Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6941 del 11/03/2021

Cassazione civile sez. III, 11/03/2021, (ud. 24/09/2020, dep. 11/03/2021), n.6941

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35618/2018 proposto da:

C.D., C.V., e CI.VA., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA ANTONIO CHINOTTO 1, presso lo studio

dell’Avv. STEFANO CARNEVALE, che li rappresenta e difende unitamente

all’Avv. CLAUDIA ESPOSITO;

– ricorrenti –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GOLAMETTO 2, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO ROMAGNOLI, che

la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

R.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA PORTO DI

RIPETTA 1, presso lo studio dell’avvocato LUCA PUCCETTI, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

nonchè da:

CH.AN., e C.C., elettivamente domiciliati in ROMA, V.LE

DEI PARIOLI, 76, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO DEL VECCHIO,

rappresentati e difesi dall’avvocato FRANCESCO DEL VECCHIO;

– ricorrenti incidentali –

contro

R.A. e UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 330/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 22/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/09/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.D., V. e Va., ricorrono, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 330/18, del 22 gennaio 2018, della Corte di Appello di Napoli, che – accogliendo il gravame esperito, in via di principalità, dalla Unipolsai Assicurazioni S.p.a. (già Milano Assicurazioni S.p.a., d’ora in poi “Uniplosai”), nonchè, in via incidentale, da R.A., avverso la sentenza n. 8866/13, del 9 luglio 2013, del Tribunale di Napoli – così provvedeva.

Il giudice di appello, innanzitutto, riconosceva la concorrente responsabilità di C.D., nella misura del 50%, nella causazione del sinistro stradale occorsogli, in (OMISSIS), per effetto della collisione tra il suo motociclo e la vettura di proprietà della R., assicurato per la “RCA” con la Milano Assicurazioni S.p.a., rideterminando, inoltre, la somma dovuta a titolo di risarcimento danni al medesimo C. ed ai sui familiari (il padre C.V. e la madre Ch.An., nonchè i germani C.C. e Va.) non solo in ragione del riconosciuto concorso di responsabilità, ma anche di una diversa quantificazione del pregiudizio da risarcire a ciascuno di essi.

2. Riferiscono, in punto di fatto, gli odierni ricorrenti che C.D. ed i sui stretti congiunti, sopra meglio identificati, adivano il Tribunale di Napoli per conseguire il ristoro dei danni subiti in conseguenza del sinistro stradale verificatosi nelle suddette circostanze di tempo e luogo. In particolare, gli allora attori ascrivevano l’esclusiva responsabilità dell’incidente alla condotta di guida di E.L., marito di R.A.. Costui, infatti, nell’effettuare, alla guida della vettura di proprietà della moglie, una inversione di marcia, per giunta in due tempi, in quel tratto di strada invece vietata, ometteva di dare precedenza ai veicoli che procedevano in senso opposto, urtando, inoltre, violentemente, nell’azionare la retromarcia per completare la suddetta manovra, il motociclo di proprietà e condotto da C.D.. Riportate da quest’ultimo gravi lesioni personali, il medesimo e i suoi stretti congiunti (lamentando costoro, in particolare, danno da lesione del rapporto parentale) conseguivano dall’adito giudicante la condanna, in solido, della R. e della Milano Assicurazioni a liquidare i seguenti importi: Euro 1.338.370,68 a C.D., Euro 68.838,81 in favore di ciascuno dei suoi genitori, ed Euro 34.419,40 in favore di ognuno dei due germani dell’infortunato.

Esperito gravame, in via di principalità, dalla società assicuratrice, nonchè in via incidentale dalla R., il secondo giudice non solo riconosceva la concorrente, paritaria, responsabilità di C.D. nella causazione del sinistro, ma rideterminava – non solo per tale ragione, ma pure in accoglimento di uno specifico motivo di appello sul “quantum debeatur” – la somma dovuta agli attori. In particolare, esso quantificava il credito risarcitorio di C.D. in Euro 992.670,60, nonchè, in via puramente equitativa, quello di ciascun genitore e di ognuno dei germani, rispettivamente, in Euro 15.000,00 per gli uni ed Euro 5.000,00 per gli altri.

3. Avverso la pronuncia della Corte partenopea ricorrono per cassazione i predetti C.D., V. e Va., sulla base come detto – di tre motivi.

3.1. Con il primo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5) – si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2054 c.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo.

Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui – sul presupposto che, in caso di scontro tra veicoli, la responsabilità di un conducente (nella specie, l’ E., per aver eseguito la non consentita inversione di marcia, omettendo, per giunta, di dare precedenza al C.) non comporta automaticamente il superamento della presunzione di pari responsabilità dell’altro conducente, occorrendo prova che costui si sia uniformato alle norme della circolazione e a quelle di comune prudenza – ha escluso che, nel caso in esame, tale prova fosse stata raggiunta. A tale esito la Corte territoriale perveniva, innanzitutto, sul rilievo che, dalle deposizioni testimoniali, sarebbe emerso che fu il motociclo del C. a colpire, con la sua parte anteriore, la fiancata sinistra dell’auto della R., e non viceversa, sicchè, tenuto conto della posizione della vettura al centro della careggiata in posizione trasversale, come risultante dalla planimetria in atti (affermazione, anche questa, censurata, come si dirà, dai ricorrenti), il C. avrebbe avuto “spazio sufficiente, sulla destra della sua direzione di marcia, per passare dietro l’auto senza urtarla”. Inoltre, sempre secondo il giudice di appello apprezzamento, nuovamente, stigmatizzato dai ricorrenti – “la violenza dell’urto (che fu notevole, come desumibile dalla gravità delle conseguenze dannose ai mezzi e alla persona del C.) è da ascrivere esclusivamente alla velocità della moto”, rilevando in tale prospettiva pure la circostanza costituita dalla “assenza di tracce di frenata della moto, indicativa del fatto che il suo conducente non tentò alcuna manovra per evitare o attenuare l’impatto”.

