Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6951 del 23/03/2010

Cassazione civile sez. III, 23/03/2010, (ud. 19/02/2010, dep. 23/03/2010), n.6951

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA MANTOVA 44 B, presso lo studio degli avvocati PASSI MASSIMILIANO

e DANIELA PIEMONTESE, rappresentato e difeso dall’avvocato

BALDASSARRA GIAMPIETRO giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

L’EDERA COMPAGNIA ITALIANA DI ASSICURAZIONI SPA IN L.C.A. in persona

del Commissario Liquidatore Dr. D.F., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA MARCELLO PRESTINARI 13, presso lo studio

dell’avvocato RAMADORI GIUSEPPE, rappresentata e difesa dall’avvocato

PIZZUTELLI VINCENZO giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

ASSITALIA SPA, P.R., P.A., P.

P., P.G., F.E., R.D.;

– intimati –

e sul ricorso n. 21654/2007 proposto da:

F.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA CAVOUR 211, presso lo studio dell’avvocato CAPECCI FRANCESCO,

rappresentato e difeso dall’avvocato PIZZUTELLI MARCO giusta delega a

margine del controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente –

contro

ASSITALIA SPA, P.R., P.A., P.

P., P.G., D.M., L’EDERA COMP ITAL

ASSIC SPA IN LCA, R.D.;

– intimati –

e sul ricorso n. 23957/2007 proposto da:

ASSITALIA – LE ASSICURAZIONI D’ITALIA S.P.A. ora INA ASSITALIA S.P.A.

(OMISSIS) in persona dell’Avvocato F.M.

procuratore speciale dell’Amministratore Delegato p.t. dell’INA

ASSITALIA S.P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAPRI 1,

presso lo studio dell’avvocato DI IORIO MARISA, rappresentata e

difesa dall’avvocato MAIETTA RAFFAELE giusta delega a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente –

contro

F.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA CAVOUR 211, presso lo studio dell’avvocato CAPECCI FRANCESCO,

rappresentato e difeso dall’avvocato PIZZUTELLI MARCO giusta delega a

margine del proprio controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente –

e contro

D.M., P.R., P.A., P.

P., P.G., L’EDERA COMPAGNIA ITALIANA DI

ASSICURAZIONI SPA IN L.C.A., R.D.;

– intimati –

e sul ricorso n. 23989/2007 proposto da:

P.G. (OMISSIS), P.A.

(OMISSIS), P.R. (OMISSIS), P.

P. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G.

AVEZZANA 1, presso lo studio dell’avvocato SCIUBBA LORENZO,

rappresentati e difesi dall’avvocato MOLLO ANTONIO giusta delega a

margine del controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrenti –

contro

F.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAVOUR 211,

presso lo studio dell’avvocato CAPECCI FRANCESCO, rappresentato e

difeso dall’avvocato PIZZUTELLI MARCO giusta delega a margine del

proprio controricorso e ricorso incidentale;

L’EDERA COMPAGNIA ITALIANA DI ASSICURAZIONI SPA IN L.C.A. in persona

del Commissario Liquidatore Dr. D.F., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA MARCELLO PRESTINARI 13, presso lo studio

dell’avvocato RAMADORI GIUSEPPE, rappresentata e difesa dall’avvocato

PIZZUTELLI VINCENZO giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

e contro

D.M., ASSITALIA SPA, R.D.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3212/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

SEZIONE TERZA CIVILE, emessa il 24/3/2006, depositata il 07/07/2006,

R.G.N. 8830/2001;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

19/02/2010 dal Consigliere Dott. AMBROSIO Annamaria;

udito l’Avvocato VINCENZO PIZZUTELLI in proprio e delega

dell’Avvocato MARCO PIZZUTELLI;

udito l’Avvocato ANTONIO MOLLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARINELLI Vincenzo, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.1. Con citazione notificata in data 29/12/1982 P.R., P.P., S.A. e P.G., questi ultimi anche nell’interesse del figlio minore A., convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Frosinone D. M., F.E., l’ASSITALIA – LE ASSICURAZIONI D’ITALIA s.p.a. (di seguito, brevemente, ASSITALIA), R.D. e L’EDERA s.p.a. per sentirli condannare al risarcimento di tutti i danni morali e materiali subiti per la morte del proprio congiunto P.G. avvenuta il (OMISSIS), a seguito dell’incidente stradale verificatosi il precedente (OMISSIS) sulla SS (OMISSIS). A fondamento della domanda esponevano che nell’occasione la Fiat 500, condotta da P.G., di proprietà della sorella P. R., era venuta in collisione laterale con altra Fiat 500, di proprietà del D.M., condotta dal F.E. e assicurata per la r.c.a. dall’ASSITALIA, che viaggiava a velocità eccessiva nell’opposto senso di marcia; a seguito dell’urto l’auto del P.G. era sbandata e aveva invaso l’opposta corsia, dove era stata investita dalla Fiat 131 del R.D., assicurata per la r.c.a. da L’EDERA, che procedeva a forte velocità.

Resistevano tutti i convenuti, che deducevano l’esclusiva responsabilità del defunto P.G., per aver affrontato a velocità sostenuta una curva sinistrorsa, invadendo l’opposta corsia, come riconosciuto anche in sede di archiviazione del procedimento penale. Il R.D. formulava anche domanda riconvenzionale per i danni materiali subiti e in corso di causa era risarcito.

La causa, interrotta per la messa in liquidazione coatta de L’EDERA e riassunta nei confronti della società in liquidazione, era decisa con sentenza n. 818 del 2001, con la quale l’adito Tribunale – ritenuta l’esclusiva responsabilità del F.E. – lo condannava in solido con il D.M. e l’ASSITALIA al risarcimento dei danni materiali e morali in favore degli eredi P. come da dispositivo, nonchè al pagamento delle spese di lite.

1.2. La decisione era gravata da impugnazione in via principale dall’ASSITALIA e in via incidentale dal F.E. e dagli eredi P.; il D.M. si costituiva ad adiuvandum dell’appellante principale, mentre L’EDERA eccepiva il giudicato con riguardo alla posizione del R.D.; quest’ultimo non si costituiva in appello.

