Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6940 del 02/03/2022

Cassazione civile sez. trib., 02/03/2022, (ud. 22/02/2022, dep. 02/03/2022), n.6940

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19368/2015 R.G. proposto da:

S.S. (C.F. (OMISSIS)), rappresentata e difesa dall’Avv.

ALFONSO MARIA PARISI e dall’Avv. TOMMASA PERGOLIZZI in virtù di

procura speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliata in

ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale

dello Stato, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi,

12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sicilia, Sezione staccata di Messina, n. 138/02/15, depositata in

data 15 gennaio 2015;

Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 22 febbraio

2022 dal consigliere Relatore D’Aquino Filippo.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La contribuente S.S. ha impugnato un avviso di accertamento, relativo al periodo di imposta 2006, con il quale si accertava una plusvalenza derivante da cessione di terreno suscettibile di utilizzazione edificatoria a termini del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 67 e 68, assoggettata a tassazione separata e venivano irrogate sanzioni.

2. La contribuente ha dedotto che l’immobile era pervenuto per successione in morte di P.G.A. alla contribuente, la quale aveva successivamente trasferito il bene, unitamente agli altri familiari, a un terzo, previa redazione di perizia di stima e conseguente pagamento dell’imposta sostitutiva del 4% di cui alla L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 7, comma 2, con conseguente affrancamento della plusvalenza.

3. La CTP di Messina ha rigettato il ricorso della contribuente.

4. La CTR della Sicilia, Sezione staccata di Messina, con sentenza in data 15 gennaio 2015, ha rigettato l’appello della contribuente. Ha osservato il giudice di appello la L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 7, permette di affrancare la plusvalenza da cessione di terreno edificabile versando un importo pari al 4% del valore risultante da una perizia giurata, prevedendo che l’importo vada versato entro il 16 dicembre 2002. Detto termine – ha osservato il giudice di appello, è stato differito più volte e, in particolare, al 30 giugno 2006 dal D.L. 30 settembre 2005, n. 203, conv. in L. 2 dicembre 2005, n. 248 (in particolare dall’art. 11-quaterdecies). Ha, pertanto, ritenuto il giudice di appello che il termine indicato dalla legge deve ritenersi perentorio, perché tale interpretazione renderebbe indeterminata la data di versamento della prima rata. Nel rilevare il tardivo versamento della prima rata in data 7 luglio 2006, anziché in data 30 giugno del medesimo anno, il giudice di appello ha disconosciuto l’opzione esercitata dalla contribuente e ha ritenuto la legittimità dell’assoggettamento della plusvalenza a tassazione separata. Il giudice di appello ha, peraltro, annullato le sanzioni.

5. Propone ricorso per cassazione la contribuente affidato a sette motivi, ulteriormente illustrati da memoria, cui resiste con controricorso l’Ufficio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione al D.L. 24 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 24, e omesso esame di un fatto decisivo, non essendo il sottoscrittore dell’atto impugnato provvisto – secondo parte ricorrente – dei requisiti per la nomina a Direttore dell’Agenzia ed essendo, quindi, sprovvisto di qualifica dirigenziale; parte ricorrente si richiama alla sentenza della Corte costituzionale del 17 marzo 2015, n. 37, con conseguente difetto assoluto di attribuzione, rilevabile anche di ufficio anche in cassazione.

1.2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 12 preleggi, dell’art. 97 Cost., della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, nonché degli artt. 1325,1326,1362,1367,1371,1375,1185 e 1186 c.c. e omesso esame di fatto decisivo, nella parte in cui la sentenza impugnata non ha valutato che il termine triennale per il pagamento dell’imposta sostitutiva non avrebbe natura perentoria.

1.3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 448 del 2001, art. 7, del D.L. 24 dicembre 2002, n. 282, art. 2, come modificato dal D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 11-quaterdecies, comma 4, lett. a), b), c), conv. dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, nonché omesso esame di fatto decisivo, posto che l’Ufficio avrebbe incamerato le somme versate dalla contribuente senza procedere alla contestazione della decadenza della contribuente, circostanza che si sarebbe dovuta valutare dalla CTR in sede di valutazione della natura perentoria del termine.

1.4. Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 448 del 2001, art. 7, del D.L. 24 dicembre 2002, n. 282, art. 2, come modificato dal D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 11-quaterdecies, comma 4, nonché omesso esame di fatto decisivo, rilevandosi come la normativa in oggetto non prevederebbe un dies ad quem entro il quale effettuare il primo pagamento, con conseguente erroneità della statuizione della CTR nella parte in cui ha ritenuto che tale termine fosse previsto a pena di decadenza.

1.5. Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, e degli artt. 3,53 e 97 Cost., per avere la CTR omesso di valutare che le circolari dell’Ufficio non hanno portata vincolante.