Orbene, secondo i ricorrenti, la pronuncia in oggetto sarebbe “stata emessa in violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e, conseguentemente, dell’art. 2054 c.c.”, nonchè, in ogni caso, “con un procedimento deduttivo manifestamente implausibile nel percorso che lega la verosimiglianza delle premesse alla probabilità delle conseguenze” (è citata Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 644818-01). Difatti, il giudice di appello “avrebbe dovuto dar conto, in termini chiari e congrui, dell’efficacia attribuita a ciascun mezzo di prova disponibile”, nonchè, soprattutto, della scelta “operata tra i diversi dati probatori”, specie se si considera che la stessa sentenza afferma che “i testi non hanno riferito niente circa la condotta di guida del motociclista” e che non risulta neppure “nota la velocità della moto”.

Segnatamente, i ricorrenti lamentano che il giudice di appello abbia ritenuto “sussistente il concorso di colpa del C., per il solo ipotizzato e non provato fatto che lo stesso avrebbe condotto il motociclo a velocità sostenuta, e deducendo, in maniera assolutamente apodittica, che lo stesso C. non avrebbe fatto tutto il possibile per evitare l’impatto”, mentre le deposizioni dei testi escussi e il rapporto redatto dalla polizia municipale nell’immediatezza del sinistro non offrono riscontro a tali ipotesi.

Le risultanze probatorie, per l’esattezza, attesterebbero solo la violenza dell’impatto, e dunque la velocità del motociclo in quel momento, e non certo la velocità di marcia, tanto che dal verbale redatto dalla polizia municipale accorsa sul luogo dell’incidente risulta che il C. non fu contravvenzionato per eccesso di velocità; eccesso, del resto, non confermato dai testi escussi. D’altra parte, anche la dinamica dell’evento sarebbe chiara, attestando tale documento che la manovra dell’ E. fu “così repentina da impedire di fatto al malcapitato C. di porre in essere qualsiasi manovra di salvataggio”, come confermato anche dalla “assenza di tracce di frenata”. Nè, d’altra parte, la velocità del motociclista potrebbe spiegarsi con l’entità dei danni ai veicoli, da attribuirsi piuttosto al peso del motociclo.

In definitiva, la conclusione della Corte di Appello sarebbe unicamente fondata sulle misurazioni effettuate dalla polizia municipale (da cui ha desunto la posizione dei veicoli al momento della collisione), avendo essa, però, dato rilievo soltanto al “suggestivo e purtroppo errato schizzo planimetrico”, giacchè “non coerente con le misurazioni annotate” dagli stessi pubblici ufficiali, facenti, invece, fede fino a querela di falso, misurazioni sulla base delle quali la difesa dei ricorrenti ha predisposto un “elaborato grafico” allegato al ricorso e costituente, dunque, “parte integrante” dello stesso. Orbene, la diversa posizione che presenta – in tale documento – la vettura della R. evidenzierebbe l’errore del giudice di appello, allorchè ha ritenuto che il C. avesse spazio sufficiente, sulla propria destra, “per passare dietro l’auto senza urtarla”, donde l’evidente “travisamento dei fatti” nonchè la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per non aver dato “prevalenza alla prova legale” (misurazioni) rispetto alla prova libera (schizzo planimetrico)”.

3.2. Con il secondo motivo – proposto chiaramente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), sebbene tale norma non sia espressamente richiamata – si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2054 c.c., comma 2.

Si censura la sentenza per avere “ritenuto non superata la presunzione di corresponsabilità dei conducenti ex art. 2054 c.c., comma 2, ed accettando, dunque, il concorso di colpa nella misura del 50%”.

Deducono, sul punto, i ricorrenti che la presunzione di cui alla norma suddetta “ha funzione meramente sussidiaria, operando esclusivamente nel caso in cui le risultanze probatorie non consentano di accertare in modo concreto in quale misura la condotta dei due conducenti abbia cagionato l’evento dannoso” (è citata, tra altre, Cass. Sez. 3, sent. 19 febbraio 2009, n. 4055), sicchè la norma si deve “applicare soltanto nel caso in cui sia impossibile accertare in concreto il grado di colpa di ciascuno dei conducenti coinvolti nel sinistro” (è citata Cass. Sez. 3, ord. 15 febbraio 2018, n. 3696), mentrepe, al contrario, “è possibile individuare il diverso grado di colpa dei conducenti coinvolti nell’evento dannoso, il giudice di merito è tenuto a procedere alla graduazione della colpa dei soggetti coinvolti” (è citata Cass. Sez. 3, sent. 15 gennaio 2003, n. 477).