La Corte di appello di Roma con sentenza in data 24/3 – 7/7/2006, in parziale accoglimento dell’appello dell’ASSITALIA, dichiarava che l’incidente in oggetto si era verificato per il 70% per colpa di P.G. e per il residuo 30% per colpa di F. E.; condannava in solido tra loro il F.E., il D.M. e l’ASSITALIA, quest’ultima limitatamente al massimale di polizza, al risarcimento dei danni in favore degli eredi P., liquidandoli nella riconosciuta responsabilità in complessive Euro 187.114,05, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo;

condannava gli eredi P. alla rifusione delle spese del doppio grado in favore de L’EDERA; compensava interamente tali spese tra le altre parti.

1.3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione D.M. svolgendo quattro motivi.

F.E. ha depositato controricorso e ricorso incidentale, svolgendo sette motivi, dichiarando altresì di fare “proprio” il ricorso del D.M. e chiedendone l’accoglimento.

Anche P.R., P.P., P.G. e P.A., in proprio e nella qualità di eredi di S.A., deceduta nelle more dell’appello, hanno depositato controricorso, dichiarando di aderire al ricorso principale e a quello incidentale, per la parte in cui si contesta la limitazione della responsabilità della compagnia di assicurazione entro il limite del massimale; gli stessi hanno, altresì, proposto ricorso incidentale, svolgendo tre motivi e depositato memoria ex art. 378 c.p.c. contenente anche istanza di correzione errore materiale.

Ha resistito l’ASSITALIA, depositando controricorso con cui ha dedotto, tra l’altro l’inammissibilità e/o l’infondatezza del ricorso principale e di quello incidentale del F.E.; ha svolto, a sua volta, ricorso incidentale, affidato a tre motivi.

Si è costituita L’EDERA depositando controricorso, illustrato anche da memoria, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità e/o l’infondatezza del ricorso principale e di quello incidentale dei P. relativamente alla posizione del R.D..

Il F.E. ha controdedotto, depositando controricorso avverso i ricorsi incidentali dell’ASSITALIA e dei P., nonchè memoria ex art. 378 c.p.c..

Nessuna attività difensiva è stata svolta dall’intimato R. D..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente occorre procedere ex art. 335 c.p.c. alla riunione dei ricorsi, proposti in via principale e incidentale, avverso la medesima sentenza.

1.1. I ricorsi, attesa la data di pronuncia della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e antecedente al 4 luglio 2009), sono soggetti in forza del combinato disposto di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 27, comma 2 e della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58 alla disciplina di cui all’art. 360 c.p.c. e segg. come risultanti per effetto del cit. D.Lgs. n. 40 del 2006.

1.2. RICORSO PRINCIPALE DEL D.M..

1.2.1. Con il primo motivo di ricorso principale si denuncia erronea, contraddittoria, illogica e omessa motivazione su un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 circa la ritenuta sussistenza del nesso di causalità tra la condotta di guida del F.E. e l’evento dannoso; omessa motivazione in ordine alla determinazione della colpa del ricorrente nel 30% del totale. Il motivo si incentra sulla determinazione dell’apporto causale delle singole condotte di guida, posto che, secondo il D.M., vi sarebbe stata solo una lieve strusciata laterale tra le due Fiat 500, priva di incidenza nel successivo e più violento impatto con la Fiat 131 del R.D.; di conseguenza la responsabilità del sinistro andrebbe ascritto alla condotta di guida del P.G. e, semmai, del R.D..

1.2.2. Con il secondo motivo di ricorso principale si denuncia violazione e falsa applicazione delle norme sulla c.d. mala gestio della c.ia di assicurazione ASSITALIA nella trattazione dell’incidente in rapporto alla determinazione del quantum debeatur ed al conseguente computo degli interessi e rivalutazione monetaria per violazione e falsa applicazione degli artt. 1917 e 1224 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Per il ricorrente l’ASSITALIA sarebbe obbligata a tenere indenne esso assicurato anche per svalutazione e interessi, dal momento che era perfettamente in grado di valutare l’an e il quantum della pretesa risarcitoria ed era altresì in mora nei confronti dei danneggiati.

1.2.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione delle regole della buona fede, con violazione degli artt. 1375, 1175, 1218, 1224, 1692 e 1693 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 sempre con riguardo alla mala gestio dell’assicuratore, assumendo, tra l’altro, il D.M. che la domanda di manleva per il pregiudizio che l’assicuratore cagiona al cliente nel ritardare il pagamento dell’indennizzo può essere anche implicita.

1.4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia omessa valutazione e motivazione circa la sussistenza del danno da mora da parte dell’assicuratore ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. A parere del D.M. “a tutto voler concedere” andrebbero riconosciuti gli interessi legali costituenti il massimale e integrato un debito di valuta dell’assicuratore verso il danneggiato, dalla data in cui il danno (debito di valore) aveva raggiunto il valore sentenziato.

1.3. Il ricorso principale del D.M. va dichiarato inammissibile.

Invero nessuno dei suesposti motivi risulta proposto in conformità ai canoni elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte in relazione all’art. 366 bis c.p.c. nel testo qui applicabile, introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2008, art. 6 in base al quale nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

1.3.1. In base alla norma cit. le censure di tipo motivazionale formulate dal D.M. con il primo e quarto motivo, nonchè con parte del secondo motivo avrebbero dovuto concludersi o contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto, previsto nella eventualità che il motivo sia proposto a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4) che ne circoscrivesse puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603). In mancanza opera la sanzione di inammissibilità.

1.3.2. Quanto alle censure formulate in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 si osserva che il quesito di diritto imposto dall’art. 366 bis c.p.c., rispondendo all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della S.C. di Cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale, e non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regola juris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (Cass. civ., Sez. 3^, 09/05/2008, n. 11535).

I quesiti formulati in calce al ricorso del D.M., a corredo del secondo e terzo motivo, si sostanziano, invece, in una generica istanza di decisione sull’esistenza del vizio denunciato, demandando a questa Corte di accertare se vi sia stata o meno violazione di una serie di norme sostanziali e di enunciare, poi, il relativo principio di diritto. In tale modo parte ricorrente si è sottratta all’onere imposto dal cit. art. 366 bis c.p.c. di sottoporre alla Corte una propria finale, conclusiva, valutazione della dedotta violazione della legge, sulla cui correttezza sollecitare “il sì o il no” di questo Giudice di legittimità.

