Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6947 del 25/03/2011

Cassazione civile sez. I, 25/03/2011, (ud. 23/11/2010, dep. 25/03/2011), n.6947

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.V., domiciliato in Roma, alla Piazza Cavour, presso

la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’avv. MARRA Alfonso Luigi in virtù di procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, domiciliato per legge in Roma, alla Via

dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, dalla

quale è rappresentato e difeso;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte di Appello di Roma depositato il 20

dicembre 2006.

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 23

novembre 2010 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GAMBARDELLA Vincenzo, il quale ha concluso per

l’accoglimento del ricorso, limitatamente alla pronuncia sulle spese

processuali.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con decreto del 20 dicembre 2006, la Corte d’Appello di Roma ha rigettato la domanda di equa riparazione proposta da C. V. nei confronti del Ministero della Giustizia per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, verificatasi in un giudizio avente ad oggetto il pagamento degli interessi e della rivalutazione monetaria dovuti dall’INPS per il ritardo nella corresponsione del trattamento speciale di disoccupazione e dell’indennità di mobilità.

Premesso che il giudizio, promosso dinanzi al Pretore di Napoli nell’anno 1999, era stato definito in primo grado con sentenza dell’11 ottobre 2000 ed in appello con sentenza emessa dal Tribunale di Napoli il 19 marzo 2004, avverso la quale era pendente ricorso per cassazione, la Corte ha ritenuto più che adeguati i tempi del suo svolgimento, determinando in due anni e sei mesi la durata ragionevole per il giudizio di primo grado, due anni per quello di appello e due anni per quello di cassazione, e detraendo dalla durata del giudizio di appello il tempo trascorso prima della proposizione del gravame.

2. – Avverso il predetto decreto il C. propone ricorso per cassazione. articolato in sci motivi. Il Ministero resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con i primi due motivi d’impugnazione, il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo, osservando che la Corte d’Appello, oltre ad essersi pronunciata in ordine alla ragionevole durata dei tre gradi di giudizio, laddove la domanda riguardava esclusivamente il giudizio di appello, si è discostata dai criteri elaborati dalla giurisprudenza in riferimento alle controversie previdenziali, la cui durata ragionevole è stata determinata in un anno e mezzo, avuto riguardo alla maggiore celerità imposta dall’esigenza di tutela dei soggetti più deboli.

1.1. – I motivi sono infondati.

Con riferimento all’ipotesi in cui il giudizio presupposto si sia articolato in più fasi o gradi, questa Corte ha infatti affermato che non rientra nella disponibilità della parte riferire la domanda di equa riparazione ad uno solo di essi, optando per quello la cui durata si sia asseritamente protratta oltre il limite della ragionevolezza, in quanto, pur essendo possibile individuare standards di durata media ragionevole per ogni fase del processo, agli effetti dell’apprezzamento in ordine alla violazione dell’art. 6. par. 1, della CEDU occorre avere riguardo all’intero svolgimento del giudizio, dall’introduzione fino al momento della proposizione della domanda di equa riparazione, dovendosi cioè addivenire ad una valutazione sintetica e complessiva dell’unico processo da considerare nella sua complessiva articolazione (cfr. Cass., Sez. 1^, 11 settembre 2008, n. 23506).

Non può pertanto ritenersi che sia incorsa in ultrapetizione la Corte d’Appello laddove, nonostante l’espresso riferimento del ricorrente all’eccessiva durata del giudizio di appello, ha preso in considerazione, ai fini della valutazione in ordine all’avvenuto superamento del termine ragionevole, anche la durata di quello di primo grado e di quello di legittimità, fino alla data di proposizione della domanda di equa riparazione.

Nella predetta valutazione, la Corte d’Appello si è attenuta ai criteri cronologici elaborati dalla Corte EDU, alle cui sentenze, riguardanti l’interpretazione dell’art. 6, par. 1, della CEDU, deve peraltro riconoscersi, secondo l’orientamento ormai consolidato di questa Corte, soltanto il valore di precedente, non rinvenendosi nel quadro delle fonti dell’ordinamento interno meccanismi normativi che ne comportino la diretta vincolatività per il giudice italiano (cfr., Cass., Sez. 1^, 19 novembre 2009, n. 24399; 11 luglio 2006, n. 15750). La natura previdenziale della causa non è d’altronde sufficiente a giustificare l’applicazione di un termine ridotto di durata, in quanto la disciplina del processo del lavoro, applicabile a tali controversie, non comporta forme di organizzazione diverse, tali da differenziarne il corso in relazione all’oggetto del giudizio, e non impone quindi di fare riferimento a parametri diversi dagli standards comuni elaborati dalla Corte EDU e recepiti dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 (cfr. Cass., Sez. 1^, 30 ottobre 2009, n. 23047; 24 settembre 2009, n. 20546).

2. – Sono invece inammissibili, in quanto attinenti a questioni rimaste assorbite dal rigetto della domanda, gli ulteriori motivi, con cui il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, dell’art. 6, par. 1, della CEDU e dei principi enunciati dalla Corte EDU, nonchè dell’art. 112 cod. proc. civ., sostenendo che nella liquidazione dell’indennizzo la Corte d’Appello avrebbe dovuto tener conto dell’intera durata del giudizio presupposto ed attenersi agli standards europei, nonchè riconoscere bonus di Euro 2.000,00 dovuto in relazione alla natura della controversia, avente ad oggetto un credito previdenziale.

3. – Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna C.V. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in Euro 900,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 23 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2011

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