Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6965 del 23/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 23/03/2010, (ud. 20/01/2010, dep. 23/03/2010), n.6965

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PACUVIO

34, presso lo studio dell’avvocato ROMANELLI GUIDO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PASTORELLI ERNESTO,

giusta mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

ALESSANDRO, BIONDI GIOVANNA, PULLI CLEMENTINA, VALENTE NICOLA, giusta

mandato in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 740/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 30/05/2006 r.g.n. 1049/04;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

20/01/2010 dal Consigliere Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella;

udito l’Avvocato ROMANELLI GUIDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Siena, respinta l’eccezione di decadenza dall’azione giudiziaria formulata dall’INPS ai sensi del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 (nel testo di cui al D.L. n. 103 del 1991, art. 6 conv. in L. n. 166 del 1991 e al D.L. n. 384 del 1992, art. 4 conv. in L. n. 438 del 1992), rigettava la domanda proposta da G.A., collocato in pensione presso il Fondo di previdenza del personale di volo (c.d. Fondo volo), per ottenere la rideterminazione della quota di pensione in capitale, ai sensi della L. n. 859 del 1965, art. 34 ritenendo inapplicabile, ai fini del calcolo di tale quota, il coefficiente previsto dal D.M. 19 febbraio 1981, invocato dal pensionato.

Il G. proponeva appello e l’INPS, ritualmente costituitosi, reiterava l’eccezione di decadenza.

La Corte d’appello di Firenze, con sentenza depositata il 30 maggio 2006, ha respinto la impugnazione ritenendo il ricorrente decaduto dall’azione giudiziaria ai sensi del citato D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 (nuovo testo) e osservando che alla decorrenza del termine decadenziale previsto dalla suddetta disposizione di legge non e’ di ostacolo la presentazione del ricorso amministrativo che sia intervenuta, come nella specie, dopo la scadenza dei termini (300 giorni) previsti per l’esaurimento del procedimento aperto dalla istanza dell’assicurato. Ha aggiunto la Corte che ad identica conclusione deve pervenirsi anche con riferimento al disposto della L. n. 859 del 1965, art. 55 che specificamente disciplina la materia dei ricorsi – amministrativi e giudiziali – esperibili nei confronti dei provvedimenti dell’INPS concernenti le prestazioni previste dalla stessa legge per gli iscritti al “Fondo volo”.

Di questa sentenza il pensionato domanda la cassazione deducendo due motivi di impugnazione. L’INPS resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i due motivi di impugnazione, denunciando, rispettivamente, violazione degli artt. 324 e 436 c.p.c., nonche’ violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, comma 2 come sostituito dal D.L. n. 384 del 1992, art. 4 (conv. in L. n. 438 del 1992), il ricorrente censura la sentenza impugnata osservando (nel primo motivo) che la Corte di merito non poteva pronunciarsi sulla questione della decadenza perche’ coperta da giudicato, (non avendo l’INPS proposto impugnazione incidentale avverso l’esplicita statuizione di rigetto della relativa eccezione adottata dal Tribunale di Siena) e sottolineando, comunque, (nel secondo motivo) la non conformita’ a diritto della pronuncia di decadenza dall’azione giudiziaria non essendo riconducibili alla previsione del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 citato le situazioni in cui, come nella specie, la domanda giudiziale abbia ad oggetto non gia’ la prestazione previdenziale in se’ (nel caso concreto l’INPS non aveva negato ne’ il diritto a pensione, ne’ il diritto alla capitalizzazione di una sua quota) ma soltanto la corretta determinazione di quella gia’ riconosciuta dall’ente previdenziale. Il ricorso e’ fondato.

La disposizione di cui al D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47 (nel testo interpretato e modificato dal D.L. n. 103 del 1991, art. 6 convertito in L. n. 166 del 1991 e dal D.L. n. 384 del 1992, art. 4 convertito in L. n. 438 del 1992) ha disciplinato ex novo tutta la materia della decadenza dall’azione giudiziale in materia di prestazioni previdenziali. La decadenza ivi prevista puo’ essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, in ragione della sua piena compatibilita’ con il principio del giusto processo di cui all’art. 111 Cost. (cfr. Cass., Sez. un., n. 26019 del 2008, n. 12718 e 12720 del 2009), salvo che sulla relativa questione si sia formato il giudicato (interno).