Evidente, dunque, sarebbe, nel caso che qui occupa, la falsa applicazione dell’art. 2054 c.c., comma 2, visto che la Corte territoriale ha ritenuto di dover ricorrere al criterio della presunzione di corresponsabilità “sul solo presupposto della mancanza di prova della assenza di responsabilità del C.”. A tale esito, inoltre, la sentenza impugnata – lo si ribadisce – è pervenuta essenzialmente sulla base “del suggestivo e purtroppo errato schizzo planimetrico” allegato al rapporto di polizia municipale, non “coerente con le misurazioni ivi annotate”, disattendendo anche le dichiarazioni, raccolte nel medesimo rapporto e rese nell’immediatezza del sinistro, del conducente della vettura incidentata, ovvero l’ E..

Da quanto precede, dunque, emergerebbe che il giudice di appello era in possesso di tutti gli elementi per ascrivere la responsabilità del sinistro alla condotta del solo E. (e, per esso, alla proprietaria del veicolo, ovvero la R.) o, almeno, “per distribuire la responsabilità in maniera più aderente possibile al caso concreto”, riconoscendo, dunque, la responsabilità del primo “nella misura del 95%”, visto che persino l’assicuratore per la “RCA”, nel proporre gravame, aveva ipotizzato una responsabilità del primo nella misura del 70%”.

3.3. Con il terzo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), anche in questo caso, peraltro, non specificamente richiamato – si denuncia, in relazione “al “quantum” liquidato” in favore di C.D. e degli altri ricorrenti, violazione dell’art. 2050 c.c. e degli artt. 2 e 3 Cost..

Si censura la sentenza impugnata, in primo luogo, nella parte in cui ha ridotto l’importo del risarcimento dovuto al C. a titolo di danno non patrimoniale. Difatti, il primo giudice – riconosciuto un postumo di invalidità permanente del 75% e liquidata, sulla base delle cd. “tabelle milanesi” e in considerazione dell’età di (OMISSIS) anni del danneggiato, la somma di Euro 717,071,00 – aveva operato un primo aumento del 20% per la cd. “personalizzazione”. E ciò in ragione dei patimenti subiti per la lunghissima degenza anche lontano da casa, le sofferenze fisiche, lo svilimento delle funzioni fisiologiche essenziali, il perdurare della terapia e la necessità di assistenza e sostegno psichico e fisico anche all’attualità. Sulla somma così determinata il Tribunale aveva, poi, effettuato un ulteriore incremento del 40% per quantificare il danno morale, individuato nella sofferenza, nella prostrazione psichica e nella maturata consapevolezza della pressochè inevitabile condizione di invalido. Orbene, ritenendo tali pregiudizi non “sostanzialmente diversi da quelli che hanno giustificato il primo aumento del 20%”, la Corte territoriale ha escluso tale ulteriore incremento del 40%.

L’altra doglianza investe, invece, la decisione del giudice di appello di liquidare, in via puramente equitativa, il danno da lesione del rapporto parentale, subito dal genitore del C. e dalla sorella. Difatti, mentre il primo giudice lo aveva determinato in una misura percentuale rispetto alla somma liquidata a C.D. a titolo di danno morale (misura, rispettivamente, pari al 20%, per ciascuno dei genitori, e al 10%, per ognuno dei germani), la Corte partenopea, in applicazione del principio che esclude, sul punto, ogni automatismo, riconosceva a titolo equitativo “puro”, ai primi, la somma di Euro 15.000,00 ciascuno e ai secondi quella, sempre cadauno, di Euro 5.000,00.

Contro tale duplice decisione i ricorrenti propongono il presente motivo, con cui lamentano che la sentenza impugnata – ad onta della circostanza che “gli esiti del tragico evento hanno causato un danno così elevato da non poter essere economicamente quantificato” – ha liquidato lo stesso senza attribuire rilievo alla “smisurata sofferenza del Sig. C. e della sua famiglia”, sicchè il pregiudizio conseguente alla lesione del rapporto parentale avrebbe dovuto “essere calcolato tenendo conto della peculiarità degli eventi, così come fatto dal giudice di primo grado”,

Richiamati, dunque, i principi della “tutela minima risarcitoria spettante ai diritti inviolabili” (ivi compresi quelli della famiglia), e sul presupposto che gli eventi di causa abbiano determinato, per C.D. e i sui stretti congiunti, “il totale sconvolgimento della vita familiare”, i ricorrenti si dolgono del fatto che la sentenza impugnata avrebbe disatteso il principio per cui il danno non patrimoniale va liquidato tenendo in “debito conto tutte le circostanze del caso concreto”, ed in particolare quelle “della gravità del fatto, delle condizioni soggettive della persona, dell’entità della relativa sofferenza e del turbamento del suo stato d’animo”.

Fermo restando, infatti, il principio dell’unitarietà del danno non patrimoniale (e il suo corollario costituito dal divieto di duplicazione delle singole voci risarcitorie), i ricorrenti evidenziano come le duplicazioni siano da escludere in presenza di illeciti – come quello presente – “plurioffensivi”.

