Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6949 del 03/03/2022

Cassazione civile sez. trib., 03/03/2022, (ud. 07/12/2021, dep. 03/03/2022), n.6949

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 16927 del ruolo generale dell’anno

2012, proposto da:

Agenzia delle dogane e dei monopoli, in persona del direttore pro

tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello

Stato, presso gli uffici della quale in Roma, alla via dei

Portoghesi, n. 12, si domicilia;

– ricorrente –

contro

Fallimento di s.r.l. (OMISSIS);

– intimato –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Campania, sede staccata di Salerno, depositata in

data 6 dicembre 2011, n. 526/12/11;

udita la relazione sulla causa svolta nella pubblica udienza del 7

dicembre 2021, tenutasi con le modalità previste dal D.L. 28

ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, conv., con mod., con L.

18 dicembre 2020, n. 176, dal consigliere Angelina-Maria Perrino;

lette le considerazioni scritte prima del sostituto procuratore

generale Alberto Cardino e poi del sostituto procuratore generale

Mauro Vitiello, che hanno entrambi concluso per il rigetto del

ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Come emerge dalla narrativa della sentenza impugnata, oggetto del contendere è un avviso di pagamento col quale l’Agenzia delle dogane ha recuperato somme corrispondenti alle accise non versate sul quantitativo, indicato in atti, di litri di prodotti alcolici nei confronti della (OMISSIS).

La società, allora in bonis, aveva impugnato l’avviso facendo leva sulla circostanza che i prodotti erano stati oggetto di furto, regolarmente denunziato, sicché aveva chiesto l’applicazione dell’abbuono d’imposta a norma del D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 4 come novellato dalla L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 59 in virtù del quale i reati compiuti da terzi, per poter consentire l’abbuono, non devono essere attribuibili alla condotta della parte tenuta al pagamento dell’accisa.

La Commissione tributaria provinciale di Avellino aveva rigettato il ricorso, mentre quella regionale della Campania ha accolto l’appello della contribuente. A fondamento della decisione il giudice d’appello ha fatto leva sull’archiviazione del procedimento penale per furto, adottata perché erano rimasti ignoti gli autori del reato, nonché sull’avvenuta adozione, da parte della società, di misure contro i furti, documentati dalla sottoscrizione di un contratto di vigilanza, stipulato da anni precedenti al furto.

Contro questa sentenza propone ricorso l’Agenzia delle dogane per ottenerne la cassazione, che affida a un unico motivo, cui non v’e’ replica. In esito all’udienza pubblica, è stato sollecitato il contraddittorio in ordine all’incidenza, sulla soluzione della questione dedotta in giudizio, di recente giurisprudenza unionale. E’ stata quindi rifissata la pubblica udienza, in prossimità della quale l’Agenzia delle dogane ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con l’unico motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Agenzia delle dogane e dei monopoli lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 4, comma 1, come modificato dalla L. n. 342 del 2000, art. 59 sostenendo che, nel caso di sottrazione ad opera di terzi dell’alcool soggetto ad accisa, non ne sia consentito l’abbuono, perché il prodotto non è distrutto o disperso, ma suscettibile di essere immesso in commercio.

La censura è fondata.

2.- In base all’art. 14 della direttiva n. 92/12, applicabile all’epoca dei fatti, “Il depositarlo autorizzato beneficia di un abbuono d’imposta per le perdite verificatesi durante il regime sospensivo, imputabili a casi fortuiti o di forza maggiore e accertate dalle autorità di ciascuno Stato membro. Egli beneficia, inoltre, in regime sospensivo, di un abbuono d’imposta per le perdite inerenti alla natura dei prodotti avvenute durante il processo di fabbricazione e di lavorazione, il magazzinaggio e il trasporto. Ogni Stato membro fissa le condizioni alle quali tali abbuoni sono concessi”. Dando attuazione alla disposizione, il D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 4 nel testo novellato dalla L. n. 342 del 2000, art. 59 prescrive che “in caso di perdita o distruzione di prodotti che si trovano in regime sospensivo, è concesso l’abbuono dell’imposta quando il soggetto obbligato provi che la perdita o la distruzione dei prodotti è avvenuta per caso fortuito o per forza maggiore. I fatti compiuti da terzi non imputabili al soggetto passivo a titolo di dolo o colpa grave e quelli imputabili allo stesso soggetto passivo a titolo di colpa non grave sono equiparati al caso fortuito ed alla forza maggiore. Qualora, a seguito del verificarsi di reati ad opera di terzi, si instauri procedimento penale, la procedura di riscossione dei diritti di accisa resta sospesa sino a che non sia intervenuto decreto di archiviazione o sentenza irrevocabile ai sensi dell’art. 648 c.p.p.. Ove non risulti il coinvolgimento nei fatti del soggetto passivo e siano individuati gli effettivi responsabili, o i medesimi siano ignoti, è concesso l’abbuono dell’imposta a favore del soggetto passivo e si procede all’eventuale recupero nei confronti dell’effettivo responsabile…”.

