Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6949 del 25/03/2011

Cassazione civile sez. I, 25/03/2011, (ud. 23/11/2010, dep. 25/03/2011), n.6949

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.V., domiciliato in Roma, alla Piazza Cavour, presso

la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’avv. MARRA Alfonso Luigi, in virtù di procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso il decreto della Corte di Appello di Napoli n. 3599/08,

depositato il 26 novembre 2008.

l’dita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23

novembre 2010 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GAMBARDELLA Vincenzo, il quale ha concluso per il

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con decreto del 26 novembre 2008, la Corte d’Appello di Napoli ha accolto la domanda di equa riparazione proposta da D. V. nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, verificatasi in un giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, promosso dal D. nei confronti della Gestione Governativa della Circumvesuviana per ottenere il riconoscimento di differenze retributive.

Premesso che il giudizio, iniziato nell’anno 1990, non era stato ancora definito, la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ne ha determinato in tre anni la durata ragionevole, avuto riguardo alla non particolare complessità della controversia, ed ha ritenuto prescritto il diritto all’indennizzo per il ritardo verificatosi anteriormente al decennio precedente la proposizione del ricorso:

tanto premesso, la Corte, in applicazione dei parametri adottati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha liquidato equitativamente il danno non patrimoniale in Euro 8.333,00, corrispondenti ad Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo, ridotti ad Euro 800,00 per l’assenza di qualsiasi attività sollecitatoria da parte del ricorrente, negando invece il riconoscimento di un bonus aggiuntivo, in considerazione della relativa rilevanza del giudizio.

2. – Avverso il predetto decreto il D. propone ricorso per cassazione, articolato in dieci motivi. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo, il quarto ed il quinto motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e dell’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha riconosciuto l’indennizzo soltanto per il periodo di tempo eccedente la ragionevole durata del processo, anzichè per l’intera durata del giudizio presupposto, astenendosi dal disapplicare le norme interne contrastanti con la Convenzione e contravvenendo ai principi enunciati dalla Corte EDU. 1.1. I motivi sono infondati.

Ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), infatti, l’indennizzo per la violazione del termine di ragionevole durata del processo non dev’essere correlato alla durata dell’intero processo, ma al solo segmento temporale eccedente la durata ragionevole della vicenda processuale presupposta, che risulti in punto di fatto ingiustificato o irragionevole. Tale criterio di calcolo appare non solo conforme al principio enunciato dall’art. 111 Cost., il quale prevede che il giusto processo abbia comunque una durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza, ma, come riconosciuto dalla stessa Corte EDU nella sentenza 27 marzo 2003, resa sul ricorso n. 36813/97, non si pone neppure in contrasto con l’art. 6. par. 1, della CEDU in quanto non esclude la complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001 a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione (cfr. Cass., Sez. 1^, 23 novembre 2010, n. 23654; 14 febbraio 2008, n. 3716).

2. – Con il secondo ed il terzo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 6, par. 1, della CEDU, nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha ridotto la misura dell’indennizzo in considerazione della modestia degli interessi in gioco, omettendo di valutare gli stessi alla luce delle condizioni socio-economiche di esso ricorrente.

2.1. – Con il sesto, il settimo e l’ottavo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, dell’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e dei principi enunciati dalla Corte EDU, nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha liquidato il danno non patrimoniale in misura inferiore agli standards europei.

2.2. Le predette censure, da esaminarsi congiuntamente in considerazione della comune attinenza alla liquidazione del danno, sono tutte infondate.

E’ pur vero, infatti, che, come ripetutamente affermato da questa Corte, il giudice nazionale, se da un lato non può ignorare, nella liquidazione del ristoro dovuto per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criteri applicati dalla Corte EDU. dall’altro può apportarvi le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli.

E’ stato tuttavia precisato che, ove non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa comporta, alla stregua della più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che la quantificazione di tale pregiudizio dev’essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1.000,00 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente il periodo indicato comporta un evidente aggravamento del danno (cfr. Cass., Sez. 1^, 30 luglio 2010, n. 17922, 14 ottobre 2009. n. 21840).

