema di pensioni di invalidità e di pensione
sociale, in base al quale il limite reddituale va determinato tenendosi
conto del cumulo del reddito dei coniugi (cfr Corte Cost., sent. nn.
769/1988 e 75/1991; cfr, altresì, Corte Cost., n. 454/1992, in tema di
insorgenza dello stato di invalidità dopo il compimento del 65° anno)
e, di conseguenza, non esprimeva un principio generale con il quale
dovrebbero essere coerenti le disposizioni particolari;
c) la stessa formulazione letterale, che faceva menzione del solo
assegno – fino a quel momento equiparato alla pensione di inabilità
quanto alla regola del cumulo con i redditi del coniuge – non poteva
che far concludere nel senso che la prestazione prevista per gli

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septies era chiaramente inteso a riequilibrare le posizioni dei mutilati

invalidi civili assoluti era rimasta assoggettata alla ridetta regola del
cumulo;
– anche successivamente, nell’art. 12 della legge 30 dicembre

civili”) la distinzione tra le due prestazioni aveva continuato ad
essere mantenuta, disponendo la norma che, con effetto dal 1°
gennaio 1992, ai fini dell’accertamento, da parte del Ministero
dell’Interno, della condizione reddituale per la concessione delle
pensioni assistenziali agli invalidi civili, si applicava il limite di reddito
individuale stabilito per la pensione sociale, con esclusione, tuttavia,
degli invalidi totali;
– non poteva ritenersi che l’abrogazione delle disposizioni
legislative incompatibili, stabilita dall’art. 14 septies, comma 7, legge
n. 33/80, avrebbe impedito la sopravvivenza, per la sola pensione,
della disposizione concernente il cumulo disposta dall’art. 26 legge
n. 153/69; infatti l’abrogazione non riguardava direttamente
quest’ultima norma, bensì le disposizioni legislative che vi avevano
fatto richiamo ai fini dell’assegno mensile e che, come tali,
risultavano in contrasto con l’espressa esclusione di tale cumulo;
– sostanzialmente irrilevante risultava poi il richiamo ai lavori
preparatori della legge n. 33/80, atteso che gli ordini del giorno
accettati “come raccomandazione” dal Governo non si erano poi
tradotti in provvedimenti legislativi di contenuto contrario a quello
esplicitato dalla normativa di riferimento (ed anzi, come detto, il
successivo intervento di cui al ricordato art. 12 della legge 30

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1991 n. 412 (dal titolo “requisiti reddituali delle prestazioni ai minorati

dicembre 1991 n. 412 si poneva nel senso di quest’ultima); ed a

fortiori privi di decisività risultavano i richiami alle dedotte difformi
prassi applicative adottate in sede amministrativa;

era stato sostituito ad opera dell’art. 1, comma 35, della legge 24
dicembre 2007 n. 247, il quale, testualmente, aveva stabilito che

“agli invalidi civili di età compresa fra il diciottesimo e il
sessantaquattresimo anno nei cui confronti sia accertata una
riduzione della capacità lavorativa, nella misura pari o superiore al 74
per cento, che non svolgono attività lavorativa e per il tempo in cui
tale condizione sussiste, è concesso a carico dello Stato ed erogato
dall’INPS, un assegno mensile di euro 242,84 per tredici mensilità,
con le stesse condizioni e modalità previste per l’assegnazione della
pensione di cui all’art. 12”; si trattava, all’evidenza, di un intervento
con il quale veniva ripristinato il collegamento tra le due prestazioni
assistenziali quanto alle

“condizioni” (comprese, quindi, quelle

economiche) richieste per la loro assegnazione; ma il prendere a
riferimento, a tal fine, le “condizioni’ stabilite per l’assegnazione della

“pensione di cui all’art. 17′, determinare cioè una equiparazione che
si voleva modulata sulla disciplina propria della prestazione prevista
per gli invalidi civili assoluti, era, di per sé, indicativo del fatto che
tale disciplina, anche per quanto riguarda le condizioni reddituali
rilevanti, era diversa da quella nel frattempo dettata (si ripete, con
l’art. 14 septies, comma 5, della legge n. 33/80) per l’assegno
mensile, non avendo altrimenti senso, invero, una simile

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– andava altresì rilevato che l’art. 13 della legge n. 118 del 1971

formulazione normativa qualora le condizioni reddituali richieste per
la pensione di inabilità fossero state le stesse previste per l’assegno
e, dunque, si dovesse dar rilievo al solo reddito personale

i coniugi.

3. Il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi dall’orientamento
ermeneutico testé ricordato.
Non di meno, proprio sulla base di tale orientamento, non può
ritenersi che, ai fini del superamento dei limiti reddituali previsti per la
concessione della pensione di inabilità civile a favore degli invalidi
totali, debba farsi riferimento al complesso dei redditi percepiti da
tutti i componenti del nucleo familiare dell’invalido, poiché, come si è
visto, il cumulo è stato contemplato dalla normativa di riferimento
soltanto in relazione al reddito (eventuale) del coniuge del soggetto
assistibile.
Ed invero il riconoscimento, nel vigente sistema di sicurezza sociale,
di meccanismi di solidarietà particolari, concorrenti con quello
pubblico, quale quello proprio del nucleo familiare, se da un lato
giustifica la previsione del cumulo tra i redditi dell’invalido e quelli del
suo coniuge, dall’altro non può condurre di per sé all’introduzione, in
via interpretativa, di un allargamento della platea dei soggetti il cui
reddito andrebbe tenuto presente ai fini del superamento del
requisito reddituale, posto che in tale modo si concretizzerebbe una
non consentita modificazione del quadro legislativo.

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dell’invalido, ancorché coniugato, piuttosto che al reddito di entrambi

Parimenti deve considerarsi che, in difetto di una diversa esplicita
statuizione normativa, alla previsione di cui all’art. 14

septies,

comma 5, legge n. 33/80, che, come detto, contempla, ai fini della

percepito da altri componenti del nucleo familiare di cui il soggetto
interessato fa parte”, non può essere attribuita, in relazione alla
pensione di inabilità, una valenza estensiva della platea dei soggetti i
cui redditi debbano essere coacervati ai fini de quibus, nel senso,
cioè, di ricomprendere i redditi di tutti i componenti il nucleo familiare
dell’invalido e non soltanto quello del suo coniuge.
La questione all’esame deve pertanto essere decisa sulla base del
seguente principio di diritto:
“Ai fini dell’accertamento della sussistenza del requisito reddituale
previsto per la concessione della pensione di inabilità civile ai sensi
dell’art. 12 della legge n. 118 del 1971, secondo la disciplina
anteriore all’entrata in vigore dell’art. 10, commi 5 e 6, dl n. 76/13,
convertito in legge n. 99/13, non assume rilievo il reddito percepito
dai familiari dell’invalido diversi dal suo coniuge”.

4. Essendosi la Corte territoriale discostata da tale principio, il primo
motivo di ricorso, nei limiti testé indicati, merita accoglimento,
restando assorbita la disamina del secondo mezzo.
La sentenza impugnata va quindi cassata in relazione alla censura
accolta, con rinvio al Giudice designato in dispositivo, che deciderà
conformandosi al suddetto principio di diritto; il Giudice del rinvio
provvederà altresì sulle spese del giudizio di cassazione.

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concessione dell’assegno di invalidità civile, l’esclusione “del reddito

P. Q. M.
La Corte accoglie, nei termini di cui in motivazione, il primo motivo di
ricorso, con assorbimento del secondo; cassa la sentenza

spese, alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione.
Così deciso in Romalll dicembre 2013.

impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le

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