2.1.- Nell’interpretare la norma interna alla luce di quella unionale, questa Corte, nella giurisprudenza più recente, ha stabilito che il furto del prodotto ad opera di terzi e senza coinvolgimento nei fatti del soggetto passivo di per sé non esime il soggetto obbligato dal pagamento dell’imposta, che resta abbuonata solo se ne derivino la dispersione o la distruzione del prodotto (Cass. nn. 25990/13; 27825/13; 28377/13; 6398/14; 4453/20); è emerso altresì un orientamento più rigoroso, secondo il quale il furto mai può essere causa di abbuono, perché l’abbuono si riferisce ad alcune fattispecie di ammanchi e non già allo svincolo irregolare dal regime sospensivo, che, appunto, è determinato dal furto (Cass. nn. 16966/16; 26419/17).

Si evidenzia, come argomento comune, che lo svincolo dal regime sospensivo provocato dal furto comporta l’immissione in consumo (D.Lgs. n. 504 del 1995, ex art. 2, comma 2, lett. b)), poiché la sottrazione determina soltanto il venir meno della disponibilità del bene da parte del soggetto per effetto dello spossessamento, ma non ne impedisce l’ingresso nel circuito commerciale. E’ soltanto nel caso della distruzione o della dispersione che l’immissione in consumo resta impedita; sicché in caso d’immissione in consumo derivante dal furto non v’e’ spazio per l’applicazione dell’abbuono.

3.- Si e’, peraltro, affacciato un altro orientamento, in base al quale la novella del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 4 va esaminata in combinazione con l’art. 1, lett. g), del medesimo decreto.

L’art. 1, lett. g), nel definire come regime sospensivo il regime fiscale applicabile alla fabbricazione, alla trasformazione, alla detenzione ed alla circolazione dei prodotti soggetti ad accisa fino al momento dell’esigibilità dell’accisa, o fino a quello del verificarsi di una causa estintiva del debito d’imposta, ancora il momento dell’esigibilità, alternativamente, all’immissione in consumo oppure al verificarsi di una causa estintiva.

3.1.- Le ipotesi contemplate dal D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 4 compreso il furto, si è sostenuto, costituiscono cause di estinzione dell’obbligazione: il termine abbuono dell’imposta è difatti del tutto equivalente all’espressione estinzione dell’obbligazione tributaria, specie considerando la spiccata grossolanità della formulazione normativa. Coerentemente, a norma dell’art. 2, comma 2, lett. a), del testo unico in questione, nei casi di ammanco previsti dall’art. 4 – e alle condizioni da tale norma fissate – non si ha immissione in consumo; il che implica la non esigibilità definitiva dell’imposta e quindi l’estinzione della relativa obbligazione.

Per conseguenza, si è sottolineato, dell’art. 2, il comma 2, contempla casi di assimilazione all’immissione in consumo, che si traducono in fictiones iuris dell’immissione in consumo, utili a rendere esigibili le accise, e casi di estinzione dell’obbligazione nonostante l’immissione in consumo, come avverrebbe, appunto, per l’ipotesi del furto (Cass. nn. 24912 e 24913/13).

3.2.- Sulla falsariga della possibile rilevanza del furto come causa di abbuono si colloca poi l’indirizzo in base al quale il soggetto obbligato, per poter ottenere l’abbuono dell’imposta, in conseguenza di un reato commesso da terzi, non si può limitare, anche nel testo modificato dalla L. n. 342 del 2000, art. 59 a dimostrare che l’evento è stato determinato da un fatto umano ascrivibile a terzi, ma è tenuto a provare di non aver concorso con dolo o di non aver cooperato con colpa al compiersi di esso; ipotesi, quest’ultima, che si verifica quando, senza il comportamento gravemente colposo dell’obbligato, il reato non sarebbe stato commesso o lo sarebbe stato in modo diverso (Cass. nn. 9787/10 e 9279/13).

