Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6960 del 25/03/2011

Cassazione civile sez. I, 25/03/2011, (ud. 07/02/2011, dep. 25/03/2011), n.6960

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17299/2009 proposto da:

S.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARRA Alfonso Luigi, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

19/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

07/02/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FELICETTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il Sig. S.A., con ricorso alla Corte d’appello di Napoli chiedeva, ai sensi della L. n. 89 del 2001 la liquidazione dell’equa riparazione per il danno non patrimoniale, nella misura di Euro 29.250,00 derivatogli dall’eccessiva durata di un processo promosso dinanzi al TAR della Campania in data 13 marzo 1990, ancora pendente al momento della proposizione del ricorso alla Corte d’appello. Questa, con decreto depositato il 19 dicembre 2008, ritenuto che il periodo di eccessiva durata indennizzabile fosse di anni dieci e mesi cinque, che non era stata presentata istanza di prelievo, così dimostrandosi uno scarso interesse al giudizio (riguardante la richiesta di compensi di lavoro aggiuntivi), determinava l’indennizzo annuo in eurO 800,00 e complessivamente in Euro 8.333,00. Avverso tale decreto l’attore ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato al Ministero dell’Economia e delle Finanze il 9 luglio 2009, formulando cinque motivi. La parte intimata resiste con controricorso, eccependo l’inammissibilità del ricorso in relazione al disposto dell’art. 366 bis c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 6 della CEDU, della L. n. 89 del 2001 e della regola secondo la quale la normativa della CEDU prevale su quella nazionale. Si formula il seguente quesito: “La L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 6, par. 1 della CEDU e in ipotesi di contrasto tra la legge Pinto e la CEDU o di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale e applicare la CEDU”? Il motivo va dichiarato inammissibile per l’inadeguatezza del quesito formulato, in quanto del tutto astratto e privo di riferimento alla decisione ed alla fattispecie concreta. 2. A conclusione del secondo motivo sì formula il seguente quesito: “Una volta accertato il diritto all’equo indennizzo lo stesso va liquidato per l’intera durata del processo (come sancito dalla giurisprudenza di Strasburgo) ovvero solo per il periodo eccedente tale durata (come previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, n. 3, lett. A)?” Il motivo – da esaminarsi nei termini di cui al quesito – è infondato poichè, come costantemente statuito da questa Corte (ex multis Cass. 14 febbraio 2008, n. 3716; 14 febbraio 2008, n. 3716) in tema di equa riparazione, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, la legge nazionale impone di correlare il ristoro al solo periodo di durata irragionevole del processo e non all’intera durata dello stesso; e tale modalità di calcolo non tocca la complessiva attitudine della legge citata ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo e, pertanto, non autorizza dubbi sulla compatibilità di tale norma con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica italiana con la ratifica della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.

3. A conclusione del terzo motivo si formula il seguente quesito: “La Corte ha omesso di motivare le ragioni per le quali andava derogato il principio secondo cui spetta un’equa riparazione nella misura di Euro 1.000,00, Euro 1.500,00 per anno di ritardo”. Il motivo è inammissibile, non essendo il quesito rapportato al contenuto concreto del decreto impugnato, che contiene una specifica motivazione sulle ragioni della determinazione dell’importo nella misura liquidata.

4. Con il quarto e il quinto motivo si censura la mancata concessione del “bonus” di 2000,00 Euro, che si asserisce dovuto trattandosi di causa di lavoro e l’omessa pronuncia al riguardo. I motivi vanno esaminati congiuntamente e dichiarati inammissibili in quanto, come già statuito da questa Corte, (ex multis Cass. 6 settembre 2010, n. 19064; 28 gennaio 2010, n. 1893; 28 ottobre 2009, n. 22869), in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, ai fini della determinazione dell’indennizzo dovuto per il danno non patrimoniale, la durata della ingiustificata protrazione del processo è un elemento obiettivo che si presta a misurare e a riparare un pregiudizio normalmente sempre presente ed uguale, mentre l’attribuzione di una somma ulteriore (cosiddetto “bonus”) postula che nel caso concreto quel pregiudizio, a causa di particolari circostanze specifiche, sia stato maggiore; conseguentemente, nel caso in cui il giudice di merito abbia negato il riconoscimento di tale pregiudizio, la critica della decisione sul punto non può fondarsi sulla circostanza che il “bonus” spetta “ratione materiae”, era stato richiesto e la decisione negativa non è stata motivata, ma deve avere riguardo alle concrete allegazioni ed alle prove addotte nel giudizio di merito, che non sono allegate nei motivi e quesiti formulati al riguardo.

Il ricorso pertanto deve essere rigettato con la condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida nella misura di euro novecento, oltre spese prenotate e prenotande a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 7 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2011

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