Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6958 del 11/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 11/03/2020, (ud. 24/09/2019, dep. 11/03/2020), n.6958

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. LEONE Maria Margherita – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16497-2018 proposto da:

A.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

OCCHIPINTI RINALDO;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, Attivamente domiciliato in ROMA,

V. CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,

rappresentato e difeso dagli avvocati PULLI CLEMENTINA, CAPANNOLO

EMANUELA, VALENTE NICOLA, MASSA MANUELA;

– controricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 1133/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 29/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata 24/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. DE FELICE

ALFONSINA.

Fatto

RILEVATO

Che:

la Corte d’appello di Catania, a conferma della pronuncia del Tribunale di Modica, ha rigettato il ricorso di A.S., cieco assoluto ai sensi delle leggi n. 382 del 1970 e n. 508 del 1988, rivolto a sentir dichiarare il proprio diritto al ripristino dell’assegno d’invalidità, revocatogli dall’Inps a far data dal 2006 per superamento del limite reddituale a seguito della corresponsione, nel 2005, degli arretrati della prestazione assistenziale, derivanti dall’avvenuto riconoscimento a far data dal 2003 del diritto all’indennità di accompagnamento nonchè agli arretrati del trattamento di pensione maturato dal 2001 per intervenuta cecità totale;

la Corte territoriale ha altresì rigettato la domanda dell’ A. rivolta alli annullamento del decreto del Prefetto di Ragusa nella parte in cui, nel provvedere alla revoca (illegittima) dell’assegno mensile d’invalidità a far data dal 1 aprile 2003, aveva disposto il recupero dei ratei riscossi successivamente;

il giudice dell’appello ha ritenuto non provato il reddito percepito dall’appellante dal 1 aprile 2003, e non prodotti, nemmeno nel giudizio di secondo grado, le dichiarazioni dei redditi dal 2002 al 2014;

nel merito, comparando la situazione di fatto dedotta dall’appellante con i principi affermati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 346 del 1989 richiamata dall’appellante, ha ritenuto, in attuazione del principio da essa affermato, che mentre la cecità concorre con minorazioni di natura diversa ad integrare lo stato di totale inabilità che dà diritto all’indennità di accompagnamento, per i non vedenti permane l’incompatibilità tra assegno di invalidità civile e prestazioni assistenziali previste dalla L. n. 118 del 1971 (art. 2) in assenza dei requisiti reddituali previsti per beneficiare di ciascuna delle prestazioni;

la cassazione della sentenza è domandata da A.S. sulla base di tre motivi, illustrati da successiva memoria; l’Inps ha opposto difese con tempestivo controricorso, mentre il Ministero dell’Economia e delle Finanze è rimasto intimato;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, parte ricorrente lamenta “Omesso esame di un fatto decisivo del giudizio – Mancata valutazione di una prova”; nella specie la certificazione dell’Agenzia delle Entrate attestante i redditi, che l’odierno ricorrente avrebbe depositato con il ricorso in appello;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, deduce “Violazione della L. n.118 del 1971, in relazione al mancato accoglimento della domanda concernente la provvidenza richiesta a titolo di invalidità civile”; il motivo formula una critica all’interpretazione data dalla Corte territoriale alla sentenza della Corte Costituzionale, eccependo in particolare che una separata considerazione delle singole minorazioni non risponderebbe alle complessive esigenze di tutela del soggetto, e che pertanto, avrebbe errato la Corte d’appello a ritenere incompatibile l’assegno di invalidità civile con la pensione di invalidità per i non vedenti;

col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contesta “Violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.”; il ricorrente deduce l’erroneità della mancata compensazione delle spese di lite per giusti motivi a causa della qualificazione di soccombenza operata ai suoi danni;

il primo motivo è inammissibile;

il ricorrente non produce e non trascrive la certificazione dell’Agenzia delle Entrate attestante i redditi relativa ai periodi in contestazione, in dispregio del principio di specificazione e di allegazione di cui all’art. 366 c.p.c. n. 4 e art. 369 c.p.c., n. 6;

in conformità a quanto ripetutamente affermato da questa Corte, il ricorso per cassazione, deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito (cfr. Cass. n. 27209 del 2017; Cass. n. 12362 del 2006);

il secondo motivo è assorbito;

quanto al terzo ed ultimo motivo, esso è infondato, in quanto non sussistono i giusti motivi per compensare le spese di lite vista la correttezza della statuizione di soccombenza a carico dell’odierno ricorrente;

in definitiva, il ricorso va rigettato; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza in favore della parte costituita; non si provvede sulle spese in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze in assenza di attività difensiva;

in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, atteso che la dichiarazione di esenzione per motivi reddituali non può essere presa in considerazione perchè non sottoscritta dalla parte personalmente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’Inps, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 2.500,00 a titolo di compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge. Nulla spese in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2020

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