4.- La lettura del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 4 che ascrive rilevanza al furto, in base alla norma interna, come causa di abbuono, risente della nozione del caso fortuito all’epoca accolta. In particolare, si è evidenziato, chi esercita una qualsiasi attività professionale deve sì adottare le cautele ad essa consone, in quanto conosce o può conoscere i rischi tipici della sua sfera professionale; ma ciò non implica una sua indiscriminata responsabilità per ogni rischio.

4.1.- Si assume quindi un’accezione soggettiva della causa estranea idonea a esimere da responsabilità, intesa come causa non imputabile: causa non imputabile è l’evento di cui il debitore non deve rispondere; fortuito si è ritenuto lo specifico, tipico evento liberatorio estraneo alla sfera di attività delle parti, in relazione al quale la prova liberatoria consisterebbe nella dimostrazione dell’assenza di colpa in capo all’obbligato, ossia nella dimostrazione che il danno si è verificato in modo non prevedibile né superabile con lo sforzo diligente adeguato alle concrete circostanze del caso (Cass. n. 18856/17); la forza maggiore non è stata circoscritta all’impossibilità assoluta, ma si è estesa anch’essa a condotte non ascrivibili, direttamente o indirettamente, al soggetto obbligato, che si sia attivato con l’adozione di tutte le precauzioni del caso (Cass., sez. un., n. 8094/20, con riguardo, in tema di riconoscimento di benefici, al mutamento della maggioranza del consiglio comunale e al rifiuto della nuova amministrazione di dare seguito alla convenzione di lottizzazione stipulata dalla precedente).

4.2.- In questa direzione si colloca anche la prospettiva della Procura generale.

Secondo la ricostruzione offerta dalla Procura, la sottrazione, nella forma del furto o della rapina, non può che rientrare nell’accezione di perdita del prodotto, contemplata in via alternativa nella locuzione del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 4, comma 1, (che si riferisce alla perdita o alla distruzione), la quale non assumerebbe altrimenti alcun senso; e ciò perché si giungerebbe, aderendo all’indirizzo più recente, ad addossare a un soggetto incolpevole, perdipiù vittima dei reati di furto o di rapina, un’obbligazione tributaria disancorata da un presupposto, ossia dall’immissione in consumo, a lui ascrivibile. Soltanto con la direttiva successiva, prosegue la Procura, ossia con la direttiva n. 118/2008/CE del consiglio, alla quale non si può assegnare valenza interpretativa, di modo che la conseguente novella del testo del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 4, comma 1, è inapplicabile all’epoca dei fatti, si è precisato che il caso fortuito o la forza maggiore, per avere forza esimente, devono aver cagionato la distruzione totale o la perdita irrimediabile dei prodotti.

Presupposto della costruzione è quindi l’accezione soggettiva della nozione di caso fortuito e di quella di forza maggiore.

5.- Quest’accezione soggettiva è stata, tuttavia, superata dalla giurisprudenza interna più recente, che ha elaborato una diversa nozione del caso fortuito, in virtù della quale i requisiti d’imprevedibilità e inevitabilità necessari per poterlo configurare devono essere oggetto di accertamento su di un piano puramente oggettivo, attraverso un giudizio probabilistico di regolarità causale, che esclude qualunque rilevanza dell’eventuale comportamento diligente o negligente del soggetto obbligato (tra le ultime, Cass. n. 26524/20).

6.- Ma quel che più conta, ai fini della soluzione della questione, è l’evoluzione della giurisprudenza unionale.

Il legislatore dell’Unione, ha stabilito la Corte di giustizia con riguardo alla direttiva n. 92/12, ha conferito un ruolo centrale al depositario autorizzato, designato come soggetto tenuto al pagamento dei diritti di accisa nel caso in cui un’irregolarità o un’infrazione ne determini l’esigibilità: e si tratta di un regime di responsabilità per tutti i rischi inerenti (Corte giust., causa C81/15, Kapnoviomichania Karelia, punti 31 e 32).

