Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6968 del 23/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 23/03/2010, (ud. 25/01/2010, dep. 23/03/2010), n.6968

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

SOCIETA’ FRESCO 1 a R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato VANNUCCI VITO, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAOLO

EMILIO 34, presso lo studio dell’avvocato DE NINNO MARCELLA,

rappresentata e difesa dall’avvocato DE CESARIS ANDREA, giusta

mandato in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 978/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 04/07/2006 r.g.n. 413/06;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

25/01/2010 dal Consigliere Dott. IANNIELLO Antonio;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.T., cassiera presso il supermercato alimentare gestito dalla Fresco 1 s.r.l., era stata licenziata in tronco con lettera del 17 ottobre 2002, a seguito della contestazione del 7 ottobre precedente, di “acquisizione indebita punti Fidelity Card nei giorni dal (OMISSIS)” nonche’ di “mancata registrazione del corrispettivo dovuta a successivo annullamento dello scontrino emesso al cliente, derivante dalla manomissione delle funzioni normalmente eseguite durante le registrazioni di cassa ” nel giorno (OMISSIS).

Impugnato giudizialmente dalla C. il licenziamento, con la richiesta della tutela di cui all’art. 18 S.L., il Tribunale di Grosseto, con sentenza n. 843/05, aveva accolto integralmente le domande, rigettando altresi’ la domanda svolta in via riconvenzionale dalla societa’ per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti all’annullamento dello scontrino avvenuto in data (OMISSIS) nonche’ di altri scontrini con analoga irregolare procedura, uno nella stessa data ed altri nei giorni precedenti, con conseguente appropriazione delle merci, che non sarebbero state riposizionate dalla lavoratrice negli appositi scaffali.

Su appello della societa’ (peraltro non riguardante il rigetto della domanda riconvenzionale), la Corte d’appello di Firenze, con sentenza depositata il 4 luglio 2006 e notificata il successivo 3 agosto 2006, ha sostanzialmente confermato la sentenza di primo grado, salva la riduzione dei danni da risarcire ex art. 18 S.L., per tener conto di quanto medio tempore altrimenti percepito dalla lavoratrice nella gestione di un piccolo negozio aperto nell’(OMISSIS).

Per l’annullamento della sentenza della Corte d’appello, la Fresco 1 s.r.l. propone ricorso per Cassazione, con due articolati motivi.

Resiste alle domande la C. con rituale controricorso.

La difesa della societa’ ha depositato una memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Che la prosecuzione di questo giudizio di cassazione debba essere inutile corrisponde ad una soggettiva e non fondata opinione espressa in memoria dalla ricorrente, la quale riferisce di un suo fallimento, ma non prova una cessazione della materia del contendere.

2 – Col primo motivo, la societa’ ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2105, 2106 e 2119 c.c. e della L. n. 604 del 1966, art. 3 e successive modificazioni nonche’ l’omessa motivazione circa fatti controversi e decisivi.

Le censure investono il giudizio di non eccessiva gravita’ della prima della mancanze contestate effettuato dalla Corte d’appello.

In proposito, la Corte avrebbe anzitutto valorizzato il fatto che un danno non vi fosse stato, senza tener conto della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui nella valutazione della proporzionalita’ della reazione espulsiva del datore di lavoro non rileva tanto l’assenza o la tenuita’ del danno causato dal comportamento contestato, quanto la possibile incidenza di quest’ultimo sulla previsione di correttezza futura della prestazione.

Inoltre, nel desumere dal comportamento della lavoratrice, di ammissione del fatto gia’ in sede di procedimento disciplinare, l’assenza di una specifica volonta’ di nuocere, la Corte non avrebbe considerato che tale comportamento sarebbe stato praticamente obbligato, risultando il fatto contestato dall’estratto conto della card della C.. Del resto, l’ammissione sarebbe stata associata ad una menzogna, rilevata, ma non adeguatamente valorizzata, dalla stessa Corte territoriale, relativa alla dedotta mancata conoscenza dell’esistenza del divieto aziendale di utilizzazione della card da parte di terzi, smentita in giudizio dalle testimonianze assunte.

Se avesse tenuto conto di tali circostanze e della gravita’ delle stesse anche alla luce delle delicate mansioni di cassiera affidate alla lavoratrice nonche’ del fatto che la lavoratrice aveva reiterato, anche nella stessa giornata e per in consistente periodo di tempo tale irregolare utilizzazione della propria card, cosi’ da raggiungere addirittura il punteggio di 1699 punti, la Corte non avrebbe potuto non concludere circa la mala fede della lavoratrice e il fine dalla stessa perseguito di ottenere un ingiusto profitto.

