Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6945 del 25/03/2011

Cassazione civile sez. trib., 25/03/2011, (ud. 24/02/2011, dep. 25/03/2011), n.6945

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 33631/2006 proposto da:

R.G., in qualità di titolare dell’omonima ditta

individuale, elettivamente domiciliato in ROMA VIA COSTANTINO MORIN

45, presso lo studio dell’avvocato CARICATERRA NICOLA, rappresentato

e difeso dall’avvocato FIORE FULVIO, giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 94/2005 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 13/12/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

24/02/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La G.d.F. di Bergamo sottopose a verifica fiscale la società Motta costruzioni s.r.l. (poi Giemmepi s.r.l.), constatando pagamenti in nero, per gli anni dal 1994 al 1997, mediante assegni bancari infine incassati dall’imprenditore individuale R.G.. Di conseguenza l’agenzia delle entrate notificò a R. avvisi di accertamento e rettifica ai fini delle imposte sul reddito e dell’Iva per gli anni 1994, 1995 e 1996.

Contro gli avvisi R. propose ricorso, che la commissione tributaria provinciale di Milano accolse con la sentenza n. 239/13/2002.

Su gravame dell’agenzia delle entrate, la commissione tributaria regionale della Lombardia riformò la decisione.

Considerò che a R. era stata contestata la mancata emissione di fatture per prestazioni eseguite nei confronti della società Motta costruzioni; che la contestazione era stata supportata dall’esito delle indagine bancarie eseguite dalla G.d.F. a carico della cessionaria, essendosi rilevati pagamenti eseguiti mediante assegni di conto corrente in favore di R., o da questi comunque incassati; che la spiegazione al riguardo fornita – di essersi R. limitato a incassare assegni al solo fine di monetizzarli per conto della società – non potevasi ritenere credibile nè sorretta da prove; che dunque era da concludere, per quanto di interesse, che R. incassasse il prezzo pattuito in nero con la società committente.

Per la cassazione di questa sentenza, resa pubblica il 13.12.2005, R.G. interpone ricorso sorretto da due motivi, cui l’agenzia delle entrate replica a mezzo di controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con i due mezzi, il ricorrente deduce nullità della sentenza, per violazione dell’art. 112 c.p.c., e vizio di motivazione.

2. – La prima censura è inammissibile per genericità, posto che si risolve in una sommaria esposizione di orientamenti giurisprudenziali a proposito della regola generale enunciata nell’art. 112 c.p.c., seguita dalla mera affermazione di esistenza della violazione senza alcun riferimento a dati concreti. Sicchè il motivo non consente di comprendere l’oggetto della denunciata omissione di pronuncia.

3. – La seconda censura muove dal rilievo che il verbale di constatazione della G.d.F., da cui gli accertamenti dipesero, contiene la conclusione che le false fatture annotate dalla società servivano unicamente a creare uscite di cassa necessarie per retribuire lavoratori in nero, e che siffatta fuoriuscita di denaro avveniva mediante l’intestazione di assegni a terzi (tra cui il ricorrente), i quali provvedevano a girarli e/o monetizzarli.

Codesta relazione funzionale degli assegni e delle fatture costituisce il perno attorno al quale ruota l’intera complessiva doglianza. Ma va osservato che in nessun modo essa appare distinguibile alla luce degli excerpta del verbale di constatazione trascritti nel corpo del ricorso.

Donde l’agevole conclusione che il motivo non supera il livello di autosufficienza che solo consentirebbe di apprezzarne le proposizioni, con conseguente sua inammissibilità.

4. – Può aggiungersi che l’impugnante ulteriormente addebita alla commissione regionale di essere caduta in contraddizione, posto che – sostiene – gli assegni in questione non possono ritenersi costituire, nel medesimo tempo, il corrispettivo di fatture per operazioni inesistenti, emesse da imprese terze, e il corrispettivo di presunti lavori eseguiti dalla ditta R..

Ma va osservato che la contraddizione non si apprezza, dal momento che la simultanea funzione degli assegni de quibus, di corrispettivo di fatture di imprese terze e di corrispettivo di opere eseguite da R., non emerge come precipitato oggettivo dei titoli contestati;

nè appare desumibile dai suddetti excerpta del verbale di constatazione, i quali si riferiscono alla (ben diversa) finalizzazione illecita delle fatture emesse dalle citate imprese all’indirizzo della società Motta costruzioni, al concorrente scopo di consentire a questa di procurarsi altresì documenti di spesa fittizi.

Devesi dunque concludere che, in verità, il motivo non rivela alcun fatto decisivo cui parametrare un’eventuale deficienza motivazionale della decisione di merito, sotto il profilo della omissione, insufficienza o contraddittorietà su fatti controversi. E che alla sintesi valutativa della sentenza (secondo cui gli assegni ebbero la funzione di pagamento di prestazioni eseguite in nero) semplicemente contrappone una tesi contraria (di semplice funzione di procacciamento di contante degli assegni stessi nell’interesse del solo emittente) sulla premessa di una sua maggiore attendibilità. Il che ovviamente non è ammissibile in quanto non può la censura essere diretta a sollecitare una revisione dell’iter del ragionamento posto a base della determinata soluzione del giudice di merito.

5. – Il ricorso è respinto e le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 24 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2011

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