4. Hanno proposto ricorso incidentale anche Ch.An. e C.C., sulla base di quattro motivi.

4.1. Con il primo motivo è denunciata – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – nullità del procedimento per violazione e falsa applicazione degli artt. 345 e 112 c.p.c., ovvero “errore in procedendo e extra petita partium”.

In particolare, la violazione dell’art. 345 c.p.c., è dedotta in relazione all’eccezione – formulata della compagnia assicuratrice con il secondo motivo di gravame – relativa al concorso di responsabilità del C., nella misura del 30%, nella causazione del sinistro, atteso che la stessa avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile, in quanto proposta per la prima volta in appello.

Difatti, se è vero che il concorso di colpa può essere rilevato d’ufficio dal giudice nella sua attività di ricostruzione del fatto, ciò può avvenire – secondo i ricorrenti incidentali – a condizione che “la colpa del danneggiato sia ricavabile dagli elementi di fatto e non costituisca eccezione in senso stretto”.

Nella specie, avendo l’appellante fatto riferimento all’ipotesi del “concorso di colpa effettivo” (di cui dell’art. 2054 c.c., comma 1), in presenza di una “eccezione in senso stretto”, non proposta in primo grado, la Corte territoriale avrebbe dovuto rilevarne l’inammissibilità, per violazione del divieto di “nova” in appello. Difatti, quand’anche si ritenesse che “l’accertamento della corresponsabilità del danneggiato costituisse motivazione implicita dell’impugnata sentenza” di primo grado, “in ogni caso, non avendo l’accertamento della corresponsabilità del danneggiato costituito oggetto del giudizio di primo grado, il giudice del gravame, in presenza di una domanda nuova, avrebbe dovuto rilevare la violazione dell’art. 345 c.p.c.” (è citata Cass. Sez. 3, ord. 29 settembre 2017, n. 22811).

Quanto alla violazione dell’art. 112 c.p.c., essa è ipotizzata in relazione alla riconosciuta operatività, da parte della Corte di Appello, dell’ipotesi “del pari concorso di colpa di ciascun conducente, disciplinata dell’art. 2054 c.c., comma 2”, giacchè essa “deve essere esplicitamente invocata dalle parti in causa”.

4.2. Il secondo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – denuncia “errore in procedendo per violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c.”.

Sì censura la sentenza impugnata per non aver dichiarato inammissibile il gravame incidentale della R., essendo esso privo dei requisiti della specificità, non avendo le censure con lo stesso formulate individuato – tanto in punto ricostruzione dei fatti, quanto in punto di diritto – gli argomenti da contrapporre a quelli contenuti nella pronuncia del primo giudice.

4.3. Con il terzo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5) – è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2054 c.c., comma 2, oltre che dell’art. 111 Cost., nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., per contrasto con i “principi in tema di allegazione e valutazione della prova e per travisamento delle risultanze e dei documenti processuali”, censurandosi, infine, la sentenza impugnata pure “per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio”.

Il motivo contesta l’affermata eguale responsabilità dei due conducenti nella causazione del sinistro, sulla scorta di argomenti pressochè identici a quelli oggetto del primo e del secondo motivo del ricorso principale.

4.4. Da ultimo, con il quarto motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 2059 c.c. e degli artt. 2,3,29 e 30 Cost., oltre che degli artt. 115 e 116 c.p.c. “per violazione dei principi in tema di allegazione e valutazione della prova e per travisamento delle risultanze e dei documenti processuali”.

Si censura, in questo caso, la decisione di liquidare, in Euro 15.000,00 per la Ch. e in Euro 5.000,00 per C.C., l’importo del danno da lesione del rapporto parentale, avendo la Corte territoriale “ritenuto non provati specifici elementi di personalizzazione”, quali, in particolare, la “circostanza della convivenza”, quello dell’accudimento “durante la lunga degenza” e, infine, quello della natura dei rapporti o relazioni che essi avevano con C.D..

Nel premettere che nella liquidazione del danno non patrimoniale non è consentito, in mancanza di criteri stabiliti dalla legge, il ricorso ad una liquidazione equitativa pura, non fondata su criteri obiettivi, dovendosi preferire l’uniformità assicurata dal cd. “sistema tabellare” (è citata Cass. Sez. 3, sent. 18 maggio 2017, n. 12470), i ricorrenti evidenziano, inoltre, come questa Corte, nella liquidazione del danno da lesione del rapporto parentale, abbia ritenuto poco significativo il criterio della convivenza, che può costituire solo un indizio sulla base del quale ricostruire l’esistenza di vincoli affettivi, da valutarsi, però, in un contesto più ampio. Nella specie, la sentenza impugnata – oltre ad aver ignorato la condivisione dell’attività lavorativa con il fratello C., nonchè la circostanza, emersa dalle testimonianze, che dopo l’incidente C.D. (perchè impossibilitato a camminare) era sempre stato a casa con la madre – non si sarebbe fatta carico “della gravità dell’illecito, dell’età della persona offesa e del dolore arrecato ai familiari”, sicchè l’ammontare liquidato sarebbe “palesemente non congruo rispetto al caso concreto, perchè irragionevole e sproporzionato per difetto” in relazione a quello previsto dalle “Tabelle di Milano”.

5. La società Unipolsai ha resistito, con controricorso, all’impugnazione principale, chiedendone la declaratoria di inammissibilità, ovvero, in subordine, il rigetto.