Ingiusto profitto con altrui danno che sarebbe stato evitato unicamente perche’ la C. era stata scoperta prima di poter riscuotere i premi connessi all’uso della card.

Il motivo conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto: “Dica la suprema Corte se integra o meno gli estremi del licenziamento per giusta causa o almeno quelli del giustificato motivo soggettivo L. n. 604 del 1966, art. 3 il comportamento di una cassiera che, in modo cosciente e volontario, disobbedendo ripetutamente all’ordine datoriale di non utilizzare la propria fidelity card per spese altrui e mentendo sia in sede di giustificazioni che in corso di causa in merito alla conoscenza di tale divieto, tenti di acquisire indebitamente dei punti al fine di ritirare un premio, mai ritirato ne’ richiesto perche’ scoperta”.

3 – Col secondo motivo, la societa’ ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 e degli artt. 2105, 2106, 2119 c.c. e della L. n. 604 del 1966, art. 3 nonche’ il vizio di motivazione della sentenza impugnata.

Il motivo investe principalmente il giudizio di scarsa rilevanza formulato dalla Corte territoriale con riferimento alla seconda delle mancanze contestate alla C..

Sarebbe infatti erroneo l’aver concentrato la propria attenzione unicamente sul profilo oggettivo del comportamento della lavoratrice, qualificandolo mera irregolarita’ formale che non avrebbe comportato danni alla societa’. Inoltre, cio’ che rileva su tale piano e’ semmai il pericolo di un danno, che nel caso di specie sarebbe sicuramente esistente, data la difficolta’ per la societa’ di provare che la cassiera avesse poi riposizionato sugli appositi scaffali la merce, il cui acquisto era stato annullato (e difatti, al riguardo, la prova avrebbe dato risultati incerti).

Inoltre anche in ordine alla valutazione del secondo comportamento contestato, la Corte avrebbe omesso di considerare il fatto che la lavoratrice avrebbe mentito, affermando di aver seguito la normale e usuale procedura di annullamento degli scontrini e di non aver mai ricevuto precise istruzione su come comportarsi al riguardo (quando tutti i testi avrebbero infatti affermato che le disposizioni c’erano ed erano nel senso indicato dalla societa’).

E ancora, la Corte avrebbe omesso di valutare che la lavoratrice in quello stesso giorno e nei giorni precedenti aveva irregolarmente annullato altri scontrini. E’ vero che si trattava di fatti non contestati, ma comunque di fatti valutabili come circostanze confermative dell’addebito contestato (Cass. n. 624/98 e 6454/06).

Infine, i giudici non avrebbero valutato nel loro complesso i fatti oggetto di contestazione, ai fini della loro incidenza sul rapporto fiduciario.

Il motivo conclude col seguente quesito di diritto: “Dica la suprema Corte se integra o meno gli estremi del licenziamento per giusta causa ex art. 2119 c.c. o almeno quelli per g.m.s. L. n. 604 del 1966, art. 3 il comportamento di una cassiera che in modo cosciente e volontario disobbedendo reiteratamente al proprio datore di lavoro e adducendo falsa giustificazioni circa la conoscenza del divieto di utilizzo di una fidelity card, oltre ad aver ripetutamente utilizzata tale carta in maniera indebita alfine di ritirare un premio, abbia anche piu’ volte annullato degli scontrini in maniera irregolare con rischio per la ditta di un mancato o difficile ritrovamento della merce e, inoltre, si sia giustificata asserendo falsamente che non le era mai stato comunicato quale era la corretta procedura di annullamento”.

Il ricorso e’ infondato.

Le argomentazioni di sostegno ai due motivi delineano in sostanza un vizio di motivazione della sentenza, ancorato al fatto che la Corte territoriale avrebbe sopravvalutato, per giungere alla propria decisione, elementi irrilevanti o di dubbio significato o addirittura di significato opposto a quello ritenuto e avrebbe escluso la rilevanza o non considerato elementi decisivi sul piano del giudizio di fatto compiuto, effettuando infine un giudizio parcellizzato dei singoli elementi di prova, senza una valutazione complessiva dei fatti emersi in giudizio.

Al riguardo, va preliminarmente ricordato che il controllo di legittimita’ sulla motivazione delle sentenze concerne unicamente (attraverso il filtro delle censure mosse con il ricorso) il profilo della coerenza logico – formale e della correttezza giuridica delle argomentazioni svolte, in base all’individuazione, che compete esclusivamente al giudice di merito, delle fonti del proprio convincimento, raggiunto attraverso la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilita’ e concludenza, scegliendo tra di esse quelle ritenute idonee a sostenerlo all’interno di un quadro valutativo complessivo privo di errori, di contraddizioni e di evidenti fratture sul piano logico, nel suo interno tessuto ricostruttivo della vicenda (cfr., per tutte, Cass. S.U. 11 giugno 1998 n. 5802 e, piu’ recentemente, Cass., sez. lav. 6 marzo 2006 n. 4770 e Cass. sez. 1A, 26 gennaio 2007 n. 1754).

