Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6940 del 23/03/2010

Cassazione civile sez. III, 23/03/2010, (ud. 20/01/2010, dep. 23/03/2010), n.6940

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SENESE Salvatore – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 27582/2005 proposto da:

T.P.C. (OMISSIS), nella qualità di

erede del Sig. P.F. deceduto, rappresentata e

difesa dall’Avvocato FANI’ Dante con studio in 65122 PESCARA Via

Emilia, 7 con delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

e contro

M.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 563/2005 della CORTE D’APPELLO di BARI,

Sezione Seconda Civile, emessa il 6/05/2005 depositata il 03/06/2005;

R.G.N. 78/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

20/01/2010 dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 6 maggio – 3 giugno 2005 la Corte di appello di Bari confermava la decisione del Tribunale di Foggia del 29 settembre – 22 novembre 2002, la quale – previa revoca del decreto ingiuntivo dell’11 dicembre 1998 – in parziale accoglimento della opposizione, riconosceva il credito azionato dall’avv. M.L., per spese legali, nella minor somma di L. 64.000.000, condannando T.P.C. al pagamento della relativa somma (pari ad Euro 33.053,24) oltre interessi legali del 1 luglio 1998.

Rilevavano i giudici di appello che la appellante principale, avendo operato il disconoscimento della firma del suo dante causa sulla scrittura del 30 dicembre 1990 (attraverso la dichiarazione di non conoscenza della sottoscrizione), non poteva eccepire la presunzione presuntiva triennale.

Infatti, la giurisprudenza di questa Corte è da tempo ferma nel ritenere che il debitore il quale neghi la esistenza del credito per avere disconosciuto (o non aver riconosciuto) la dichiarazione del suo dante causa, riveniente da una dichiarazione di obbligo, pone in essere una difesa incompatibile con la eccezione di prescrizioni presuntiva.

La Corte territoriale, in ordine al secondo motivo di appello, confermava quanto già rilevato dal primo giudice e cioè che la lettera del 14 aprile 1992 a firma dell’avv. M., con la quale lo stesso si impegnava a restituire al P. la somma di L. 5.000.000 avuta a prestito, non poteva far ritenere che – a quella data – il M. non vantasse alcun credito nei confronti del P., ma anzi fosse suo debitore per lo stesso importo.

Infatti, il Tribunale aveva tratto argomenti decisivi da altra corrispondenza intercorsa tra le parti, ed in particolare, dalla lettera del 13 febbraio 1993 indirizzata dal P.F. al M..

I giudici di appello sottolineavano che la prova del credito di L. 64.000.000 a favore dell’avv. M. risultava chiaramente dalla dichiarazione datata 10 gennaio 5 (prodotta in originale in grado di appello e non disconosciuta nei termini dalla appellante principale).

Quest’ultima, sottolinea la Corte territoriale, avrebbe avuto il preciso onere di disconoscere, in questo secondo grado di giudizio, il documento in originale, senza necessità da parte dell’appellato – di proporre alcun appello incidentale sul capo che aveva escluso la verificazione della scrittura prodotta in fotocopia e senza neppure necessità di riproporre in secondo grado la istanza di verificazione sull’originale, non tempestivamente disconosciuto.

I giudici di appello richiamavano i risultati della consulenza tecnica di ufficio in ordine alla autenticità della scrittura del 30 dicembre 1990.

Gli stessi giudici davano atto che effettivamente il consulente tecnico di ufficio aveva accettato e preso in esame, quali documenti di comparazione, anche documenti non ammessi ritualmente dal giudice istruttore, in quanto privi del carattere di autenticità tuttavia, non risultava assolutamente dalla relazione che la indagine e le conclusioni dell’ausiliare del giudice si fossero basati, essenzialmente su tali documenti (invece che su quelli indicati dallo stesso giudice istruttore come sicuramente autentici, in quanto raccolti da pubblici ufficiali autorizzati a dare pubblica fede).

Non poteva neppure sostenersi che il risultato dell’indagine grafica sarebbe stato diverso se il consulente nominato dall’ufficio si fosse limitato ad esaminare esclusivamente le scritture di comparazione effettivamente indicate come autentiche.

Infatti, tra la firma oggetto di verifica e quelle di confronto, il consulente aveva riscontrato una lunghissima serie di elementi significativamente concordanti nei fattori grafici generali e in quelli particolari.

La Corte territoriale respingeva l’appello incidentale del M., relativo al mancato riconoscimento delle spese processuali, dichiarando inammissibile le questioni relative al mancato integrale riconoscimento della rivalutazione e la decorrenza degli interessi legali dalla dichiarazione di obbligo (anzichè dal 1 luglio 1998).