1.4. La declaratoria di inammissibilità del ricorso principale non preclude l’esame dei ricorsi incidentali, posto che gli stessi risultano ammissibili e tempestivi, essendo stati proposti entro il termine di cui al comb. disp. degli artt. 370 e 371 c.p.c. decorrente dalla notificazione del ricorso principale e nel rispetto del termine annuale di impugnazione in astratto operativo (trattandosi di sentenza che non risulta notificata ai procuratori).

1.4.1. Va altresì osservato sin da ora che i suddetti ricorsi incidentali risultano corredati da quesiti che (salvo che per alcuni specifici motivi, in prosieguo individuati) appaiono adeguati in relazione al disposto dell’art. 366 bis c.p.c. nel testo qui applicabile.

1.4.2. Di seguito si riportano i motivi di ricorso incidentale hinc et inde proposti, per potere poi accorpare – per l’economia della motivazione – la disamina delle censure comuni alle parti o, comunque, logicamente connesse.

2. RICORSO INCIDENTALE DEL F.E..

2.1. Con il primo motivo di ricorso incidentale si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1917 c.c. in relazione alla L. n. 990 del 1969, art. 18 dell’art. 2697 c.c. e delle norme e dei principi in tema di rinuncia ad eccezioni, nonchè dell’art. 112 c.p.c.; omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 c.p.c. Al riguardo il F.E. lamenta che la Corte di appello non si sia pronunciata sull’eccezione di inammissibilità da lui proposta in appello avverso il motivo di impugnazione dell’ASSITALIA con cui si chiedeva di contenere l’esposizione della compagnia di assicurazione entro i limiti del massimale e osserva che l’assunzione in primo grado della difesa dell’assicurato comportava rinuncia implicita da parte dell’assicuratore a eccepire l’irrisarcibilità del danno oltre i limiti di detto massimale.

2.2. Con il secondo motivo di ricorso incidentale si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1913 c.c. e della L. n. 990 del 1969, art. 22; insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Al riguardo il F.E. deduce la sussistenza, nella specie, della mala gestio dell’assicuratore sia nei rapporti con la parte danneggiata per effetto della messa in mora, sia nei rapporti con l’assicurato a seguito dell’avviso di sinistro ex art. 1913 c.c.; individua, quindi, nella richiesta ex art. 22 cit. l’atto di costituzione in mora e nell’avviso di sinistro il parametro per valutare la responsabilità dell’assicuratore.

2.3. Con il terzo motivo di ricorso incidentale si denuncia omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio; violazione e falsa applicazione della L. n. 990 del 1969, artt. 1, 9, 18, 22 e degli artt. 1917, 2043, 1175, 1176, 1375, 2727 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Al riguardo il F.E. deduce che l’ASSITALIA, a seguito dell’avviso di sinistro e della richiesta dei danneggiati, oltre che con l’archiviazione del procedimento penale, aveva avuto conoscenza di tutti gli elementi per provvedere alla liquidazione e che – contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello – non occorreva la mala fede ai fini dell’esposizione dell’assicuratore oltre i limiti del massimale, essendo sufficiente a concretarne la responsabilità la violazione degli obblighi di correttezza che devono presiedere al relativo rapporto; in particolare – secondo il ricorrente – il mancato risarcimento o almeno il mancato pagamento del massimale decorso il termine di cui alla L. n. 990 del 1969, art. 22 concreterebbe violazione dell’obbligo di cui all’art. 1917 c.c. e degli obblighi di correttezza e buona ex art. 1175 e 1375 c.c. costituendo fonte di diretta responsabilità nei confronti dell’assicurato, del danneggiato e del conducente.

2.4. Con il quarto motivo di ricorso incidentale si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1224 e 1175, 1176 e 1375 c.c. in relazione all’art. 1917 c.c. e alla L. n. 990 del 1969, artt. 1 e 18 e dei principi generali; omesso esame e omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Al riguardo il F.E. lamenta che la parte debole del rapporto di assicurazione sia stata gravata dei rischi dell’aggravamento del danno in dipendenza del decorso del tempo, anche a seguito dei mutamenti di giurisprudenza in materia;

deduce, quindi, l’inosservanza da parte dell’assicuratore dei principi che sanciscono il dovere di “protezione”, di informazione e correttezza dell’assicuratore nei confronti dell’assicurato, nonchè quelli in tema di mora, da cui conseguirebbe l’obbligo del medesimo assicuratore di corrispondere alla parte danneggiata gli interessi di mora e il maggior danno ex art. 1224 c.c. sul massimale.

2.5. Con il quinto motivo di ricorso incidentale si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio; violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. del D.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, artt. 104 e 102 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Al riguardo il F.E. contesta che la condotta di guida da lui tenuta abbia avuto incidenza causale nella produzione del sinistro e deduce che – contrariamente a quanto ritenuto dalla decisione impugnata – l’auto, da lui condotta, viaggiava ben all’interno della propria corsia (dovendo il punto di impatto localizzarsi a mt. 1,25 della linea di mezzeria) e che solo la velocità tenuta dal P.G. fu causa dell’impatto frontale con la Fiat 131 del R.D..

2.6. Con il sesto motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 1227 c.c. in relazione agli artt. 102 e 104 previgente C.d.S. e omessa, insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Al riguardo il F.E. deduce che la determinazione del concorso di colpa a carico del danneggiato deve corrispondere alla gravitàeffettiva e reale della sua colpa;

lamenta, dunque, l’insufficienza del giudizio di “congruità” espresso dalla Corte territoriale sul punto.

2.7. Con il settimo motivo di ricorso incidentale si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226 e 2056, 2727, 2729 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Al riguardo il F.E. si duole che sia stato riconosciuto ai danneggiati il lucro cessante, pur in difetto di allegazione e prova della parte danneggiata; osserva che l’affermazione, in via di presunzione, sia del danno che dell’utilità, in difetto di fatti noti non dedotti, costituisce violazione delle norme in materia di presunzione e di onere della prova.

3. RICORSO INCIDENTALE DELL’ASSITALIA. 3.1. Con il primo motivo di ricorso incidentale si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio; violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. del D.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, artt. 104 e 102 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Al riguardo l’ASSITALIA svolge censure analoghe a quelle fatte valere dal F.E. con il motivo (sopra sub 2.5.), contestando che l’urto tra le due FIAT 500 fosse individuabile – così come ritenuto dalla Corte di appello – a ridosso della mezzeria di pertinenza del F.E. e assumendo che la collisione tra dette auto fu lieve e, quindi, priva di efficacia causale nel susseguente impatto dell’auto del P.G. con la Fiat 131 del R.D..

