Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6969 del 12/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 12/03/2021, (ud. 17/09/2020, dep. 12/03/2021), n.6969

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. TRISCARI G. – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24012 del ruolo generale dell’anno 2014

proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

Beta s.r.l., nonchè A.A., in proprio;

– intimati –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Puglia, sezione staccata di Foggia, n. 435/25/14,

depositata in data 24 febbraio 2014;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 17

settembre 2020 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a Beta s.r.l. un avviso di accertamento, relativo all’anno di imposta 2005, con il quale aveva accertato maggiori ricavi non dichiarati, costi per carburanti non deducibili e un ammortamento di costo di certificazione SOA non deducibile; un ulteriore avviso di accertamento, relativo al medesimo anno di imposta, era stato notificato al socio A.A. a titolo di reddito di partecipazione; infine, relativamente all’anno di imposta 2006, era stato notificato alla società un ulteriore avviso di accertamento, anche in questo caso contestando maggiori redditi non dichiarati, la non deducibilità di costi per carburanti e del costo per ammortamento della certificazione SOA; la ragione della pretesa impositiva si fondava, essenzialmente, sulla riscontrata inattendibilità della contabilità, sicchè i ricavi erano stati ricalcolati sulla base anche dei redditi dichiarati dall’impresa negli anni dal 2001 al 2004, applicando un margine operativo lordo del 13,55%; avverso gli avvisi di accertamento relativi agli anni 2005 e 2006 la società aveva proposto ricorso ed il socio aveva proposto ricorso avverso l’avviso di accertamento relativo all’anno 2006; la Commissione tributaria provinciale aveva accolto i ricorsi riuniti facendo richiamo ad altra pronuncia di primo grado, relativo all’anno di imposta 2004, con la quale era stato accolto il ricorso della società; avverso la sentenza l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: non sussisteva il vizio di motivazione della sentenza di primo grado, in quanto, seppure per sintesi, erano state indicate le ragioni per le quali erano state condivise le prospettazioni difensive del contribuente e quelle per le quali non era da condividersi l’operato dell’ufficio; il comportamento della società era da considerarsi sostanzialmente corretto, sebbene, secondo l’assunto dell’ufficio, aveva posposto negli anni di imposta 2005-2006 ricavi conseguiti negli anni precedenti; il maggior reddito accertato dall’ufficio, basato sula raffronto con il reddito prodotto dalla società negli anni 2001-2004, non poteva dirsi legittimo, in quanto la continua evoluzione del mercato immobiliare non poteva comportare che per tutti gli anni operasse la stessa redditività, sarebbe stato necessario che l’ufficio avesse proceduto a verificare la provenienza di maggiori ricavi non dichiarati sulla base delle movimentazioni bancarie e, infine, non aveva rilevanza la successiva cessione del ramo di azienda, avvenuta alcuni anni dopo quelli di riferimento; anche la pretesa nei confronti del socio era illegittima, una volta accertata l’illegittimità dell’accertamento compiuto nei confronti della società;

l’Agenzia delle entrate ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a quattro motivi di censura;

la società e il socio sono rimasti intimati.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, o, in subordine, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4) e 5), per non avere rilevato che quantomeno l’accertamento del 2005 era divenuto definitivo quanto alla ricostruzione dei maggiori ricavi fondati sulla verifica bancaria, posto che, in relazione a tale verifica, nessun motivo di contestazione era stato proposto con il ricorso originario;

il motivo è inammissibile;

lo stesso, invero, prospetta la mancata pronuncia della definitività dell’accertamento del 2005 in relazione alla ricostruzione dei maggiori ricavi fondati sulla verifica bancaria, sicchè, in sostanza, viene prospettato un vizio di ultrapetizione della sentenza, avendo confermato l’annullamento della pretesa impositiva in oggetto nonostante il fatto che parte ricorrente non avesse proposto una ragione di contestazione;

sotto tale profilo, va osservato che, per potere apprezzare la rilevanza della censura, era necessario che parte ricorrente riproducesse il contenuto dell’avviso di accertamento, al fine di consentire di verificare se la ragione della pretesa di cui al suddetto atto impositivo non era stata oggetto di specifica contestazione da parte della società e del socio con il ricorso originario;