Avverso tale decisione la T.P. ha proposto ricorso per cassazione sorretto da sei, distinti, motivi.

L’avv. M. non ha svolto difese in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2959 e 1988 c.c., dell’art. 214 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, nonchè motivazione insufficiente e contraddittoria su di un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Colui che eccepisca la prescrizione presuntiva, ai sensi dell’art. 2959 c.c., non può ammettere in giudizio che la obbligazione stessa non sìa stata estinta (a pena di rigetto della eccezione).

Secondo la giurisprudenza di questa Corte deve ravvisarsi tale ammissione anche in presenza di eccezioni logicamente incompatibili con l’avvenuta estinzione della obbligazione: quali quelle in cui si neghi la sua stesa esistenza o se ne contesti la entità.

La T.P., tuttavia, proponendo opposizione a decreto ingiuntivo, non aveva in alcun modo contestato la esistenza della obbligazione, essendosi limitata a dichiarare di non averne conoscenza, perchè non conosceva la scrittura del proprio dante causa.

Orbene, prosegue la ricorrente, la dichiarazione di non conoscenza della scrittura del proprio dante causa, da parte dell’erede, non può ritenersi equivalente a contestazione della esistenza del credito.

Tra l’altro, i giudici di appello non avevano tenuto conto del fatto che la dichiarazione del 30 dicembre 1990, a firma apparente di P.F., non costituiva essa stessa fonte della obbligazione, essendo solo ricognizione titolata della stessa.

La Corte territoriale aveva ritenuto insufficiente la prova della avvenuta estinzione da parte del de cuius, della obbligazione dedotta in giudizio (consistente nella dichiarazione autografa dell’avv. M. del 10 aprile 1992, con la quale lo stesso si riconosceva debitore dell’importo di L. 5.000.000 nei confronti dello stesso P. per anticipazione dallo stesso fattagli).

Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione falsa applicazione degli artt. 167 e 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, nonchè motivazione insufficiente e contraddittoria circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

La dichiarazione a firma P.F. del 10 gennaio 1995, prodotta in originale solo in grado di appello non era stata presa in esame in sede di verificazione.

Il M. la aveva prodotta in appello senza indicarla specificamente tra i documenti prodotti a corredo della comparsa di risposta e senza chiederne la ammissione tardiva.

I giudici di appello non avevano provveduto alla formale ammissione del documento, che tuttavia era stato utilizzato come valida prova.

Gli stessi giudici avevano anche ritenuto che, non essendo stato reiterato il disconoscimento del documento nei confronti del documento prodotto in originale, lo stesso doveva ritenersi tacitamente riconosciuto ai sensi dell’art. 215 c.p.c. (essendo irrilevante il disconoscimento operato in primo grado).

Le Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 8203 del 2005 hanno stabilito che il divieto di nuove prove nel giudizio di appello si estende, senza distinzione di sorta tra prove costituende e prove costituite, anche alla prova documentale, precisando che la produzione dei nuovi documenti deve essere specificamente indicata nell’atto di appello e che ad essa deve seguire la adozione di un motivato provvedimento di ammissione da parte del Collegio, da adottarsi alla prima udienza.

Erroneamente, i giudici di appello avevano ritenuto sussistere il requisito della non imputabilità all’avv. M. della mancata produzione della dichiarazione in primo grado, rinvenendone la relativa prova nel carteggio intercorso tra il consulente nominato dall’ufficio e lo stesso M. (dal quale risultava la presentazione di una denuncia di smarrimento della stessa, insieme con tutta la documentazione fiscale per gli anni dal 1963 al 1997, presentata alla Polizia di Stato).

La presentazione di una denuncia di smarrimento, sottolinea la ricorrente, non consente la tardiva produzione di documenti in appello.

Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2719 c.c., artt. 214, 215 e 216 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4.

Anche a voler ammettere la ritualità della produzione dell’originale della scrittura del (OMISSIS) nel giudizio di appello, il suo utilizzo come mezzo di prova era autonomamente censurabile sotto il profilo delle norme sopra indicate.

Il disconoscimento della scrittura ex art. 214 c.p.c. può essere anticipato al momento stesso della produzione della copia fotostatica, con la conseguenza che la parte che intenda avvalersi del documento dovrà necessariamente chiederne la verificazione.

Non vi era alcun dubbio che la attuale ricorrente, in primo grado, avesse formalmente dichiarato di non conoscere la scrittura del proprio dante causa, senza minimamente sollevare alcuna questione in ordine alla conformità, o meno, agli originali delle copie prodotte in giudizio.