Ne’ appare sufficiente, sul piano considerato, a contrastare le valutazioni del giudice di merito il fatto che alcuni elementi emergenti nel processo e invocati dal ricorrente siano in contrasto con alcuni accertamenti e valutazioni del giudice o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti.

Ogni giudizio implica infatti l’analisi di una piu’ o meno ampia mole di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente piu’ significativi, coerenti tra di loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, compete al giudice nei due gradi di merito in cui si articola la giurisdizione.

Occorre quindi che i “punti” della controversia dedotti per invalidare la motivazione della sentenza impugnata con ricorso per Cassazione, siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante o determini al suo interno radicali incompatibilita’ cosi’ da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (in proposito, cfr., tra le altre, Cass. 21 novembre 2006 n. 24744).

Nel caso in esame, la Corte territoriale, pur ritenendo che la lavoratrice fosse a conoscenza del divieto di utilizzazione della Fidelity card da parte di terzi, ha valutato non grave il comportamento contestato, sia sul piano oggettivo che – soprattutto – sul piano soggettivo, in considerazione del fatto che tale comportamento si era fermato a livello di tentativo, che l’utilizzazione abusiva della card da parte della C. aveva riguardato unicamente acquisti di suoi parenti e amici e non di clienti estranei (che avrebbe arrecato una ben piu’ grave lesione all’immagine della impresa) e infine che l’immediata ammissione del fatto da parte della lavoratrice gia’ in sede di discolpa sarebbe indicativa di assenza di dolo e volonta’ di nuocere alla societa’, mentre a quest’ultimo proposito non ha evidentemente ritenuto che la dipendente fosse consapevole della possibilita’ per la societa’ di scoprire comunque, analizzando la card, l’uso di questa da parte di terzi.

Per quanto riguarda poi la contestazione di irregolare annullamento dello scontrino di un cliente il giorno (OMISSIS) (l’annullamento sarebbe avvenuto senza che la C. chiedesse l’affiancamento del capo negozio o di altro cassiere, come da istruzioni impartite), la Corte ha valutato tale comportamento come una mera irregolarita’ formale, senza conseguenze dannose per la societa’, dato che era mancata la prova della sottrazione della relativa merce. Di tale scarsa rilevanza dell’inadempimento sarebbe stata consapevole, secondo la Corte territoriale, anche la societa’ che, per ovviarvi, avrebbe cercato di aggravare la posizione della lavoratrice introducendo, con l’escamotage della proposizione in primo grado di una domanda riconvenzionale, la circostanza dell’avvenuto annullamento di altri scontrini con le medesime modalita’, uno nella stessa giornata del (OMISSIS) e altri nelle giornate precedenti, senza peraltro riuscire a dimostrane la gravita’ sul piano disciplinare nonche’ l’eventuale danno prodotto da tale irregolarita’.

Quindi, sulla base della valutazione complessiva del comportamento contestato alla C., anche alla luce delle sue difese, giudicate evidentemente in parte dettate dal timore di conseguenze sproporzionate, la Corte d’appello ha ritenuto che questo non fosse talmente grave da meritare una reazione espulsiva da parte della societa’.

A fronte di tale giudizio, espresso sulla base dell’analisi del materiale probatorio acquisito, selezionato negli elementi ritenuti essenziali e convergenti verso una spiegazione ragionevole dei fatti di causa, le censure svolte dalla parte ricorrente, piu’ che evidenziare carenze o contraddizioni per cio’ che riguarda la correttezza giuridica e la coerenza logico – formale della motivazione, finiscono per contrapporre ad essa proprie diverse valutazioni del medesimo materiale probatorio, cosi’ spostando l’asse del richiesto controllo dal piano indicato a quello del riesame nel merito della intera vicenda processuale, piano che e’ estraneo al giudizio di legittimita’ (cfr., ex ceteris, Cass. 9 agosto 2007 n. 17477 e 19 marzo 2009 n. 6694).

Sulla base delle considerazioni svolte il ricorso va pertanto respinto, con la conseguente condanna della ricorrente a rimborsare alla resistente le spese di questo giudizio, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la societa’ a rimborsare alla resistente le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 16,00 per spese ed Euro 2.500,00, oltre accessori, per onorari.

Cosi’ deciso in Roma, il 25 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2010

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