sul punto, il motivo di ricorso in esame difetta di specificità, in quanto, pur riproducendo il contenuto del ricorso originario, omette del tutto di riprodurre il contenuto dell’avviso di accertamento del 2005, in ordine al quale, peraltro, la stessa riproduzione sintetica risulta non completata nel primo periodo di pag. 13;

nè può essere utile, a tal fine, il riferimento al recupero derivante dal confronto delle movimentazioni bancarie annotate negli estratti conto esibiti con la contabilità, cui si fa cenno a pag. 3 del ricorso, in quanto, anche in tal caso, parte ricorrente si limita genericamente a riferire dell’avvenuto raffronto, in sede di accertamento, delle movimentazioni bancarie annotate negli estratti conto esibiti e del successivo recupero degli accrediti ed addebiti non confluiti nelle scritture, senza, tuttavia, riprodurre, anche in questo caso, il contenuto dell’avviso di accertamento, sicchè non è possibile verificare che l’accertamento dei maggiori ricavi non dichiarati, di cui al recupero relativo all’anno 2005, si era fondato, fra l’altro, sulla verifica delle movimentazioni bancarie relative alla società;

ragionando nei medesimi termini, è parimenti inammissibile il profilo di censura relativo alla ritenuta violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, qualora si ritenesse che nel ricorso era stata comunque prospettata una ragione di doglianza, in quanto il motivo, come detto, difetta di specificità;

con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 93, comma 6, e del D.P.R. n. 570 del 1996, art. 1, lett. a) e d), e degli artt. 2700 e ss., c.c., per avere ritenuto che il comportamento della società era sostanzialmente corretto, mentre le diverse omissioni (mancata redazione del prospetto dei lavori in corso di durata pluriennale e delle rimanenze in corso di esecuzione, mancata esibizione dei contratti relativi alle commesse, mancata istituzione del conto banca) erano idonee a incidere sull’imponibile in quanto impedivano di ricostruire il risultato annuale, sicchè avevano valore sostanziale e quindi idonei a rendere inattendibile la contabilità, giustificando l’accertamento bancario, eseguito per il 2005, e l’utilizzo degli studi di settore, per il 2006;

il motivo è inammissibile;

lo stesso, invero, non tiene conto della ratio decidendi della pronuncia censurata che, dopo avere preso atto del fatto che nello stesso processo verbale di constatazione era stato evidenziato che il comportamento tenuto dalla società era stato sostanzialmente corretto, ha evidenziato che, in sostanza, la pretesa impositiva era basata sull’assunto che erano stati posposti nell’anno di imposta 2005-2006 dei ricavi che, invece, erano stati conseguiti negli anni precedenti, e, inoltre, che i maggiori redditi non dichiarati erano stati determinati in base ad una presunta redditività negli anni 2001-2004;

sicchè, la pronuncia censurata ha, da un lato, delimitato i presupposti sui quali si è basata la pretesa dell’amministrazione finanziaria e, dall’altro, ha motivato sulle ragioni per le quali, comunque, la determinazione dei maggiori redditi non poteva dirsi corretta sul piano logico;

con il contenuto della pronuncia in esame il presente motivo di ricorso non si misura in alcun modo, limitandosi ad evidenziare il profilo della inattendibilità della contabilità, senza, tuttavia, considerare che il giudice del gravame ha, comunque, espresso una propria valutazione in ordine alla non legittimità della determinazione dei maggiori ricavi secondo quanto contenuto negli avvisi di accertamento impugnati;

con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa considerazione di fatti decisivi e controversi, in particolare, la presenza di irregolarità che rendevano inattendibile la contabilità: mancanza di sede legale; mancata comunicazione relativa al depositario delle scritture contabili; mancata redazione del prospetto dei lavori in corso; mancata redazione delle distinte delle rimanenze; mancata istituzione del conto banca, appostazione di utili fuori competenza; mancata esibizione dei contratti relativi all’attività svolta; erronea valutazione delle rimanenze;