Tanto che l’avv. M. aveva chiesto la verificazione di tutte e quattro le scritture prodotte a sostegno del ricorso per decreto ingiuntivo e che la scrittura del (OMISSIS) era stata sottoposta a procedimento di verificazione, unitamente a quella del 30 dicembre 1990, anche essa mai prodotta in originale.

Sarebbe stato, semmai, preciso onere dell’avv. M. – ove avesse voluto avvalersi della scrittura già disconosciuta e prodotta in appello – di proporre la istanza di verificazione già autorizzata in primo grado e rimasta senza utile esito solo per la mancata, tempestivamente produzione di detto originale.

Con il quarto motivo la ricorrente deduce motivazione insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

La sentenza impugnata aveva errato escludendo che la dichiarazione del 10 aprile 1992 a forma dell’avv. M.L., con cui quest’ultimo aveva dato atto di riceversi da P.F., a titolo di anticipazione (cioè di mutuo) la somma di L. 5.000.000 impegnandosi contestualmente a rimborsarla entro il mese di luglio costituisse prova sufficiente della avvenuta estinzione del più antico debito di L. 64.000,000 azionato dal M..

Dal complesso della corrispondenza intercorsa tra le parti si traeva conferma della avvenuta estinzione (logica imponeva di concludere che se le parti non avevano fatto riferimento a quel credito, ciò era dovuto al fatto che lo stesso era stato estinto in precedenza e non vi era pertanto alcuna necessità di farne menzione nelle dichiarazioni successive; il P. non aveva invocato la compensazione proprio perchè non vi era alcun credito da opporre in compensazione).

Con il quinto motivo la ricorrente deduce, da ultimo, violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., art. 217 c.p.c., comma 2, artt. 62, 194 e 198 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nonchè motivazione insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il consulente tecnico di ufficio aveva preso come scritture di comparazione ben 33 documenti, a fronte dei quattro indicati dal G.I., non considerando invece il mandato conferito dal P. nella causa n. 4166 del 1994 la cui acquisizione in originale era stata ammessa dallo stesso giudice.

La consulenza tecnica di ufficio, pertanto, doveva essere dichiarata nulla, essendo principio consolidato in giurisprudenza che il consulente tecnico di ufficio può utilizzare documenti non ritualmente prodotti in giudizio solo ove le parti lo consentano, mentre la consulenza deve essere dichiarata nulla se non sanata per effetto di mancata deduzione nella prima istanza o difesa successiva al suo deposito.

Nel caso di specie, la nullità era stata tempestivamente eccepita dalla difesa della T.P. alla udienza del 21 novembre 2001, prima udienza successiva al deposito dell’elaborato dell’ausiliare del giudice, era stata ribadita in sede di precisazione delle conclusioni ed era stato oggetto di specifico motivo di appello.

Doveva, pertanto, escludersi ogni possibilità di sanatoria della nullità stessa.

Detta nullità era tale da travolgere la sentenza di appello che nell’affermare la riferibilità al P. della firma apposta in calce alla scrittura del (OMISSIS), aveva fatto proprie le conclusioni della consulenza tecnica inutilizzabile, in quanto nulla.

Le argomentazioni svolte dai giudici di appello (in ordine alle conclusioni cui il consulente sarebbe pervenuto anche ove avesse fatto impiego delle sole scritture autentiche) erano del tutto immotivate, oltre che in contrasto con la giurisprudenza di questa stessa Corte.

Con il sesto motivo la ricorrente denuncia motivazione insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

I giudici di appello avevano finito per confermare la autenticità della scrittura (OMISSIS), uniformandosi alle conclusioni del consulente tecnico, nonostante che proprio questi avesse rilevato l’esistenza di una macroscopica anomalia grafica nella firma in verifica, costituita dalla presenza di un paraffo conclusivo regredente a laccio (assente in tutte le altre firme del P., esaminate dal consulente tecnico di ufficio).

Osserva il Collegio:

il primo motivo di ricorso è fondato e deve essere accolto.

La Corte territoriale ha osservato che – poichè intenzione della T.P. era quella di non riconoscere la autenticità della sottoscrizione del suo genitore adottivo, esistente in calce alla dichiarazione di obbligo del (OMISSIS), prodotta in copia fotostatica – la stessa non poteva comunque eccepire la prescrizione presuntiva triennale.