Tali parametri sono stati espressamente richiamati dalla Corte d’Appello, la quale ha peraltro ritenuto opportuna una riduzione dell’importo annuo ordinariamente liquidato, non già, come sostiene il ricorrente, in considerazione della modestia degli interessi coinvolti nella controversia, dei quali non vi è alcuna menzione nel decreto impugnato, bensì alla luce dell’omissione da parte di quest’ultimo di qualsiasi attività volta a sollecitare la definizione del giudizio presupposto, desunta dalla mancata presentazione di istanze di prelievo.

La motivazione in esame appare in linea con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, la quale, in riferimento alla disciplina (applicabile ratione temporis) vigente in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito in L. 6 agosto 2008, n. 133, che ha subordinato all’avvenuta presentazione dell’istanza di prelievo la proponibilità della domanda di riparazione del danno derivarne dalla violazione del termine di ragionevole durata di un processo amministrativo, ha chiarito che la mancata proposizione della predetta istanza, pur non comportando il trasferimento a carico del ricorrente della responsabilità per il superamento del termine in questione, può incidere sulla valutazione del pregiudizio lamentato, ove il comportamento della parte appaia sintomatico di uno scarso interesse alla sollecita definizione del giudizio (cfr. Cass., Sez. 1^, 16 novembre 2006, n. 24438, Cass., Sez. Un., 23 dicembre 2005, n. 28507).

Il ricorrente non contesta tale principio, ma lamenta l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione del decreto impugnato, senza però spiegare i motivi per cui ritiene che nel ragionamento seguito dalla Corte d’Appello non sia rintracciabile il criterio logico che l’ha condotta alla formazione del proprio convincimento e che le ragioni poste a fondamento della decisione siano tali da elidersi a vicenda e da non consentire quindi l’individuazione della ratio decidendi. Ciò rende evidente che, sotto l’apparenza della denuncia di un vizio di motivazione, egli mira in realtà a sollecitare una revisione dell’apprezzamento compiuto dal giudice di merito, non consentito in sede di legittimità, non spettando a questa Corte il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto compete la valutazione del danno, nei limiti segnati dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 e dai parametri elaborati dalla Corte EDU. 3. – Sono infine infondati il nono ed il decimo motivo, con cui il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso, rilevando che la Corte d’Appello ha omesso di pronunciare in ordine alla domanda di riconoscimento del bonus di Euro 2.000,00 dovuto in relazione alla natura del giudizio presupposto, avente ad oggetto un credito retributivo, senza fornire alcuna motivazione.

3.1. L’inclusione delle cause di lavoro e di quelle previdenziali nel novero di quelle per le quali la Corte EDU ha ritenuto che la violazione del termine di ragionevole durata possa giustificare il riconoscimento di un importo forfetario aggiuntivo, in ragione della particolare importanza della controversia, non significa infatti che dette cause debbano necessariamente considerarsi particolarmente importanti, con la conseguente automatica liquidazione del predetto maggior indennizzo. Ne consegue da un lato che il giudice di merito può tener conto della particolare incidenza del ritardo sulla situazione delle parti, che la natura giuslavoristica della controversia comporta, nell’ambito della valutazione concernente la liquidazione del danno, senza che ciò comporti uno specifico obbligo di motivazione al riguardo, nel senso che il mancato riconoscimento del maggior indennizzo si traduce nell’implicita esclusione della particolare rilevanza della controversia (cfr. Cass., Sez. 1^, 3 dicembre 2009, n. 25446; 29 luglio 2009, n. 17684); dall’altro che, ove sia stato negato il riconoscimento di tale pregiudizio, la critica della decisione sul punto non può fondarsi sulla mera affermazione che il bonus in questione spetta ratione materiae, era stato richiesto e la decisione negativa non è stata motivata, ma deve avere riguardo alle concrete allegazioni ed alle prove addotte nel giudizio di merito, che nella specie non sono state in alcun modo richiamate, sebbene la Corte d’Appello abbia espressamente escluso la particolare rilevanza dell’oggetto del contendere (cfr. Cass., Sez. 1^, 28 gennaio 2010, n. 1893; 28 ottobre 2009, n. 22869).

4. Il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, tenuto conto della mancata costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 23 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2011

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