il motivo è inammissibile;

lo stesso, invero, dopo avere indicato i diversi fatti non esaminati dal giudice del gravame, evidenzia che, “solo una volta terminata l’elencazione dei fatti riferiti, entrambi gli accertamenti passano a descrivere la vera e propria rettifica operata, il cui oggetto è ulteriore e diverso” e, sotto tale profilo, evidenzia che, per l’anno 2005, la pretesa atteneva a ricavi non contabilizzati e Iva indetraibile accertati dal raffronto tra le movimentazioni bancarie annotate negli estratti conto e le registrazioni contabili e, per l’anno 2006, la pretesa era conseguente all’applicazione degli studi di settore;

in realtà, la ricostruzione operata con il presente motivo di ricorso alle ragioni della pretesa e, in particolare, ai fatti decisivi non tenuti in considerazione dal giudice del gravame, risulta non chiaramente delineata, in difetto dell’obbligo di specificità;

le diverse circostanze di fatto, indicate nel presente motivo, sono riconducibili a comportamenti irregolari tenuti dalla società, senza, tuttavia che sia chiaramente configurato il percorso argomentativo seguito negli avvisi di accertamento che consenta di valutare la ragione della pretesa e, di conseguenza, la rilevanza dei profili fondanti la contestazione del maggior reddito accertato;

non risulta, in particolare, chiaramente ricostruito, mediante la riproduzione dei passaggi specifici degli avvisi di accertamento, il profilo relativo ai presupposti sulla base dei quali si è ritenuto di dovere procedere alla rideterminazione del reddito non dichiarato, tenuto conto del fatto che, da un lato, la pretesa sembra fondata sulla esistenza di irregolarità contabili, da altro lato, dalla circostanza che, per gli anni 2005-2006, la società sarebbe risultata non avere svolto alcuna ulteriore attività, con una non corretta appostazione di ricavi degli anni precedenti, mentre, nello stesso atto di appello dell’ufficio (riportato a pag. 6 del ricorso) sarebbe stata ipotizzata la natura di “società di comodo utilizzata per mascherare ricavi occulti conseguiti da altre società costituire e gestite dagli stessi soci e con l’utilizzo dello stesso personale”;

infine, nello stesso motivo di ricorso in esame, è evidenziato che la rettifica operata ha avuto un oggetto “ulteriore e diverso” rispetto a quello ricostruibile mediante i fatti sopra indicati, in particolare è stata posta l’attenzione sulle movimentazioni bancarie e sull’applicazione degli studi settore;

il motivo in esame, dunque, così come prospettato, non consente di apprezzare la rilevanza e la decisività dei fatti evidenziati, proprio in considerazione della non chiara ricostruzione della vicenda in esame e dei singoli fatti sui quali si è basato l’accertamento, indicati in modo frammentario e senza una coerente linea ricostruttiva, soprattutto sotto il profilo delle concrete modalità con le quali si è pervenuti alla determinazione del maggiore reddito non dichiarato;

con il quarto motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, comma 2, n. 4), per avere reso una motivazione apparente sulla questione del difetto di motivazione della pronuncia del giudice di primo grado;

il motivo è inammissibile;

invero, va osservato che il ricorrente difetta di interesse in quanto il giudice del gravame, pur non avendo rilevato il vizio di motivazione della sentenza del giudice di primo grado, ha deciso nel merito, sicchè è con riferimento alla statuizione di merito che, eventualmente, può insorgere l’interesse all’impugnazione; il giudice del gravame, infatti, anche ove avesse ritenuto di dovere accogliere il motivo di appello dell’Agenzia delle entrate relativo al vizio di motivazione della sentenza, non avrebbe potuto rimettere la causa al giudice di primo grado, tenuto conto della previsione di cui agli artt. 353 e 354, c.p.c., che stabiliscono in quali casi è consentita la regressione del giudizio;

in conclusione, i motivi di ricorso sono inammissibili, con conseguente rigetto;

nulla sulle spese, attesa la mancata costituzione degli intimati.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 17 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2021

 

 

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