I giudici di appello hanno richiamato la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale il debitore che nega la esistenza del credito per aver disconosciuto o non riconosciuto la sottoscrizione del suo dante causa pone in essere una difesa incompatibile con la eccezione di prescrizione presuntiva (non essendo possibile presumere che abbia adempiuto chi non abbia riconosciuto l’appartenenza della scrittura al suo autore).

Gli stessi giudici hanno richiamato, al riguardo, l’art. 2959 c.c., in base al quale: “L’eccezione (dì prescrizione presuntiva triennale) è rigettata, se chi oppone la prescrizione nei casi indicati dagli artt. 2954, 2955 e 2956 c.c., ha comunque ammesso in giudizio che la obbligazione non è stata estinta”.

Ad avviso del Collegio, la conclusione cui sono pervenuti i giudici di appello si pone in aperto contrasto con le norme di legge denunciate.

La dichiarazione di non riconoscere la sottoscrizione del proprio dante causa, fatta dall’erede non può ritenersi equivalente disconoscimento operato dall’apparente autore della scrittura, per la diversità di situazione giuridica, tra l’erede e l’autore apparente della sottoscrizione, a proposito della connessa questione del giuramento defecto all’autore del riconoscimento (art. 2960 cod. civ.), cfr. Corte Cass. 162/1973.

Infatti, la parte che intenda contestare l’autenticità di una scrittura privata non riconosciuta non deve proporre la querela di falso, ma deve impugnarne, in via di eccezione, la scrittura o la sottoscrizione, mediante il suo disconoscimento.

Per quanto riguarda, invece, l’erede dell’apparente sottoscrittore, costui ha soltanto l’onere ai fini del disconoscimento, a norma dell’art. 214 cod. civ., comma 2, mentre compete alla controparte di chiederne la verificazione con il conseguente onere di dimostrarne l’autenticità. In pratica, senza disconoscere espressamente la scrittura o la sottoscrizione del suo dante causa, l’erede può limitarsi a dichiarare di non conoscere la scrittura o la sottoscrizione del suo (apparente) autore.

Tale disconoscimento, tuttavia, a differenza di quanto accade per l’autore, non è di per sè incompatibile con la proposizione della eccezione di prescrizione presuntiva.

La sentenza impugnata, che ha ritenuto invece la assoluta incompatibilità tra disconoscimento dell’erede ed eccezione si prescrizione presuntiva, deve essere cassata.

La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altro giudice che procederà a nuovo esame, attenendosi al seguente principio di diritto:

“La disposizione dell’art. 2959 c.c. – per la quale l’eccezione di prescrizione presuntiva è rigettata se chi la solleva ha comunque ammesso in giudizio che l’obbligazione non è stata estinta – è applicabile anche all’erede dell’obbligato originario, per il quale, però, la non conoscenza dell’obbligazione può avere idoneità a conferire a determinati comportamenti processuali (diversamente che se tenuti dall’obbligato originario) una compatibilità logica e giuridica con l’eccezione di prescrizione presuntiva”.

“L’affermazione dell’erede, convenuto in giudizio per il pagamento di un debito del defunto, soggetto a prescrizione presuntiva, di non conoscere la scrittura e la sottoscrizione di una scrittura privata ad apparente forma del proprio dante causa, non è di per sè incompatibile con la eccezione di prescrizione presuntiva”.

“La dichiarazione dell’erede, convenuto in giudizio per il pagamento di un debito del defunto, soggetto a prescrizione presuntiva, di non essere informato se il debito sia stato o meno estinto dal suo dante causa, può implicare ammissione della avvenuta costituzione del rapporto da cui è sorto il credito azionato ma non anche ammissione che la obbligazione non è stata estinta e, pertanto, non importa il rigetto della eccezione di prescrizione presuntiva, fatta valere dall’erede”.

“Spetta, pertanto, al giudice di merito valutare se il comportamento complessivamente posto in essere dall’erede sia – o meno – incompatibile con la volontà di avvalersi della prescrizione presuntiva”.

L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento degli altri motivi di ricorso.

Il giudice di rinvio potrà – se del caso – valutare se sussistono le condizioni previste dall’art. 2960 c.c., nel caso in cui l’originario attore voglia deferire giuramento perchè dichiari se ha notizia dell’estinzione del debito (con gli effetti indicati dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 162 del 9 novembre 1973: e cioè, che trattandosi di giuramento “de scientia”, la dichiarazione di ignorare i fatti non importa rifiuto di giurare, bensì giuramento in senso negativo per cui la lite va decisa in senso favorevole al giurante).

Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri.

Cassa e rinvia alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, anche per le spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2010

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