3.2. Con il secondo motivo di ricorso incidentale l’ASSITALIA denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 1227 c.c. in relazione agli artt. 102 e 104 previgente C.d.S. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Anche questo motivo svolge tematiche trattate nel ricorso del F.E. (sub 2.6), relativamente alla determinazione del concorso di colpa a carico del danneggiato.

3.3. Con il terzo motivo di ricorso incidentale si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2056, 2727, 2729 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Il motivo riproduce, nella sostanza, le censure di cui al settimo motivo di ricorso F.E..

4. RICORSO INCIDENTALE DEI P..

4.1. Con il primo motivo di ricorso incidentale si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1224 c.c, L. n. 990 del 1969, artt. 18 e 22 nonchè dell’art. 112 c.p.c.; omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5. In particolare i P. osservano che la Corte di appello ha circoscritto la responsabilità dell’ASSITALIA entro il limite di L. 100.000.000 del massimale, prendendo in esame esclusivamente il rapporto assicurato/assicuratore, senza considerare che essi danneggiati avevano insistito sulla circostanza che l’obbligazione di pagamento degli interessi e rivalutazione era fondata sulla mora dell’assicuratore; deducono, quindi, che per il tempo della mora (nella specie protrattasi per 25 anni) l’assicuratore deve rispondere nei confronti del danneggiato, oltre il massimale di polizza, per gli interessi maturati sulla somma dovuta (massimale di polizza) dal giorno della mora e per l’eventuale maggior danno subito a causa del mancato adempimento dell’obbligazione pecuniaria.

4.2. Con il secondo motivo di ricorso incidentale si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 c.c. e dell’art. 112 c.p.c.; omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5. Al riguardo i P. lamentano che la Corte di appello abbia ignorato i danni subiti dall’autovettura di P.R., provati dal rapporto della Polstrada e riconosciuti dal G.O.A. in L. 1.500.000; denunziano, dunque, il vizio di omessa petizione sul punto, mentre relativamente, al danno patrimoniale per il mancato apporto economico che presumibilmente il loro congiunto avrebbe fornito alla famiglia, deducono che la relativa liquidazione era possibile in via equitativa.

4.3. Con il terzo motivo di ricorso incidentale si denuncia erronea, contraddittoria illogica e omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 e cioè l’apporto causale nella determinazione della condotta di guida del F.E. e del R.D.. Al riguardo i P. lamentano che la Corte di appello abbia disatteso i contenuti della deposizione testimoniale da essi addotta, privilegiando le risultanze del rapporto della Polstrada, senza considerare che, al momento dell’intervento dei verbalizzanti, la Fiat 500 del loro congiunto, dopo essere stata ribaltata a seguito dell’urto, era stata rimessa in posizione normale. In particolare sarebbe “probabile” che le tracce di vernice, erroneamente attribuite dalla Corte di appello alla collisione di striscio delle due Fiat 500 siano appartenute alla sola Fiat 500 del P.G. e siano state cagionate al momento in cui l’auto venne rimossa ovvero che siano state provocate dalla borchia del veicolo caduto a terra. La motivazione della sentenza sarebbe, dunque, insufficiente nel punto in cui disattende la deposizione dell’unico teste oculare, contraddittoria nella valutazione del rapporto della POLSTRADA e, conseguentemente, nella valutazione della condotta di guida tenuta dal F.E. e dal R.D..

5. Le questioni proposte con i motivi sopra esposti sub nn. 2.5 e 2.6 del ricorso incidentale del F.E., sub nn. 3.1. 3.2. del ricorso incidentale dell’ASSITALIA e sub n. 4.3 del ricorso P. attengono alla ricostruzione del sinistro e alla determinazione delle responsabilità e sono, pertanto, suscettibili di disamina unitaria.

5.1. La Corte di appello ha ritenuto che la deposizione dell’unico teste addotto dai P. (peraltro non individuato dai p.u.

verbalizzanti nell’immediatezza dell’incidente) non fosse attendibile a fronte di dati obiettivi emergenti dal rapporto della Polstrada (tracce di vernice delle due Fiat 500 presenti sull’asfalto, individuanti il punto di collisione tra i due veicoli; solchi impressi sull’asfalto dalla Fiat 131 e dalla Fiat 500 del P. G. attestanti anche il punto della seconda collisione; spazio di frenata e gravitàdei danni), così pervenendo al convincimento che il defunto P.G. viaggiasse a velocità sostenuta all’uscita di una curva volgente a sinistra e individuando in tale velocità la probabile causa dello sbandamento verso sin. della Fiat 500 dallo stesso condotta e della collisione della stessa vettura con i veicoli che percorrevano l’opposta corsia e, precisamente, sia della collisione di striscio e laterale (con la fiancata post. sin.) dell’altra Fiat 500, condotta dal F.E., sia dell’urto frontale e violento con l’auto Fiat 131 del R.D.. In particolare – individuato il punto di impatto delle prime due auto all’interno della corsia di pertinenza del F.E., ma in prossimità della linea di mezzeria di quest’ultimo – i giudici di appello, accanto alla colpa del P.G., determinata in ragione del 70% (per la velocità eccessiva e per aver invaso l’opposta corsia), hanno ritenuto sussistente un residuale concorso di colpa del F.E., rilevando che costui aveva l’obbligo di tenere la dx in maniera rigorosa, avuto riguardo alle condizioni della strada (curva volgente a dx a visuale non completamente libera); mentre nessuna colpa hanno attribuito al R.D., non ravvisando alcuna colpa normativa o generica a suo carico e ritenendo che lo stesso non fosse in grado di attuare, nella situazione descritta, alcuna efficace manovra di emergenza.

5.2. Il F.E. e l’ASSITALIA denunciano che la corretta individuazione dell’incidenza causale delle condotte e, correlativamente, delle responsabilità è stata fuorviata dall’errata individuazione del punto di collisione tra le due Fiat 500 (del P.G. e del F.E.), quale risulterebbe dal rapporto della Polstrada.

