Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6951 del 03/03/2022

Cassazione civile sez. trib., 03/03/2022, (ud. 22/02/2021, dep. 03/03/2022), n.6951

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9297-2014 proposto da:

D.P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARCO PAPIO

15, presso lo studio dell’avvocato ANGELO BONITO, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 29/2013 della COMM.TRIB.REG.CAMPANIA,

depositata il 12/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/02/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE D’AURIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La vicenda giudiziaria trae origine dall’avviso di accertamento emesso dalla Agenzia delle entrate con cui, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, individuava una maggiore pretesa fiscale ai fini iva, irpef e irap nei confronti di D.P.A. per l’anno di imposta 2004.

Il contribuente si opponeva a tale atto e la CTP respingeva il ricorso ritenendo inattendibili le scritture contabili, il che giustificava il ricorso agli studi di settore non essendo stati giustificati i versamenti effettuati sul suo conto corrente.

La CTR della Campania, con sentenza n. 29/3/2013, a seguito di appello del contribuente, confermava tale decisione.

Proponeva ricorso in cassazione il contribuente, affidandosi a tre motivi così rubricati:

1) errores in iudicando – violazione e falsa applicazione artt. 112,113,115 e 116 c.p.c. – violazione dell’art. 2697 c.c. – violazione D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 24 e 32: il tutto in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; error in procedendo – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione risultante dalle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. in L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis alle sentenze pubblicate a far data dal 10.9.2012.

2) errores in iudicando – violazione e falsa applicazione artt. 112,113,115 e 116 c.p.c. – violazione dell’art. 2697 c.c. – violazione D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 24 e 32 – falsa applicazione D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4: il tutto in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – error in procedendo – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, nella formulazione risultante dalle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. in L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis alle sentenze pubblicate a far data dal 10.09.2012.

3) errores in iudicando – violazione e falsa applicazione artt. 112,113,115 e 116 c.p.c. – violazione dell’art. 2697 c.c. – violazione D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 ed D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 – falsa applicazione D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1.

Si costituiva l’Agenzia al solo fine di partecipare all’eventuale discussione orale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente assume sia l’esistenza di errore di diritto nella decisione impugnata, per non aver ammesso alcune prove quali i documenti bancari, sia vizio di motivazione, assumendo che fosse stato trascurato un fatto decisivo e cioè la documentazione bancaria prodotta.

Con il secondo motivo si assume, sia sotto il profilo della violazione di legge che del vizio di motivazione, che le dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà costituivano prova indiziaria dei prestiti oggetto di versamento nei conti correnti e non potevano, quindi, essere ritenute inammissibili e prive di valenza probatoria dalla CTR.

I motivi, stante l’intima connessione, vanno esaminati congiuntamente; gli stessi sono inammissibili e comunque infondati.

Essi, infatti, innanzitutto non si confrontano con la motivazione resa dalla CTR, in cui si dà atto dell’esame degli atti acquisiti, ed a conclusione dell’iter argomentativo si ritiene corretto l’accertamento basato anche sui documenti bancari, peraltro prodotti dalla parte nella fase propedeutica all’accertamento. Inoltre la CTR si è anche fatta carico di considerare le prove dedotte dal contribuente, ritenute non in grado di paralizzare le presunzioni di reddito dedotte dall’ufficio in base agli studi di settore e corroborate dai versamenti rilevabili dalla documentazione bancaria.

Da ciò emerge che il ricorrente, attraverso tali motivi, sollecita una revisione del ragionamento svolto in fatto dal giudice di merito, essendo agevole osservare che le censure si risolvono, inammissibilmente, in una critica del risultato raggiunto dal giudice, non potendo il vizio consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova.

Con riguardo, poi, alla efficacia probatoria delle dichiarazioni di terzi, va innanzitutto precisato che, vertendosi in tema di accertamenti bancari, rileva il principio in base al quale “in tema di accertamenti bancari, poiché il contribuente ha l’onere di superare la presunzione posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, il giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all’efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso, rispetto ad ogni singola movimentazione, dandone compiutamente conto in motivazione” (Cass. nn. 10480 del 2018, 13112 del 2020).

Deve essere poi ribadita la possibilità di produrre dichiarazioni di terzi anche da parte del contribuente, in base al consolidato principio secondo il quale “nel giudizio tributario, anche il contribuente, come l’Amministrazione finanziaria, ha la possibilità di introdurre dichiarazioni scritte rese da terzi, aventi valenza indiziaria in proprio favore, in conformità ai principi del giusto processo ex art. 6 CEDU, stante l’irrogazione, nell’ambito dello stesso, di sanzioni assimilabili a quelle penali” (Cass. n. 6616 del 2018).

Tuttavia, proprio perché il valore probatorio delle dichiarazioni non è in alcun modo assimilabile a quello della prova testimoniale “pura”, in quanto verrebbe sostanzialmente vanificata la previsione contenuta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, (v. Cass. n. 29757 del 2018 e n. 8987 del 2013), va in conclusione condiviso il principio secondo il quale le presunzioni derivanti dagli accertamenti bancari determinano l’insorgenza di un preciso ed analitico onere della prova a carico del contribuente che non può essere assolto solo attraverso il ricorso a dichiarazioni di terzi, che non possono assurgere al rango di prove esclusive della provenienza del reddito accertato, potendo concorrere a formare il convincimento del giudice, ma non a giustificarlo in assenza di ulteriori elementi di riscontro che, nel caso di specie, non risulta né dalla sentenza né dal ricorso che siano stati dedotti in giudizio (Cass. n. 6405 del 2021).

Sul punto, pertanto, la censura va rigettata, previa correzione della motivazione.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia il mancato esame del motivo di appello circa la illegittima acquisizione della documentazione bancaria da parte della Agenzia, avendo ritenuto la questione nuova non essendo stata prospettata nel ricorso introduttivo.

Anche tale motivo è infondato.

Nel processo tributario d’appello si ha domanda nuova, come tale inammissibile D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 57 quando il contribuente nell’atto di gravame introduce una causa petendi nuova e fondata su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, sicché risulti inserito nel processo un nuovo tema di indagine (v. Cass. n. 16829 del 2007, n. 22010 del 2006; Cass. n. 14860 del 2015). Nella specie, la CTR, in applicazione dei principi sopra richiamati, a fronte del contenuto del ricorso originario che in alcun modo si doleva della illiceità dell’acquisizione della documentazione bancaria, ha correttamente ritenuto integrare un nuovo tema di indagine la allegazione da parte del contribuente della illegittima acquisizione della documentazione bancaria su cui si basava l’accertamento dell’Amministrazione. In definitiva deve ritenersi inammissibile la deduzione di un nuovo motivo di illegittimità dell’avviso di accertamento nell’atto di appello, in quanto il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni comprese nel ricorso originario avverso l’atto impositivo (D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 18 e 24), le quali costituiscono la causa petendi rispetto all’invocato annullamento dell’atto (Cass. n. 13934/2011) e la cui formulazione soggiace alla preclusione stabilita dal D.Lgs. n. 546 del 1992, citato art. 24 (cfr. Cass. nn. 22662/2014, 9754/2003).

Pertanto anche tale motivo va rigettato.

Non essendosi l’agenzia ritualmente costituitasi, ed in conformità del principio già affermato da questa Corte che ha dichiarato l’inammissibilità di un atto denominato “atto di costituzione”, siccome ritenuto non qualificabile come controricorso, non occorre provvedere sulle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2022

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