La responsabilità del depositario autorizzato – e, va rilevato, a norma del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 5 la fabbricazione, la lavorazione e la detenzione dei prodotti soggetti ad accisa e in regime sospensivo sono appunto effettuate in regime di deposito fiscale- e’, allora, proprio “di tipo oggettivo e si basa non già sulla colpa dimostrata o presunta del depositarlo, bensì sulla sua partecipazione a un’attività economica…” (Corte giust., causa C95/19, Soc. Silcompa, punto 52).

6.1.- E’, quindi, con specifico riguardo ai casi di distruzione totale o perdita irrimediabile della merce che la giurisprudenza unionale ha definito le nozioni di forza maggiore e di caso fortuito rilevanti nelle materie doganale e delle accise facendo leva sia sull’elemento oggettivo, dato dall’esistenza di circostanze estranee all’operatore, anormali e imprevedibili, sia su quello soggettivo, costituito dall’obbligo dell’interessato di premunirsi contro le conseguenze dell’evento anormale, adottando misure appropriate senza incorrere in sacrifici eccessivi (Corte giust., causa C-154/16, “Latvijas Dzelzcejg” VAS, punto 61).

E, proprio in relazione alle accise (Corte giust., causa C314/06, Societe’ Pipeline Mediterranee et Rheine (SPMR), si è elaborata la nozione di forza maggiore con riferimento non già a un’ipotesi di svincolo irregolare, sibbene a una di perdita di prodotti (in quel caso dovuta a un fenomeno di corrosione screpolante sconosciuto all’epoca dei fatti, che aveva determinato prima le fughe di prodotto e poi l’esplosione dell’oleodotto).

Al cospetto, quindi, dello svincolo irregolare dal regime sospensivo, che determina l’immissione in consumo e, quindi, l’esigibilità dei diritti di accisa, com’e’ avvenuto, appunto, nel caso del furto oggetto dell’odierno giudizio, l’interpretazione conforme al diritto unionale della norma interna comporta che il depositario autorizzato è chiamato a rispondere del relativo pagamento, in base alla suddetta responsabilità oggettiva, che prescinde dalla sua colpa dimostrata o presunta.

7.- Anche in ambito contiguo, d’altronde, con riguardo ai bolli fiscali, riguardati per il loro valore intrinseco, si è stabilito che né la direttiva del Consiglio n. 92/12/CEE, né il principio di proporzionalità ostano a che gli Stati membri adottino una normativa che non preveda la restituzione dell’importo dei diritti di accisa versati, qualora i bolli fiscali siano scomparsi prima di essere stati apposti sui prodotti, se tale scomparsa non è imputabile a una causa di forza maggiore o a un caso fortuito e se non è accertato che i bolli siano stati distrutti o resi definitivamente inutilizzabili, facendo così gravare la responsabilità finanziaria della relativa perdita sull’acquirente (Corte giust., causa C-494/04, Heintz van Landewijck SARL).

7.1.- E questa Corte ha specificato che, in caso di sottrazione dei contrassegni fiscali prima della loro apposizione sui prodotti soggetti a tassazione, l’inesigibilità dell’imposta, derivante dalla mancanza d’immissione in consumo dei beni, ancora commercializzabili, esige la prova non soltanto della sottrazione dei contrassegni fiscali prima della loro apposizione sui prodotti soggetti a tassazione, ma anche quella dell’avvenuta distruzione dei contrassegni oppure della definitiva inutilizzabilità e, quindi, dell’impossibilità dell’utilizzo di essi (Cass. nn. 420/20 e 15975/21).

8.- Si è venuto quindi affinando un quadro sistematico coerente, al centro del quale campeggia la responsabilità del debitore dell’accisa nel caso d’immissione in consumo dei beni soggetti all’imposta.

8.1.- Così, anche con riguardo alla detenzione dei prodotti sottoposti ad accisa fuori da un regime di sospensione dall’accisa, si è stabilito (in relazione all’art. 33 della direttiva n. 2008/118/CE) che una persona che trasporta, per conto di terzi, prodotti sottoposti ad accisa in un altro Stato membro e che è in possesso materiale di tali prodotti nel momento in cui le relative accise sono divenute esigibili, è debitrice di tali accise, anche se non ha alcun diritto o interesse su detti prodotti e non è a conoscenza del fatto che questi ultimi siano sottoposti ad accisa o, essendolo, non è consapevole che le relative accise siano divenute esigibili (Corte giust., causa C-279/19, WR).