L’inammissibilità dei motivi – peraltro, argomentata anche sul rilievo che essi non rispetterebbero la previsione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), in assenza di “specifica” indicazione della sede processuale di produzione degli atti e documenti su cui essi si fondano – è motivata sul rilievo che essi tenderebbero ad un riesame del merito della controversia. Fermo restando, inoltre, che nessuna contraddittorietà o insufficienza sarebbe ravvisabile nell’esposizione, compiuta dalla Corte partenopea, delle ragioni sottese al suo “decisum”, visto che la motivazione è da ritenersi insufficiente solo quando sia riscontrabile un’obiettiva deficienza del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento. Nella specie, invece, i ricorrenti principali si sarebbero limitati solo a proporre una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito.

6. Anche la R. ha resistito, con controricorso, all’impugnazione principale, chiedendone la declaratoria di inammissibilità, ovvero, in subordine, il rigetto, insistendo sul fatto che essendo la sua una responsabilità esclusivamente contrattuale, non avendo causato il sinistro (essendo solo la proprietaria dell’auto e la titolare della polizza assicurativa), il danno non patrimoniale non potrebbe gravare su di essa.

Essa, inoltre, ha eccepito l’inammissibilità – ai sensi dell’art. 372 c.p.c. – della planimetria allegata al ricorso principale.

7. I ricorrenti principali hanno depositato memoria, insistendo nelle proprie argomentazioni e replicando a quelle avversarie, in particolare assumendo il carattere di mero “stile” delle eccezioni sollevate da Unipolsai.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

8. Si impone, preliminarmente, la riunione delle impugnazioni, che nella specie è obbligatoria, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto esse investono lo stesso provvedimento (Cass. Sez. Un., sent. 23 gennaio 2013, n. 1521, Rv. 624792-01; in senso conforme, tra le altre, Cass. Sez. 5, sent. 30 ottobre 2018, n. 27550, Rv. 651065-01).

9. Sempre in via preliminare, va poi dichiarata l’inammissibilità del ricorso di Ch.An. e C.C..

9.1. Deve, infatti, ribadirsi che il “principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso; tuttavia quest’ultima modalità non può considerarsi essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorchè proposto con atto a sè stante, in ricorso incidentale” (da ultimo, Cass. Sez. 2, sent. 14 gennaio 2020, n. 448, Rv. 656830-01), “la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine di quaranta giorni (venti più venti) risultante dal combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c., indipendentemente dai termini (l’abbreviato e l’annuale) di impugnazione in astratto operativi (…)” (“ex multis”, Cass. Sez. Lav., sent. 20 marzo 2015, n. 5695, Rv. 634799-01; in senso conforme Cass. Sez. 3, sent. 9 febbraio 2016, n. 2516, Rv. 638617-01).

Nella specie, notificato in data 13 dicembre 2018, agli odierni ricorrenti incidentali, il ricorso principale, costoro risultano aver avviato per la notificazione il proprio ricorso il 23 gennaio 2019, e dunque al quarantunesimo giorno, donde l’inammissibilità dello stesso.

10. Nuovamente “in limine”, va disattesa l’eccezione di inammissibilità, sollevata dalla controricorrente R., quanto alla produzione della planimetria, allegata dai ricorrenti principali al proprio atto di impugnazione.

10.1. Invero, sul punto, deve muoversi dalla constatazione che C.D.” e con lui il padre V. e la sorella Va.o censurano con il primo motivo di ricorso, tra l’altro, l’utilizzazione da parte della sentenza impugnata di “un procedimento deduttivo manifestamente implausibile nel percorso che lega la verosimiglianza delle premesse alla probabilità delle conseguenze”. Costoro deducono, nella sostanza, un vizio di nullità della parte motiva della sentenza per motivazione apparente, o meglio irriducibilmente contraddittoria, e ciò a prescindere dal mancato riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), (come, pure, all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4). Evenienza che non inficia, infatti, il potere/dovere di questa Corte “di individuare la volontà dell’impugnante e stabilire se la stessa, così come esposta nel mezzo d’impugnazione, abbia dedotto un vizio di legittimità sostanzialmente, ma inequivocamente, riconducibile ad alcuna delle tassative ipotesi di cui all’art. 360” (Cass. Sez. Un., sent. 24 luglio 2013, n. 17931, Rv. 627268-01).

Di conseguenza, in relazione all’effettuata produzione documentale – peraltro, come si dirà, non influente ai fini della decisione di questa Corte – trova applicazione il principio secondo cui, nel giudizio di legittimità, “secondo quanto disposto dall’art. 372 c.p.c., non è ammesso il deposito di atti e documenti che non siano stati prodotti nei precedenti gradi del processo, salvo che non riguardino l’ammissibilità del ricorso e del controricorso ovvero concernano nullità inficianti direttamente la decisione impugnata” (come, appunto, nell’ipotesi che occupa), “nel qual caso essi vanno prodotti entro il termine stabilito dall’art. 369 c.p.c.”, nella specie rispettato dai ricorrenti, “rimanendo inammissibile la loro produzione in allegato alla memoria difensiva di cui all’art. 378 c.p.c.” (cfr. Cass. Sez. 1, ord. 12 novembre 2018, n. 28999, Rv. 651476-01; in senso conforme, Cass. Sez. 1, sent. 31 marzo 2011, n. 7515, Rv. 617342-01).