Orbene – a tacere dalla genericità del quesito in ordine alla necessità di individuazione di “un nesso di causalità oggettivo e soggettivo fra il comportamento dell’autore ed il danno” a corredo del censura di violazione di legge e alla carenza del necessario momento di “sintesi” sul punto controverso ex art. 366 bis c.p.c. in relazione alla connessa censura motivazionale – occorre osservare che, per costante giurisprudenza di questa Corte, la censura secondo cui la ricostruzione dell’incidente, come effettuata dai giudici di merito, è in contrasto con le risultanze probatorie, si risolve in una censura di travisamento del fatto. Sotto questo profilo, dunque, le censure in questione (peraltro, per buona parte, anche carenti sotto il profilo dell’autosufficienza), in quanto dirette a prospettare l’inesatta percezione da parte del giudice delle risultanze processuali, non potevano costituire motivo di ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ma avrebbe dovuto essere materia di revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4 (confr. Cass. 3 agosto 2007, n. 17057; Cass. civ. 13 novembre 2006, n. 24166).

In tale prospettiva l’altro quesito – concernente la violazione degli artt. 102 e 104 C.d.S. si rivela inconferente, giacchè postula una ricostruzione del fatto diversa e alternativa da quella adottata dalla decisione impugnata.

5.3. I P. lamentano la mancata valutazione delle emergenze della prova testimoniale, rispetto alle quali i giudici di appello avrebbero erroneamente privilegiato le risultanze del rapporto.

Senonchè è principio di diritto ormai consolidato quello secondo cui l’art. 360 c.p.c., n. 5. non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendole, per converso, il solo controllo, sotto il profilo logico – formale e della correttezza giuridica, dell’esame e delle valutazioni compiute dal Giudice del merito, al quale soltanto spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove, controllandone l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (con la sola esclusione delle prove legali che qui non rilevano).

Nella specie i ricorrenti incidentali, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, sollecitano una nuova valutazione delle risultanze fattuali del processo ad opera di questa Corte, tentando surrettiziamente di trasformare il giudizio di legittimità in un terzo grado di merito, nel quale ridiscutere l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella risultanza procedimentale e le opzioni espresse al riguardo dai giudici di appello, non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altra ritenuta più “probabile” e consona ai propri desiderata (e ciò sebbene la fungibilità nella ricostruzione di un fatto non sia ammissibilmente predicabile nell’ambito del giudizio di cassazione).

5.4. E’ appena il caso di aggiungere che le censure dei P. intese a prefigurare un coinvolgimento del R.D. nella responsabilità del sinistro (cui possono affiancarsi quelle del F.E. per la parte in cui “fa proprio” il ricorso del D. M., adombrante, anch’esso, una possibile responsabilità dell’assicurato de L’EDERA, in termini, peraltro, come si è visto, inammissibili) sono di assoluta genericità. Nella specie – come risulta dalla breve sintesi sopra riportata – i Giudici del merito hanno compiutamente motivato sul punto e questo Collegio deve limitarsi ad osservare che la valutazione delle risultanze probatorie al riguardo non appare palesemente incongrua e si basa su un percorso argomentativo coerente e privo di vizi logici.

5.5. Quanto alle censure relative alla determinazione del grado di responsabilità concorrente esposte dal F.E. e dall’ASSITALIA (sopra sub 2.6 e 3.2), va, innanzitutto, rilevata la genericità dei quesiti con cui si chiede se siffatta determinazione doveva corrispondere alla “gravità reale ed effettiva” della colpa del danneggiato, dovendo qui ribadirsi l’inammissibilità del motivo di ricorso per Cassazione che si concluda con la formulazione di un quesito di diritto in alcun modo riferibile alla fattispecie o comunque assolutamente generico (Cass. civ., Sez. Unite, 05/01/2007, n. 36).

Anche la connessa censura motivazionale incorre nel rilievo di inammissibilità per carenza di idoneo momento di “sintesi” in ordine al punto controverso e alla decisività del vizio.

5.6. A margine dei rilevati, pur assorbenti, profili di inammissibilità, occorre osservare che, in tema di responsabilità da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, l’apprezzamento del giudice del merito in ordine alla ricostruzione delle modalità di un incidente, al comportamento delle persone alla guida dei veicoli in esso coinvolti e all’apprezzamento e graduazione dell’eventuale concorso di colpa, si concreta in un giudizio di mero fatto, se informato – come nella specie – ad esatti principi giuridici ed esente da vizi logici e motivazionali; e ciò vale anche per quanto riguarda il punto se il conducente di uno dei veicoli abbia fornito o meno la prova liberatoria di cui all’art. 2054 c.c. (Cass. 2/03/2004, n. 4186; Cass. 25/02/2004, n. 3803; Cass. 30/01/2004, n. 1758; Cass. 05/04/2003, n. 5375). Inoltre l’accertamento della colpa di uno dei conducenti – ad esempio, come nel caso in esame, per aver invaso l’opposta corsia a velocità sostenuta – non dispensa il giudice dal verificare il comportamento dell’altro conducente onde stabilire se quest’ultimo abbia a sua volta violato o meno le norme sulla circolazione stradale ed i normali precetti di prudenza, potendo l’eventuale inosservanza di dette norme comportare l’affermazione di una colpa concorrente (ex plurimis: Cass. civ., Sez. 3^, 19/05/2006, n. 11762).

Nella fattispecie, avendo la sentenza impugnata ravvisato a carico del P.G. una colpa normativa e a carico del F.E. un’imprudenza generica (per non aver tenuto la dx rigorosa), l’affermazione del sia pur limitato concorso di colpa di quest’ultimo non presenta errori di diritto o vizi motivazionali rilevabili in questa sede di sindacato di legittimità, anche perchè i giudici di appello – descrivendo la traiettoria della Fiat 500 del P. G. e il successivo impatto frontale con la Fiat 131 del R.D. hanno, sia pure implicitamente, dato contezza della rilevanza causale del primo impatto nel(ulteriore) sbandamento della prima autovettura.

In definitiva nessuno dei motivi di ricorso incidentale all’esame merita accoglimento.

6. Nell’ordine logico vanno, adesso, esaminate le questioni attinenti al quantum, che sono oggetto dei motivi sopra riassunti sub n. 4.2.

del ricorso P., sub n. 2.7 del ricorso del F.E. e sub n. 3.3. del ricorso ASSITALIA. 6.1. Al riguardo si osserva che i giudici di appello hanno proceduto a una nuova liquidazione dei danni, con riferimento alla data della decisione di secondo grado, tenuto conto della mancata precisazione da parte del primo giudice dei criteri seguiti, così superando la doglianza dei P. che lamentavano la mancata rivalutazione della somma di L. 270.000.000 ad essi riconosciuta in primo grado, unitamente agli interessi legali.