1.6. Con il sesto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione o falsa applicazione della L. n. 448 del 2001, artt. 5 e 7, e omesso esame di fatto decisivo, nella parte in cui la sentenza impugnata non ha ritenuto che la data del termine del 30 giugno 2006 non costituisce termine finale, ma termine iniziale per l’adempimento, osservando parte ricorrente come tali norme si applicano anche per la rideterminazione dei valori di acquisto delle partecipazioni non negoziate in mercati regolamentati, oltre che dei terreni edificabili con destinazione agricola.

1.7. Con il settimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione o falsa applicazione del D.L. n. 282 del 2002, art. 2, e della L. n. 448 del 2001, art. 7, oltre che omesso esame di un fatto decisivo. La ricorrente ripercorre l’evoluzione normativa, che evidenzierebbe l’erroneità dell’interpretazione seguita dal giudice di appello.

2. Il primo motivo – sul quale parte ricorrente torna diffusamente in memoria – è inammissibile, in quanto si censura per la prima volta in sede di legittimità un profilo non originariamente dedotto in sede di merito, con conseguente violazione del principio di consumazione del diritto di impugnazione in relazione ai profili di censura non originariamente proposti (Cass., Sez. I, 16 maggio 2016, n. 9993; Cass., Sez. U., 22 febbraio 2012, n. 2568). Questa preclusione, derivante dal sistema delle impugnazioni, nonché dalla stabilizzazione degli effetti degli atti amministrativi nelle parti non impugnate, non può essere inficiata dalla sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma, posto che l’illegittimità costituzionale opera per l’avvenire (art. 136 Cost.) ed è destinata ad operare anche nei procedimenti in corso nei quali – tuttavia – si sia censurata l’applicazione proprio di quella norma. Diversamente, la sopravvenuta declaratoria di illegittimità costituzionale non riverbera effetti sulle sentenze che di quella norma hanno fatto applicazione quando non vi sia stata impugnazione del relativo capo, a nulla rilevando che altri capi della sentenza siano stati impugnati ed il relativo giudizio sia ancora pendente al momento della pronuncia della Corte costituzionale (Cass., Sez. V, 30 dicembre 2019, n. 34575; Cass., Sez. I, 15 gennaio 2015, n. 574; Cass., Sez. I, 18 giugno 2012, n. 9950), né tale sentenza può avere effetti sugli atti impositivi in relazione ai quali non è censurato il profilo in ordine al quale la norma è stata successivamente dichiarata incostituzionale (Cass., Sez. V, 1 marzo 2006, n. 4549; Cass., Sez. V, 2 luglio 2007, n. 2280), stante la definitività dell’atto conseguente alla omessa tempestiva impugnazione (Cass., Sez. V, 30 dicembre 2019, n. 34617).

3. Principio, questo, che discende dal superiore principio secondo cui l’applicazione delle pronunce di illegittimità costituzionale ai rapporti in corso – conseguente al postulato secondo cui l’illegittimità costituzionale non è una forma di abrogazione, ma una conseguenza dell’invalidità della legge, che ne comporta l’efficacia retroattiva anche alle fattispecie anteriori alla pronuncia di incostituzionalità – va coordinata con i principi enunciati dall’art. 136 Cost. e dalla L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 30, nonché con le regole che disciplinano il definitivo consolidamento dei rapporti giuridici e il graduale formarsi del giudicato e delle preclusioni nell’ambito del processo, secondo le quali l’efficacia della pronuncia di incostituzionalità trova ostacolo nei rapporti esauriti in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento cui l’ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo (Cass., Sez. I, 14 novembre 2003, n. 17184; Cass., Sez. U., 26 giugno 2003, n. 10163; Cass., Sez. U., 19 novembre 2001, n. 14541). Ne consegue che la questione degli effetti dell’illegittimità costituzionale del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 24, conseguente alla pronuncia della sentenza della Corte costituzionale del 17 marzo 2015, n. 37, e della dedotta illegittimità dell’avviso di accertamento in quanto non sottoscritto dal capo dell’Ufficio emittente o da un impiegato della carriera direttiva validamente delegato, non può trovare ingresso nel presente giudizio di legittimità in quanto questione nuova, mai trattata nel corso del giudizio di merito.

4. Gli ulteriori motivi, possono essere esaminati congiuntamente (come, del resto, illustra parte ricorrente nella memoria depositata), in quanto ruotano tutti attorno alla questione della natura, perentoria o meno, del termine entro cui debba essere effettuato il versamento della “prima rata” dell’imposta sostitutiva di cui alla L. n. 448 del 2001, art. 7, in caso di opzione per il versamento rateale, come avvenuto nella specie.

I motivi sono infondati. Dispone la L. n. 448 del 2001, art. 7, comma 2, che “l’imposta sostitutiva di cui al comma 1 è pari al 4 per cento del valore determinato a norma del comma 1 ed è versata, con le modalità previste dal D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, capo III, entro il 16 dicembre 2002”. Il successivo comma 3 del medesimo articolo dispone che “l’imposta sostitutiva può essere rateizzata fino ad un massimo di tre rate annuali di pari importo, a partire dalla predetta data del 16 dicembre 2002. Sull’importo delle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi nella misura del 3 per cento annuo, da versarsi contestualmente a ciascuna rata”.

