Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6937 del 23/03/2010

Cassazione civile sez. III, 23/03/2010, (ud. 20/01/2010, dep. 23/03/2010), n.6937

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SENESE Salvatore – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

S.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA PO 24, presso lo studio dell’avvocato GENTILI AURELIO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SICCHIERO GIANLUCA

con delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO TRIBUNALE PADOVA, CONSIGLIO O

COLLEGIO NOTARILE DISTRETTO PADOVA, PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA

PRESSO CORTE APPELLO VENEZIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 22/2009 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

Prima Sezione Civile, emessa il 9/04/2009; depositata il 22/04/2009;

R.G.N. 1234/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/01/2010 dal Consigliere Dott. FRASCA Raffaele;

udito l’Avvocato GIANLUCA SICCHIERO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele, che si riporta alla relazione del Relatore.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

quanto segue:

1. Il notaio S.G. ha proposto ricorso per Cassazione ai sensi della L. n. 89 del 1913, art. 156, comma 2 (nel testo anteriore alla sostituzione disposta dal D.Lgs. n. 249 del 2006) avverso la sentenza del 22 aprile 2009, notificatagli il 29 aprile successivo, con la quale la Corte d’Appello di Venezia ha rigettato l’appello da lui proposto avverso la sentenza del 13 ottobre 2008, con cui il Tribunale di Padova, investito dal Procuratore della Repubblica presso quel Tribunale in data 21 dicembre 2006 – ai sensi della L. n. 89 del 1913, art. 152, nel testo anteriore alla sostituzione operata dal D.Lgs. n. 249 del 2006, art. 38 – di una richiesta di applicazione di sanzione disciplinare per una violazione della L. n. 89 del 1913, art. 26, comma 1 gli aveva comminato la sanzione di Euro 1,50, disattendendo le sue difese.

Il ricorso prospetta sette motivi e, in chiusura chiede comunque l’applicazione, anche d’ufficio della prescrizione in riferimento a parte del periodo cui si riferirebbe la sanzione.

2. Al ricorso, notificato al Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Venezia, a quello presso il Tribunale di Padova ed al consiglio Notarile di Padova, nessuno degli intimati ha resistito.

3. Essendo il ricorso soggetto alla disciplina delle modifiche al processo di cassazione, disposte dal D.Lgs. n. 40 del 2006, che si applicano ai ricorsi proposti contro le sentenze ed i provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006 compreso, cioe’ dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. (D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2), si sono ravvisate le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380 bis c.p.c. e si e’ redatta relazione ai sensi di tale norma, che e’ stata notificata alla parte ricorrente e comunicata al Pubblico Ministero presso la Corte.

Parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

quanto segue:

1. Nella relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. si sono svolte i rilievi che di seguito di riportano:

“… 3. – Il ricorso appare inammissibile.

Esso, infatti, non rispetta il requisito di ammissibilita’ previsto dall’art. 366 c.p.c., n. 6.

Questa norma prevede che il ricorso per Cassazione debba contenere la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti collettivi sui quali il ricorso si fonda. La giurisprudenza della Corte ha chiarito che tra i contenuti nei quali si deve esprimere l’onere di indicazione specifica rientra anche l’individuazione della sede processuale nella quale l’atto o il documento in sede di legittimita’ e’ esaminabile, in quanto vi sia stata prodotto ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (che prescrive il diverso onere di produzione a pena di improcedibilita’).

Si vedano, ormai ex multis: per i documenti Cass. sez. un . n. 28547 del 2008; Cas. (ord.) n. 22303 del 2008; per gli atti processuali, particolarmente per la consulenza tecnica: Cass. n. 26266 del 2008.

Ora, il ricorso, con riferimento a tutti i sette motivi che propone si fonda sul contenuto della richiesta di applicazione della sanzione disciplinare del 22 dicembre 2006, a seguito della quale si diede corso al giudizio disciplinare in primo grado. Di tale richiesta riporta il tenore, com’e’ implicato dalla previsione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, ma non indica la sede nella quale tale atto processuale di inizio dell’azione disciplinare da parte del Pubblico Ministero sarebbe esaminabile dalla Corte, in quanto eventualmente prodotto in questa sede evidentemente in copia – dallo stesso ricorrente oppure in quanto risulti inserito nel fascicolo d’appello che si dice prodotto in chiusura del ricorso oppure in quanto presente in alcuno dei fascicoli d’ufficio dei gradi di merito che, a seguito di istanza ai sensi dell’art. 369 c.p.c. dello stesso ricorrente, risultano pervenuti.