In particolare i danni (nuovamente) liquidati nella sentenza di secondo grado sono quelli non patrimoniali subiti dai genitori e dai tre fratelli per la perdita del congiunto: danni, che – ripartiti tra i vari congiunti come in motivazione – sono stati quantificati (nella percentuale del 30%, in ragione del limitato concorso di colpa) all’attualità nella complessiva somma di Euro 103.383,00. Su tale importo è stato, quindi, riconosciuto il danno da lucro cessante, calcolato al tasso del 5% annuo sulla semisomma tra l’importo dei danni devalutato all’epoca dell’evento (Euro 30.586,69) e quello liquidato all’attualità (Euro 103.383,00) e così determinato in Euro 83.731,05.

Non è stata, invece, ritenuta fondata l’ulteriore doglianza degli eredi P. circa il mancato riconoscimento del danno patrimoniale futuro consistente nella perdita delle aspettative del contributo economico della vittima, in quanto non è stata ritenuta provata l’attività lavorativa di quest’ultima, nè il reddito sul quale calcolare il presunto danno, da ritenere solo potenziale o possibile.

6.2. E’ solo parzialmente fondato e va accolto, per quanto di ragione, il secondo motivo di ricorso P. (sopra sub 4.2.).

Da quanto appena esposto emerge, invero, che i giudici di appello non si sono pronunciati sul danno conseguente alla perdita dell’autovettura condotta da P.G.. La decisione impugnata, infatti, nel procedere alla rideterminazione dei danni, trascura del tutto tale voce, pur riconosciuta dal primo giudice in L. 1.500.000 oltre interessi legali dalla domanda al saldo, come è pacifico tra le parti e come risulta anche dall’esame della sentenza di primo grado consentito in ragione della natura processuale del vizio dedotto.

Merita puntualizzare che non è legittimamente predicabile che la Corte territoriale abbia escluso il relativo risarcimento per difetto di prova, perchè – a prescindere dal fatto che non risulta neppure formulata una censura di questo tenore in grado di appello – il rilievo della carenza probatoria risulta chiaramente e inequivocamente riferito, nella sentenza impugnata, al “danno patrimoniale futuro consistente nella perdita delle aspettative del contributo economico della vittima”.

Vero è che il giudice di appello, nel “riliquidare” i danni, ha, del tutto, ignorato quello relativo alla perdita della vettura incorrendo nel dedotto vizio di omessa decisione ex art. 112 c.p.c..

6.2.1. Non è, invece, fondata l’altra doglianza formulata dai P. con il medesimo motivo di ricorso in ordine alla mancata liquidazione del danno patrimoniale per il mancato apporto economico che presumibilmente avrebbero ricevuto dal congiunto. Invero i richiami extratestuali (attestati, diplomi ecc.) operati da parte ricorrente incidentale, per un verso, non sono verificabili come tali in questa sede e, per altro verso, non appaiono, comunque, idonei a smentire il dato decisivo evidenziato nella sentenza impugnata e, cioè, che non vi era prova nè dello svolgimento di un’attività lavorativa, nè (tantomeno) del reddito sul quale calcolare il presunto danno.

Si rammenta che il ricorso alla liquidazione in via equitativa ex art. 1226 c.c. postula l’assolvimento da parte di colui che agisce per il risarcimento dell’onere della prova certa e concreta del danno sulla scorta di elementi idonei a fornire parametri plausibili di quantificazione. Di conseguenza la sentenza in parte qua non risulta censurabile nè sotto il profilo della violazione di legge, nè sotto quello della motivazione.

6.3. Non meritano accoglimento i motivi sopra sub n. 2.7 del ricorso del F.E. e sub n. 3.3. del ricorso ASSITALIA concernenti il riconoscimento ai P. del lucro cessante.

Va innanzitutto osservato, relativamente al preteso difetto di “allegazione” di un danno di tal fatta, che la censura – risolvendosi nel rilievo di un difetto di attività del giudice – avrebbe dovuto essere formulata in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, sì da consentire a questa Corte l’esame degli atti; mentre per quanto riguardo il preteso difetto di “prova”, la censura stessa appare generica a fronte di una motivazione che sia pure sinteticamente ha dato conto degli elementi (decorso del tempo e indisponibilità del danaro nello stesso periodo) da cui ha desunto la certezza dell’effettività e concretezza di tale danno.

Non appare superfluo aggiungere che – per quanto emerge dalla sentenza impugnata – i P. avevano richiesto il risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali e, tra i primi, va ricompreso anche il ristoro del danno subito, per l’indisponibilità tra la data del fatto e quella della decisione, dell’equivalente monetario del bene perduto. Tale danno – costituente un danno distinto e ulteriore rispetto a quello da perdita (danno emergente) che si identifica nel mancato conseguimento dell’utilitas che il creditore avrebbe tratto dalla somma se tempestivamente versata (lucro cessante) – può essere accertato, anche mediante presunzioni semplici, stante le difficoltà della relativa prova, ed essere liquidato facendo ricorso all’art. 1226 c.c. (criteri equitativi) come nella specie è avvenuto.

7. Da ultimo vanno esaminati i motivi di ricorso incidentale che si incentrano sulla c.d. mala gestio della c.ia di assicurazione: motivi sopra riassunti sub nn. 2.1., 2.2, 2.3 e 2.4 F.E. e sub n. 4.1. del ricorso P..

7.1. I suddetti motivi si incentrano nella parte della decisione che hanno contenuto la responsabilità dell’ASSITALIA entro il limite del massimale (pacificamente indicato dalle parti in L. 100.000.000), ritenendo che possa parlarsi di mala gestio dell’assicuratore solo in ipotesi di malafede: ipotesi, che la Corte territoriale non ha ravvisato nel caso di specie, considerando che l’ASSITALIA aveva scelto di non pagare alla luce del procedimento penale che aveva escluso la responsabilità del F.E. e rilevando, altresì, che lo stesso esito del giudizio di appello dava parziale ragione all’assicuratore sotto il profilo del an debeatur e delle singole responsabilità.