11. Ciò premesso, passando all’esame del ricorso principale, lo stesso va accolto, sebbene nei termini di seguito precisati.

11.1. I motivi primo e secondo – suscettibili di esame unitario, giacchè, diversamente da terzo, attinenti entrambi al tema del cd. “an debeatur”, e precisamente alla corretta applicazione dell’art. 2054 c.c., comma 2 – sono fondati.

11.1.1. Invero, la sentenza impugnata, pur accertata l’esistenza di una doppia infrazione stradale a carico del conducente dell’autovettura che ebbe a scontrarsi con il motoveicolo del C. (ovvero, da un lato, l’effettuazione di un’inversione di marcia in un tratto di strada in cui essa era vietata per la presenza della striscia continua nella mezzeria, inversione, peraltro, compiuta attraverso due distinte manovre, la seconda delle quali implicante l’uso della retromarcia, nonchè, dall’altro, l’omissione dell’obbligo di dare precedenza ai veicoli che procedevano in senso contrario), ha ritenuto di non poter superare la presunzione – di cui alla norma suddetta – di eguale responsabilità del conducente dell’altro veicolo coinvolto, in assenza di prova che il medesimo si fosse uniformato alle regole della circolazione stradale, ovvero a quelle di comune prudenza.

E’, questa, un’affermazione errata – come si dirà di seguito – “in iure” e, quindi, suscettibile di sindacato da parte di questa Corte.

11.1.2. Deve, invero, disattendersi l’eccezione, formulata soprattutto dalla controricorrente Unipolsai, secondo cui i motivi di ricorso in esame tenderebbero ad una rivisitazione del giudizio di fatto, sulla dinamica del sinistro, operato dalla Corte territoriale.

Ancora di recente, infatti, è stato osservato che nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 3), il vizio denunciabile davanti a questo giudice di legittimità è, com’è noto, individuato nella violazione che nella falsa applicazione della norma di diritte essendosi, inoltre, ribadito “che il vizio di falsa applicazione sottende il c.d. vizio di sussunzione”, ipotizzabile “quando il giudice di merito”, dopo avere individuato e ricostruito – e ciò “sulla base delle allegazioni e delle prove offerte dalle parti e comunque all’esito dello svolgimento dell’istruzione cui ha proceduto” – “la “quaestio facti”, cioè i termini ed il modo di essere della c.d. fattispecie concreta dedotta in giudizio, procede a ricondurre quest’ultima ad una fattispecie giuridica astratta piuttosto che ad un’altra cui sarebbe in realtà riconducibile oppure si rifiuta di ricondurla ad una certa fattispecie giuridica astratta cui sarebbe stata riconducibile o ad una qualunque fattispecie giuridica astratta, mentre ve ne sarebbe stata una cui avrebbe potuto essere ricondotta, in tal modo incorrendo in errore” (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 29 agosto 2019, n. 21772, Rv. 655084-01).

Pertanto, “la valutazione così effettuata dal giudice di merito e la relativa motivazione, non inerendo più all’attività di ricostruzione della “quaestio facti” e, dunque, all’apprezzamento dei fatti storici in funzione di essa, bensì all’attività di qualificazione “in iure” della “quaestio” per come ricostruita, risulta espressione di un vero e proprio giudizio normativo”, sicchè “il relativo ragionamento” operato dal giudice di merito, “connotandosi come ragionamento giuridico (espressione del momento terminale del broccardo “da mihi factum dabo tibi ius”) è controllabile e deve essere controllato dalla Corte di Cassazione nell’ambito del paradigma del n. 3) dell’art. 360 c.p.c.” (così, nuovamente, Cass. Sez. 3, ord. 21772 del 2019, cit.).

Si tratta di affermazione, questa, assurta ormai al rango di vero e proprio “diritto vivente”, essendo costante e pacifico nella giurisprudenza di questa Corte – anche al suo più elevato livello nomofilattico – il principio secondo cui “il controllo di legittimità non si esaurisce in una verifica di correttezza dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva della norma, ma è esteso alla sussunzione del fatto, accertato dal giudice di merito, nell’ipotesi normativa” (così, Cass. Sez. Un., sent. 18 gennaio 2001, n. 5, Rv. 543247-01; in senso conforme Cass. Sez. Lav., sent. 16 agosto 2004, n. 15968, Rv. 575757-01; Cass. Sez. Lav., sent. 12 maggio 2006, n. 11037, Rv. 589059-01; Cass. Sez. 3, sent. 28 novembre 2007, n. 24756, Rv. 600470-01, oltre a Cass. Sez. 3, sent. n. 21772 del 2019, cit.).