Le dette indicazioni sono parte necessaria del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, siccome ha ampiamente spiegato la giurisprudenza della Corte.

Ne segue che l’inosservanza della norma sembra dover comportare l’inammissibilita’ del ricorso.

Va rilevato, inoltre, che la sollecitazione all’applicazione della prescrizione parziale si fonda anch’essa sull’atto processuale di cui si e’ detto (comunque, anche se non vi si fondasse, il che non e’, la prescrizione non potrebbe rilevarsi, stante l’inammissibilita’ dei ricorso quanto ai motivi su cui si fonda: si veda Cass. (ord.) n. 24350 del 2008; Cass. (ord.) n. 23668 del 2008).

4. – Peraltro, in relazione al terzo e al sesto motivo sarebbe inosservato anche l’at. 366 bis c.p.c., tanto quanto al necessario quesito di diritto, quanto riguardo al momento di sintesi esplicativo della ed. chiara indicazione relativamente alla censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (ammissibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., u.c.).

In riferimento al quarto motivo il quesito apparirebbe astratto e, quindi, il motivo inammissibile ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.”.

2. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione: esse non sono in alcun modo incrinate dalle ragioni esposte ampiamente dal ricorrente nella memoria.

In particolare, in ordine ad esse ed alle argomentazioni svolte in sede di audizione nell’adunanza dal difensore del ricorrente, si osserva:

a) non e’ fondato l’assunto che i motivi n. 4, 5 e 6 non si fondino sul contenuto della richiesta di applicazione della sanzione del 22 dicembre 2006, rispettivamente perche’ riguarderebbero la qualificazione della sanzione disciplinare inflitta dal tribunale e non l’incolpazione di cui a detta richiesta, il non essere emerso da nessun atto del processo il numero dei giorni di assenza, l’omessa motivazione in ordine ai fatti che hanno condotto alla determinazione della sanzione: e’ sufficiente osservare che il “fondarsi” sul contenuto dell’atto di incolpazione non e’ individuato dalla circostanza che i detti motivi discutano in ordine al suo contenuto, bensi’ sul fatto che pongano questioni per lo scrutinio delle quali quel contenuto e’ rilevante. Al riguardo, non e’ dato comprendere come l’incolpazione possa non essere rilevante ai fini della qualificazione della sanzione: e’ sufficiente osservare che solo riscontrandola sarebbe possibile apprezzare l’ipotetico rilievo da darsi alla mancata emersione dei giorni di assenza, tenuto conto della loro eventuale distribuzione nel tempo, ai fini dell’apprezzamento della motivazione della decisione impugnata in parte qua;

b) inesattamente nella memoria si lamenta che quanto ai motivi n. 3 e 6 si sarebbe addebitata al ricorrente la mancata formulazione del quesito di diritto: l’omissione riguarda il momento di sintesi espressivo della c.d. “chiara indicazione”, cui alludeva l’art. 366 bis c.p.c. (in termini, si veda Cass. sez. un. n. 20603 del 2007, fra le tante);

c) il ricorrente – lo si nota peraltro superfluamente, atteso che sussiste l’altra ragione di inammissibilita’ – non ha ragione di dolersi che il quesito di cui al motivo n. 4 sia stato ritenuto astratto, atteso che l’astrattezza si coglie sotto il profilo che non e’ detto in alcun modo come l’errore di qualificazione abbia inciso sulla soluzione data al giudizio disciplinare, onde la risposta al quesito non appare ex ante rilevante ai fini dell’esame della correttezza della decisione impugnata e pone un interrogativo del tutto astratto: sapere se l’art. 137 preveda non una “ammenda”, bensi’ una “pena pecuniaria” e’ questione che interessa come tale solo lo studioso delle norme, mentre ai fini della enunciazione di un quesito pertinente e conclusivo rispetto al motivo in riferimento alla decisione, sarebbe stato necessario precisare succintamente come e perche’ il riferimento alla “ammenda” abbia determinato una violazione delle norme indicate come violate nella intestazione del motivo (cio’, si osserva non senza doversi rilevare che l’art. 137 e’ stato sostituito dal D.Lgs. n. 249 del 2006 e nella specie, tuttavia, trovava applicazione, ai sensi dell’art. 54, comma 2, nel testo anteriore, che formalmente parlava di “ammenda”, espressione che conservava piena legittimita’, giusta la L. n. 689 del 1981, art. 12 e, riguardo al cui significato puo’ rinviarsi a Cass. sez. un. n. 6378 del 1983);