E tanto si e’ verificato nel caso concreto, dal momento che l’INPS si e’ limitato a riproporre la relativa eccezione costituendosi nel giudizio di secondo grado, mentre, benche’ vittorioso rispetto alla decisione sul merito della domanda nel giudizio di primo grado, avrebbe dovuto proporre appello incidentale avverso la statuizione della sentenza del Tribunale di Siena che espressamente l’aveva respinta.

Ritiene, infatti, il Collegio che sia da condividere il piu’ recente orientamento della giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. Sez. un. ord. n. 25246 del 2008, sent. n. 9038 del 2008) – espresso in materia di giurisdizione ma da considerare valevole per tutte le questioni pregiudiziali o preliminari all’esame del merito ovvero per quelle concernenti (come nel caso di specie) la proponibilita’ dell’azione, ancorche’ rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio con il quale si e’ superato, motivatamente, un precedente difforme indirizzo (vedi Cass. Sez. un. n. 3717/2007 e, ivi, riferimenti a Cass. Sez. un. n. 9197 del 1990, n. 1005 del 1993) e si e’ affermato che qualora le suddette questioni siano state espressamente esaminate e decise in senso sfavorevole alla parte che sia poi risultata vittoriosa nel giudizio di primo grado, quest’ultima e’ tenuta a proporre appello incidentale, non essendo sufficiente ad impedire la formazione del giudicato la mera riproposizione delle questioni stesse, ai sensi dell’art. 346 c.p.c., in sede di costituzione in appello.

Alla luce di tale principio, giuridicamente errata deve ritenersi la sentenza d’appello per aver rilevato la decadenza e averne tratto la conseguenza della inammissibilita’ (e, quindi, della non esaminabilita’) della domanda di riliquidazione proposta dal pensionato odierno ricorrente.

Si aggiunga che, con la recente sentenza n. 12720 del 2009, le Sezioni unite di questa Corte, componendo un contrasto di giurisprudenza sorto nell’ambito della Sezione lavoro, hanno affermato il principio che la decadenza prevista dal D.P.R 30 aprile 1970, art. 47 non puo’ trovare applicazione in tutti quei casi in cui la domanda giudiziale sia rivolta ad ottenere non gia’ il riconoscimento del diritto alla prestazione previdenziale in se’ considerata, ma solo l’adeguamento di detta prestazione gia’ riconosciuta in un importo inferiore a quello dovuto, come avviene nei casi in cui l’Istituto previdenziale sia incorso in errori di calcolo o in errate interpretazioni della normativa legale o ne abbia disconosciuto una componente, nei quali casi la pretesa non soggiace ad altro limite che non sia quello della ordinaria prescrizione decennale.

Tale principio torna applicabile nella specie, essendosi accertato nel giudizio di merito che il ricorrente aveva chiesto in via amministrativa la capitalizzazione di una quota di pensione ai sensi della L. n. 859 del 1965, art. 34 e che l’Istituto, nel provvedere sulla domanda, aveva liquidato la prestazione in misura inferiore a quella richiesta, applicando coefficienti di capitalizzazione diversi da quelli pretesi dall’interessato ne consegue che ai fini della proposizione della domanda giudiziale intesa al riconoscimento del diritto alla riliquidazione della prestazione nella misura asseritamente dovuta non poteva operare la decadenza, che, come detto, riguarda solo la domanda di prestazione previdenziale, e non gia’ la sua corretta determinazione.

In conclusione va cassata la sentenza impugnata e la causa va rinviata alla stessa Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, perche’ provveda alla definizione della controversia attenendosi ai principi sopra enunciati.

Lo stesso giudice di rinvio provvedera’ sulle spese del giudizio di cassazione ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 3.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Cosi’ deciso in Roma, il 20 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2010

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