11.1.3. Tanto chiarito, deve evidenziarsi l’erroneità dell’affermazione con cui la Corte territoriale – sebbene riconosca essere “pacifici” tanto il compimento della vietata manovra di inversione “ad U”, da parte dell’autovettura che venne a scontrarsi con il motoveicolo del C., quanto la mancata concessione allo stesso della precedenza – reputa tale duplice “circostanza, di per sè, non sufficiente per affermare la responsabilità del conducente dell’auto”. E ciò in quanto, essa prosegue, in caso di scontro tra veicoli, l’accertamento della responsabilità di uno dei conducenti “non comporta il superamento della presunzione di colpa concorrente sancita dall’art. 2054 c.c.” (o meglio, dal suo comma 2), “essendo a tal fine necessario accertare in pari tempo che l’altro conducente si sia pienamente uniformato alle norme di circolazione e a quelle di comune prudenza e abbia fatto tutto il possibile per evitare il sinistro”, prova, nelle specie, ritenuta mancante, visto che “i testi non hanno riferito niente circa la condotta di guida del motociclista”, e non essendo neppure “nota la velocità della moto”.

11.1.4. Orbene, il vizio di sussunzione – nei termini già sopra chiariti – in cui è incorsa la Corte partenopea è resa evidente dalle considerazioni che seguono.

11.1.4.1. Costituisce “ius receptum” nella giurisprudenza di questa Corte la constatazione che la “presunzione di pari responsabilità sancita dall’art. 2054 c.c., comma 2, ha carattere sussidiario”, operando, pertanto, vuoi “quando non sia possibile stabilire il grado di colpa dei due conducenti”, vuoi “qualora non siano accertabili le cause e le modalità del sinistro” (così, da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 12 marzo 2020, n. 7061, Rv. 657299-01; nello stesso senso già Cass. Sez. 6-3, ord. 12 aprile 2011, n. 8409, Rv. 617095-01; Cass. Sez. 3, sent. 10 agosto 2004, n. 15434, Rv. 576166-01).

E’, inoltre, tale presunzione un principio “informatore” – persino nell’accezione adoperata dalla giurisprudenza costituzionale per individuare un limite al giudizio di equità “necessaria” ex art. 113 c.p.c., comma 2, ovvero per evitare che l’equità divenga “fonte autonoma e alternativa alla legge” (Corte Cost., sent. 5 luglio 2004, n. 206) – della materia dei danni da circolazione stradale. Difatti, la norma in esame “senza dettare regole in punto di incidenza del rischio della mancata prova di una circostanza rimasta incerta nel giudizio, stabilisce una presunzione che costituisce applicazione dei criteri generalissimi in materia di concorso di cause, criteri ai quali risulta conformata tutta la disciplina della responsabilità da fatto illecito (art. 41 c.p.)” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 29 settembre 2011, n. 19871, Rv. 619533-01).

Si tratta, peraltro, di affermazioni – queste appena illustrate – che riflettono, pienamente, le scelte che ispirarono i codificatori del 1942.

Si legge, infatti, nella relazione al codice civile, del Ministro Guardasigilli al Re, che la “disciplina accolta” con l’art. 2054 c.c., comma 2, “è coerente con i criteri posti dall’art. 1227, comma 1, là dove si regola il concorso di colpa del danneggiante e del danneggiato”. Difatti, nel caso di scontro di veicoli, “il concorso delle colpe contrapposte è presunto; rimane quindi ferma la presunzione che grava su ciascun conducente, essendosi ritenuto di non adottare l’opinione secondo la quale, considerate le reciproche presunzioni si eliderebbero, per lasciar posto all’accertamento della responsabilità di ciascuno secondo i criteri ordinari”. Resta, tuttavia, inteso – anche nelle intenzioni del “conditor legis” – che “il concorso delle due colpe non porta neppure ad addossare a ciascun conducente l’intera responsabilità del danno cagionato all’altro veicolo, perchè il danno stesso è la conseguenza di una colpa presunta, comune ad entrambi i conducenti. E allora si applica il principio consacrato nell’art. 1227, comma 1: i conducenti, considerati coautori del danno risentito da ciascun veicolo, ne rispondono in proporzione alla gravità della rispettiva colpa e all’entità delle conseguenze che ne sono derivate” (così, testualmente, il p. 796 della citata relazione ministeriale).

11.1.4.2. Orbene, in coerenza con tale impostazione – che è quella di una riconduzione (quasi in un rapporto di “specie a genere”) della previsione di cui all’art. 2054 c.c., comma 2, a quella di cui dell’art. 1227 c.c., comma 1 – si comprendono gli indirizzi assunti da questa Corte.

Essa, invero, così come consente al giudice di merito, in applicazione della norma da ultimo indicata, di stabilire anche “ex officio” se la condotta dello stesso danneggiato si ponga come “causa prossima di rilievo del danno” (per un’applicazione recente del principio si veda, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 21 gennaio 2020, n. 1165, Rv. 656688-01; ma cfr. anche, giacchè riferita ad un’ipotesi di danno da circolazione stradale, Cass. Sez. 3, sent. 6 maggio 2016, n. 9241, Rv. 639708-01), analogamente, ritiene che “nel caso di scontro tra veicoli, ove il giudice abbia accertato la colpa di uno dei conducenti, non può, per ciò solo, ritenere superata la presunzione posta a carico anche dell’altro dall’art. 2054 c.c., comma 2, ma è tenuto a verificare in concreto se quest’ultimo abbia o meno tenuto – una condotta di guida corretta” (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 20 marzo 2020, n. 7479, Rv. 657167-01; nello stesso senso, tra le molte, con riferimento alla violazione dell’obbligo di dare precedenza, si veda Cass. Sez. 3, ord. 15 febbraio 2018, n. 3696, non massimata).