5. La formulazione della disposizione relativa alla rateizzazione è solo in apparenza diversa da quella relativa al versamento in unica soluzione (per quanto qui rileva), nella parte in cui sostituisce la formulazione “entro il 16 dicembre 2002” con quella “a partire dalla predetta data del 16 dicembre 2002”. La diversa formulazione apparirebbe decisiva ove il legislatore prevedesse, per il pagamento rateale, il versamento di interessi anche in relazione alla prima rata, per cui il tardivo versamento della prima rata verrebbe compensato dal pagamento degli interessi. Diversamente, il legislatore ha previsto che, in caso di versamento rateale, solo il versamento delle rate successive alla prima sia accompagnato dal pagamento di interessi (“sull’importo delle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi nella misura del 3 per cento annuo, da versarsi contestualmente a ciascuna rata”). Non essendo previsto in alcun modo il pagamento di interessi in relazione alla rata iniziale, deve ritenersi che il legislatore non abbia previsto in relazione al versamento della prima rata un termine diverso rispetto a quello indicato per il precedente comma in caso di versamento integrale. Secondo tale interpretazione, deve ritenersi che il termine del pagamento della prima rata (in caso di versamento rateale), come anche del versamento integrale, sia costituito dal termine indicato dalla legge quale termine finale per l’adempimento.

6. Tali norme sono state modificate successivamente, ma unicamente in relazione al giorno di scadenza del termine finale di adempimento, che è stato via via differito. Dapprima, difatti, il D.L. 24 dicembre 2002, n. 282, art. 2, comma 2, ha previsto che le disposizioni della L. n. 448 del 2001, art. 7, “possono essere rateizzate fino ad un massimo di tre rate annuali di pari importo, a decorrere dalla data del 16 maggio 2003; sull’importo delle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi nella misura del 3 per cento annuo, da versarsi contestualmente”, lasciando immutata la previsione del versamento di interessi sulle rate successive alla prima. Identica è rimasta la formulazione della norma per effetto del successivo D.L. 30 settembre 2003, n. 269, salvo che per il termine di adempimento, con particolare riferimento all’obbligazione degli interessi (“sull’importo delle rate successive alla prima”: D.L. 24 dicembre 2003, n. 355, art. 6-bis; L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1; D.L. 30 settembre 2005 n. 203, art. 11-quaterdecies, quanto ai termini applicabili pro tempore). Quest’ultima norma ha, poi, indicato nella data del 30 giugno 2006 la data di versamento integrale dell’imposta, ovvero della prima rata in caso di versamento rateale (“Le imposte sostitutive possono essere rateizzate fino ad un massimo di tre rate annuali di pari importo, a decorrere dalla data del 30 giugno 2006, sull’importo delle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi nella misura del 3 per cento annuo, da versarsi contestualmente”).

6. Deve, pertanto, ritenersi che in caso di versamento rateale, la prima rata dell’imposta sostitutiva si sarebbe dovuta corrispondere, a dispetto della apparente formulazione della norma, entro la data del 30 giugno 2006, per cui il versamento del 7 luglio 2006, come ritenuto in sentenza, deve ritenersi tardivo, costituendo il termine di cui al D.L. n. 203 del 2005, art. 11-quaterdecies, dies ad quem avente natura perentoria. Ne’ è sostenibile l’interpretazione secondo cui il termine sarebbe un mero termine iniziale (dies a quo), in quanto, come correttamente ritenuto dalla sentenza impugnata, tale interpretazione “finisce per rendere del tutto indeterminata la decorrenza della prima rata, rimettendo, così come osservato dal giudice di prime cure, all’assoluto arbitrio del debitore l’adempimento del debito” e non termine iniziale per l’adempimento.

7. Deve, quindi, darsi continuità all’orientamento già fatto proprio da questa Corte, secondo cui la L. n. 448 del 2001, art. 7, costituisce disciplina derogatoria del sistema ordinario di determinazione della plusvalenza tassabile, per la cui operatività occorre (per quanto qui ha rilievo) il tempestivo versamento dell’imposta sostitutiva nei termini di legge, in mancanza del quale non sussistono le condizioni di operatività della disciplina derogatoria rispetto al regime generale di determinazione delle plusvalenze (Cass., Sez. V, 10 novembre 2017, n. 26636; Cass., sez. VI, 14 gennaio 2015, n. 541). Le argomentazioni contenute in memoria non aggiungono ulteriori utili argomenti di discussione. La sentenza impugnata ha, pertanto, fatto corretta applicazione dei suddetti principi.

8. Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo, oltre al raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, che liquida in complessivi Euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2022

 

 

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