9.- Rileva da ultimo in chiave diacronica, per quanto inapplicabile all’epoca dei fatti, la direttiva n. 2020/262, la quale, premesso, col considerando 7, che “Poiché l’accisa è un’imposta gravante sul consumo di prodotti, essa non dovrebbe essere riscossa relativamente a prodotti sottoposti ad accisa che, in talune circostanze, siano stati totalmente distrutti o siano irrimediabilmente perduti”, ha stabilito (art. 6, par. 5) che “5. La distruzione totale o la perdita irrimediabile, totale o parziale, dei prodotti sottoposti ad accisa in regime di sospensione dall’accisa per un caso fortuito o per causa di forza maggiore, o in seguito all’autorizzazione delle autorità competenti dello Stato membro di distruggere i prodotti, non è considerata immissione in consumo” e ha definitivamente chiarito (par. 6) che “6. Ai fini della presente direttiva, si considera che i prodotti hanno subito una distruzione totale o una perdita irrimediabile quando sono inutilizzabili come prodotti sottoposti ad accisa”.

9.1.- E il legislatore nazionale, nell’attuare la direttiva (con il D.Lgs. 5 novembre 2021, n. 180, art. 1), ha esplicitato che l’abbuono previsto dal D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 4 è correlato alla perdita o la distruzione dei prodotti avvenuta per caso fortuito o per forza maggiore (sia pure estendendone la nozione).

10.- Qualche profilo di dubbio è sorto in relazione all’ipotesi della frode del terzo, al quale il debitore dei diritti di accisa sia estraneo, che ha indotto la Corte suprema di altro Paese membro a proporre una questione attualmente pendente dinanzi alla Corte di giustizia (nella causa C-711/20; rilevano in tema, nella giurisprudenza interna, Cass. nn. 15635/19 e 34487/19). Ma si tratta di profili estranei al caso oggetto dell’odierno giudizio.

10.1.- Per il resto, è a responsabilità diverse da quella concernente il pagamento dei diritti di accisa, che il depositario autorizzato si può sottrarre provando di aver adottato tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione non lo conduca a essere partecipe di un’evasione fiscale. E’ difatti in un caso estraneo e ulteriore all’ipotesi di responsabilità per il pagamento dei diritti di accisa, e, in particolare, a proposito di somme corrispondenti a sanzioni pecuniarie scaturenti da attività di contrabbando, che la giurisprudenza unionale (Corte giust. in causa C-81/15, cit.) ha considerato sproporzionata una tale responsabilità aggravata del depositario autorizzato, proprio perché di natura oggettiva.

11.- L’interpretazione della norma interna in chiave unionale che esclude la rilevanza del furto come causa d’inesigibilità dell’imposta si rivela coerente altresì col principio di uguaglianza stabilito dall’art. 3 Cost., e con quello di capacità contributiva fissato dall’art. 53 Cost..

La Corte costituzionale, difatti, sia pure con riguardo al t.u. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 37, interpretato autenticamente dal D.L. 31 ottobre 1980, n. 693, art. 23 ter conv. con L. 22 dicembre 1980, n. 891, ha già escluso la violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui si prevedeva l’esclusione dell’obbligazione tributaria nel solo caso di perdita della merce, da intendere come dispersione e non come sottrazione della disponibilità della cosa; e ha sottolineato che la capacità contributiva consiste nell’idoneità ad eseguire la prestazione coattivamente imposta, correlata non già alla concreta capacità del singolo contribuente, bensì al presupposto economico al quale l’obbligazione è collegata. Sicché quando tale presupposto sussista e sia, come nella specie, non irragionevolmente definito dal legislatore, l’imposizione della prestazione tributaria è certamente legittima, e gli accadimenti successivi non sono idonei, salvo diversa disposizione di legge, a escluderne la sussistenza.

Irrilevante e’, quindi, che in concreto il contribuente consegua o no l’utilità sperata, poiché il rapporto tributario resta inalterato.

12.- Il ricorso va in conseguenza accolto e, non sussistendo necessità di ulteriori accertamenti di fatto, il giudizio va deciso nel merito, col rigetto del ricorso originariamente proposto.

12.1.- La sussistenza di diversi indirizzi e la recente evoluzione della giurisprudenza unionale comportano, tuttavia, la compensazione di tutte le voci di spesa dell’intero processo.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario.

Compensa tutte le voci di spesa dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2022

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