7.2. I motivi all’esame impongono alcune considerazioni di principio in ordine a due distinti profili di responsabilità dell’assicuratore, configurabili in materia di assicurazione obbligatoria per la R.C.A. e sui riflessi che ne conseguono sul piano processuale, così come sono stati puntualizzati da questa Corte a partire dal noto arresto del 8 luglio 2003 n. 10725, che ha riconsiderato ex novo l’intera problematica.

7.2.1. Invero nei riguardi del danneggiante – assicurato, il superamento del limite del massimale si colloca nell’ambito della disciplina della responsabilità contrattuale (comunemente definita da mala gestio c.d. propria), trovando fondamento nella violazione dell’obbligo dell’assicuratore di comportarsi secondo buona fede o correttezza nell’esecuzione dei contratto ai sensi degli artt. 1175 – 1375 c.c. come quando sul danneggiante ricada l’onere economico provocato dall’ingiustificato ritardo dell’assicuratore nel risarcire il danno in favore del danneggiato ovvero dalla mancata accettazione di favorevoli proposte transattive, essendo pertanto al riguardo necessaria la formulazione di un’espressa domanda proposta dal danneggiante (o introdotta dal danneggiato in via surrogatoria ex art. 2900 c.c.) per responsabilità per mala gestio con la specifica allegazione e prova dei comportamenti colpevoli che la sostanziano (cfr. Cass. civ., Sez. 3^, 22/12/2004, n. 23819; Cass. civ., Sez. 3^, 05/08/2005, n. 16598).

7.2.2. Diversamente è da dirsi nel rapporto danneggiato/assicuratore. Invero – considerato che il primo, agendo contro l’assicuratore, esercita un’azione diretta e che l’obbligazione dell’assicuratore nei suoi confronti ha ad oggetto la corresponsione dell’indennità al danneggiato entro i limiti del massimale di polizza – il superamento di tale limite in presenza di comportamento dilatorio dell’assicuratore, nel rapporto con il danneggiato, trae fondamento e disciplina nel disposto dell’art. 1224 c.c. in quanto debito da ritardo nell’adempimento di un’obbligazione pecuniaria. E una volta scaduto il termine di sessanta giorni dalla richiesta con lettera A.R. del danneggiato, l’assicuratore è in mora (semprechè ovviamente sia stato messo in grado di determinarsi sull’an e il quantum della richiesta stessa).

Sul piano processuale ciò comporta che il danneggiato, esercitando l’azione diretta verso l’assicuratore, non deve necessariamente proporre contro l’assicuratore una specifica domanda di responsabilità per colpevole ritardo (mala gestio c.d. impropria).

Invero, la condanna al pagamento di interessi di mora e maggior danno costituiscono il possibile oggetto di un’altra domanda, per interessi moratori, rivalutazione e spese (Cass. 24/1/2006 n. 1315) ovvero, anche, che abbia richiesto il pagamento degli interessi: interessi che, nel caso in cui il danno sia già al momento del sinistro pari o superiore al massimale, vanno computati sul massimale stesso dalla data della mora, di norma coincidente con la scadenza dello spatium deliberandi di sessanta giorni dal ricevimento da parte dell’assicuratore della raccomandata con la quale il danneggiato gli abbia richiesto il risarcimento; mentre, nel caso in cui il danno sia originariamente inferiore al massimale, ma ne raggiunga il livello col passare del tempo, dalla data in cui l’equivalenza è superata (Cass. civ., Sez. 3^, 09/02/2005, n. 2653).

7.2.4. Merita puntualizzare che il danneggiato non può far valere contro l’assicuratore come diritto proprio, il diritto al risarcimento del danno che, nel rapporto contrattuale di assicurazione, deriva all’assicurato dal pregiudizio che l’assicuratore gli cagiona non eseguendo la sua obbligazione in buona fede (mala gestio c.d. propria). Per farlo il danneggiato deve agire con l’azione surrogatoria, sostituendosi al proprio debitore che trascura di esercitare quel diritto verso l’assicuratore ex art. 2900 c.c.; in tal caso egli può ottenere in suo favore la condanna dell’assicuratore, nei limiti in cui, a seconda dei casi l’avrebbe potuta ottenere l’assicurato (in termini Cass. 8 luglio 2003 n. 10725, cit., in motivazione). Il ristoro di tale danno si differenzia, infatti, dalle conseguenze della mala gestio (impropria) che nei rapporti con il danneggiato trova fondamento nella mora, venendo in questione, nel rapporto con il danneggiante – assicurato, l’ammontare di quanto quest’ultimo si veda costretto a pagare in più rispetto a quello cui sarebbe stato tenuto se l’assicuratore si fosse comportato in buona fede nella gestione del rapporto contrattuale assicurativo, non tralasciando occasioni di pagare per tempo il dovuto.

7.3 Sciogliendo le fila del discorso si osserva che gli argomenti svolti dalla Corte di appello sopra riassunti sub 7.1. – focalizzati sul rapporto assicurato/assicuratore – si rivelano inconferenti, posto che nel caso in esame non vi è stato esercizio dell’azione di mala gestio (propria) nè in via diretta da parte dell’assicurato (il quale, invece, nel primo grado del giudizio, costituendosi per il tramite del medesimo difensore, ha assunto la stessa posizione della compagnia di assicurazione, di totale diniego della pretesa risarcitoria dei P.), nè in via surrogatoria da parte del danneggiato.

E’ il caso di precisare che tale azione non può ritenersi implicitamente (e inammissibilmente) introdotta in appello dal F.E., anche perchè costui, quale conducente del mezzo, appare estraneo al rapporto assicurativo. Sotto questo profilo lo stesso F.E. non risulta neppure legittimato a far valere con i motivi di ricorso all’esame diritti che – a seconda della prospettiva di volta in volta assunta – appaiono riferibili ora all’assicurato, proprietario del mezzo, ora ai danneggiati.