Nondimeno, costituisce principio altrettanto pacifico nella giurisprudenza di legittimità, che la Corte partenopea ha invece disatteso, quello secondo cui, sempre nel caso di scontro tra veicoli, l’accertamento “della colpa esclusiva di uno dei conducenti e della regolare condotta di guida dell’altro”, idonea a liberare “quest’ultimo dalla presunzione di concorrente responsabilità fissata in via sussidiaria dall’art. 2054 c.c., comma 2, nonchè dall’onere di provare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno”, può essere effettuato acquisendo tale prova liberatoria non necessariamente in modo diretto, ovvero dimostrando la conformità del suo contegno alle regole della circolazione stradale o di comune prudenza, ma “anche indirettamente”, ovvero “tramite l’accertamento del collegamento eziologico esclusivo o assorbente dell’evento dannoso col comportamento dell’altro conducente” (così da ultimo, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 9 marzo 2020, n. 6655, Rv. 657166-01; nello stesso senso già Cass. Sez. 6-3, ord. 21 maggio 2019, n. 13672, Rv. 65421801; Cass. Sez. 3, sent. 22 aprile 2009, n. 9550, Rv. 608197-01; Cass. Sez. 3, sent. 10 marzo 2006, n. 5226, Rv. 588251-01; Cass. Sez. 3, sent. 16 luglio 2003, n. 11143, Rv. 565147-01; Cass. Sez. 3, sent. 19 aprile 1996, n. 3723, Rv. 497161-01).

Da quanto precede, pertanto, emerge che la Corte territoriale, accertata la consumazione, da parte del conducente l’autovettura di proprietà della R., di ben due, gravi, infrazioni stradali (ovvero, si ribadisce, l’invasione dell’opposta corsia di marcia e la mancata concessione della precedenza ai veicoli che procedevano lungo di essa, e in particolare, al motoveicolo guidato dal C.), non doveva affermare la necessità – perchè il C. potesse essere liberato dalla presunzione di eguale responsabilità di cui all’art. 2054 c.c., comma 2 – della dimostrazione che egli si fosse “pienamente uniformato alle norme della circolazione e a quelle di comune di prudenza”, nonchè di aver “fatto tutto il possibile per evitare il sinistro”. Essa, per contro, avrebbe dovuto interrogarsi – in particolare, a fronte di un quadro probatorio che non aveva restituito “evidenze” (ma mere congetture) sul contegno di guida del motociclista, essendo rimasta ignota persino la velocità impressa dallo stesso al proprio veicolo – sull’idoneità del comportamento dell’automobilista ad integrare la causa esclusiva del sinistro, potendo essa costituire prova “indiretta”, comunque idonea a vincere quella presunzione di legge.

12. L’accoglimento del primo e secondo motivo del ricorso principale, nei termini appena illustrati, comporta l’assorbimento del terzo motivo (relativo al “quantum debeatur”, ovvero ai criteri per la determinazione del dovuto sia allo stesso C.D., che ai suoi familiari), dal momento che la necessità per il giudice del rinvio di pronunciarsi “ex novo” sul profilo concernente ran” della responsabilità, implica, evidentemente, la necessità di procedere anche ad una rinnovata quantificazione dei danni risarcibili.

13. In conclusione, il ricorso principale va accolto in relazione ai motivi primo e secondo e, per l’effetto, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, per la decisione nel merito, alla luce del seguente principio di diritto:

“in caso di scontro tra veicoli, l’accertamento della colpa esclusiva di uno dei conducenti e della regolare condotta di guida dell’altro, idonea a liberare quest’ultimo dalla presunzione di concorrente responsabilità fissata in via sussidiaria dall’art. 2054 c.c., comma 2, nonchè dall’onere di provare di avere fatto tutto il possibile per i evitare il danno, può essere effettuato acquisendo tale prova liberatoria non necessariamente in modo diretto, ovvero attraverso la dimostrazione della conformità del suo contegno di guida alle regole della circolazione stradale o di comune prudenza, ma anche indirettamente, ovvero tramite il riscontro del collegamento eziologico esclusivo o assorbente dell’evento dannoso col comportamento dell’altro conducente”.

14. Il giudice del rinvio procederà, inoltre, alla liquidazione delle spese anche del presente giudizio, quanto al rapporto processuale tra C.D., V. e Va., da un lato, e la società Unipolsai e R.A., dall’altro.

In relazione, invece, al rapporto processuale tra Ch.An. e C.C., per un verso, e la società Unipolsai e la R., per altro verso (rapporto, ormai, definito, data l’inammissibilità del ricorso incidentale proposto dai primi due), nulla risulta dovuto alla predetta società e alla R., essendo rimasti intimati in relazione al ricorso incidentale proposto dai primi.

15. Infine, a carico dei ricorrenti incidentali sussiste l’obbligo di versare, se dovuto, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso principale, dichiarando assorbito il terzo, e cassa per l’effetto la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio, quanto al rapporto processuale intercorrente tra i ricorrenti principali, da un lato, e la società Unipolsai Assicurazioni S.p.a. e R.A., dall’altro.

Dichiara, invece, inammissibile il ricorso incidentale.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello spettante per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2021

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