Per altro verso occorre osservare che gli argomenti cui hanno fatto ricorso i giudici di appello per contenere la responsabilità dell’assicuratore entro il limite del massimale non risultano utilmente svolti con riguardo al rapporto danneggiati/assicuratore e non giustificano il mancato riconoscimento ai primi dell’ulteriore danno da mora, nella misura corrispondente agli interessi legali (non risultando, nel caso all’esame, allegazione e prova del maggior danno di cui all’art. 1224 c.c.) sull’importo del massimale, a decorrere dal momento in cui il credito degli stessi danneggiati, all’origine inferiore, cumulato agli accessori maturati nel periodo di mora, è divenuto equivalente a tale importo. Invero – come emerge dai conteggi del danno da lucro cessante, riportati nella sentenza – detto credito, avuto riguardo al grado di responsabilità accertato, ammontava alla data del fatto (nel giugno 1981) ad Euro 30.586,69 (cui va aggiunto il modesto importo spettante per la perdita dell’autovettura, di cui si dirà di seguito), risultando, perciò, all’origine compreso nel massimale ed ha finito poi per raggiungere tale livello (e per superarlo abbondantemente), in dipendenza della svalutazione monetaria intervenuta e del prodursi dell’ulteriore danno da lucro cessante, maturati nel lunghissimo iter processuale durante il quale la c.ia di assicurazione non ha mai ritenuto di porre il relativo importo a disposizione dei danneggiati (neppure dopo la decisione di primo grado).

8. In definitiva, mentre vanno rigettati i ricorsi incidentali del F.E. e dell’ASSITALIA, vanno accolti, per quanto di ragione, il primo e il secondo motivo del ricorso incidentale dei P., con conseguente cassazione in relazione ai motivi accolti della sentenza impugnata.

8.1. Ritiene il Collegio che sussistono i presupposti per decidere nel merito ex art. 384 c.p.c. in relazione ad entrambe le censure accolte. Invero la Corte di Cassazione può decidere la causa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c. non soltanto in caso di violazione e falsa applicazione di norme sostanziali, ma anche nel caso in cui il suddetto vizio attenga a norme processuali e, sempre che non siano necessari ulteriori accertamenti in fatto (Cass. civ. sez. 3^ 15/02/2005 n. 2005). E di ciò, nel caso di specie, non si ravvisa necessità, tenuto conto che, per quanto riguarda l’omessa decisione in ordine al danno per la perdita del veicolo, può utilmente farsi riferimento alla determinazione quantitativa operata dal primo giudice, in ragione di L. 1.500.000 oltre interessi legali dalla domanda al saldo, posto che, in relazione ad essa non risultano formulate specifiche censure in appello, salvo, ovviamente, a ridurre il relativo importo a L. 450.000, avuto riguardo alla percentuale di responsabilità, come accertata in appello; mentre, per quanto riguarda il danno da mora, i dati sopra individuati sub 7.4.

consentono di affidare ad un mero calcolo matematico, eventualmente in sede di esecuzione, la precisa individuazione sia del dies a quo, sia dell’ammontare degli interessi al tasso legale maturati da tale data al soddisfo.

La soluzione adottata appare, del resto, coerente con il disposto dell’art. 111 Cost., comma 2 che, con lo statuire che la legge deve assicurare la ragionevole durata del processo, detta una regola per una interpretazione delle singole norme di rito funzionalizzata alla celerità del giudizio (Cass. sez. lav. 07/01/2009, n.55), celerità, che se si seguisse la diversa soluzione della cassazione con rinvio, risulterebbe, nella specie, inutilmente sacrificata. Invero ritiene il Collegio che il principio di cui all’art. 111 cit. imponga di fare un uso il più lato possibile del potere di decisione in merito (art. 384 c.p.c., comma 2), evitando di rinviare la causa in appello, laddove si tratti di effettuare un mero calcolo aritmetico, eventualmente anche in sede di esecuzione.

In definitiva D.M., F.E. e l’ASSITALIA – LE ASSICURAZIONI D’ITALIA vanno condannati, in solido tra loro, al pagamento della somma di L. 450.000, pari ad Euro 232,41, oltre interessi legali dalla domanda al saldo in favore di P. R. (che come è pacifico era la proprietaria dell’autovettura);

l’ASSITALIA va, inoltre, condannata al pagamento in favore di P.R., P.A., P.P. e P.G. degli interessi legali da computarsi sul massimale di polizza di L. 100.000.000 (pari ad Euro 51.645,69) a decorrere dalla data in cui il credito dei danneggiati, all’origine inferiore, cumulato agli accessori maturati nel periodo di mora, è divenuto equivalente a tale importo sino al soddisfo.

P.R., P.A., P.P. e P.G., D.M. ed F.E. risultano soccombenti tutti nei confronti de L’EDERA Compagnia Italiana di Assicurazione s.p.a. in l.c.a. (in relazione al paventato concorso di colpa del R.D.) e vanno, dunque, condannati in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate come in dispositivo.

Sussistono giusti motivi per compensare interamente le stesse spese tra le altre parti, avuto riguardo alla natura e varietà delle questioni trattate, correlativamente confermando la loro regolazione nel giudizio di merito.

9. Non è scrutinabile in questa sede la correzione del preteso errore materiale, richiesta solo con la memoria ex art. 378 c.p.c. dai P..

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; dichiara inammissibile il ricorso principale proposto da D.M.; accoglie, per quanto di ragione, nei limiti di cui in motivazione il ricorso incidentale proposto da P.R., P.A., P. P. e P.G.; rigetta i ricorsi proposti in via incidentale da F.E. e dall’ASSITALIA – LE ASSICURAZIONI D’ITALIA s.p.a.; cassa in relazione ai motivi accolti la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna D. M., F.E. e l’ASSITALIA – LE ASSICURAZIONI D’ITALIA, in solido tra loro, al pagamento della somma di L. 450.000, pari ad Euro 232,41, oltre interessi legali dalla domanda al saldo in favore di P.R.; condanna l’ASSITALIA al pagamento in favore di P.R., P.A., P.P. e P.G. degli interessi legali da computarsi sul massimale di polizza di L. 100.000.000 (pari ad Euro 51.645,69) a decorrere dalla data in cui il credito dei danneggiati, all’origine inferiore, cumulato agli accessori maturati nel periodo di mora, è divenuto equivalente a tale importo sino al soddisfo; condanna P.R., P.A., P.P. e P.G., D.M. ed F.E. in favore de L’EDERA Compagnia Italiana di Assicurazione s.p.a. in l.c.a. al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 4.200,00 (di cui Euro 200,00 per spese) oltre rimborso spese generali e accessori come per legge; compensa le spese del giudizio di cassazione tra le altre parti e conferma la regolazione delle spese tra le stesse parti nella fase di merito.

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2010

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