d) inesattamente il ricorrente sostiene che nel ricorso, dopo la trascrizione del contenuto dell’atto di incolpazione, quanto trascritto risulta anche nella sentenza impugnata, che si e’ inserita in copia fotostatica nello stesso ricorso: tale trascrizione e’ soltanto parziale (si vedano le pagine tre e sei della sentenza);

e) in ogni caso, se anche la trascrizione fosse stata coincidente, la circostanza non avrebbe alcun rilievo ai fini dell’osservanza del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, il quale, imponendo di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda, tra i contenuti dell’onere di specificazione al riguardo (posto che un atto processuale, quale realta’ che e’ parte del processo e’ necessariamente rappresentato in un’attivita’ di documentazione relativa allo svolgimento processale, in tanto e’ percepibile da chi debba esaminarlo in quanto si specifichi anche dove nella sequenza processuale in cui l’esame deve avvenire, sarebbe esaminabile) implica anche che si debba individuare dove il ricorrente asserisce esaminabile dalla Corte di cassazione l’atto di cui si tratta, dove cioe’ nella sequenza di documentazione dello svolgimento del processo nel suo complesso, in quanto pervenuta presso la Corte, ne sarebbe possibile l’esame;

f) e’ onere del ricorrente, dunque, precisare se l’atto processuale si intenda da esaminarsi in Cassazione nell’ambito del fascicolo d’ufficio del giudizio in cui e’ stata emessa la sentenza impugnata, in quanto della sua trasmissione si sia fatta richiesta e pervenga, oppure in quanto direttamente prodotto, evidentemente in copia, nella documentazione prodotta in una con il ricorso per Cassazione;

g) ne’ la detta implicazione dell’onere di indicazione specifica degli atti processuali si potrebbe escludere ipotizzando l’esistenza del potere della Corte di supplire alle omissioni di indicazioni volte ad individuarli: di tale potere non solo vanamente si cercherebbe la fonte nel tessuto normativo della disciplina del ricorso per Cassazione, pur integrato con le norme del libro primo del c.p.c., ma essa appare anche implicitamente negata dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, che onera la parte ricorrente in cassazione, a pena di improcedibilita’, della produzione anche degli atti processuali su cui il ricorso si fonda, cosi’ evidenziando la sussistenza del dovere del ricorrente di produrre anche tali atti, eventualmente in copia se gli originali siano atti del fascicolo d’ufficio del giudice a quo. E cio’, ancorche’ sia previsto in via autonoma l’onere di richiedere la trasmissione di detto fascicolo, adempimento nel quale, evidentemente, il ricorrente non puo’ fare automatico affidamento quando il ricorso si fondi su atti processuali che dovrebbero essere inseriti nel fascicolo d’ufficio. Il che si spiega sia con il fatto che tale fascicolo, pur richiesto, potrebbe non pervenire in tempo utile per la trattazione (ed un rinvio di essa per l’acquisizione mal si concilierebbe con il ricordato principio costituzionale), sia con il fatto che potrebbe non essere stato tenuto correttamente o potrebbe non contenere piu’ l’atto processuale;

h) d’altro canto, l’onere di specificazione nei sensi indicati, deve essere assolto con il ricorso e deve risultare soddisfatto esclusivamente per il suo tramite, onde la enunciazione svolta dal ricorrente nella memoria nel senso che l’atto di cui si discorre era stato prodotto come documento n. 1 in primo grado ed esisterebbe in atti, e’ inidonea a soddisfare a posteriori il requisito di ammissibilita’, il quale, del resto, non puo’ essere soddisfatto se non dal ricorso, cio’ che rende irrilevante l’assunto del ricorrente che dell’atto di cui trattasi discorre la sentenza impugnata: l’esame di questa viene dopo che il ricorso, sulla base del suo solo contenuto, abbia superato la soglia di ammissibilita’ discendente dalla previsione dei requisiti di contenuto forma, che, proprio in quanto richiesti a pena di ammissibilita’, non possono risultare attraverso l’integrazione di altri atti e meno che mai attraverso un’attivita’ istruttoria della Corte di investigazione nel fascicolo formato presso di essa;

i) e’ poi da precisare che, trattandosi di un atto processuale, precisamente dell’atto di inizio del processo, esso doveva essere presente nel fascicolo d’ufficio del giudizio di primo grado e, poiche’ non e’ stato allegato in alcun modo che quel fascicolo fosse stata acquisito al giudizio di appello ed inserito nel fascicolo d’ufficio di quest’ultimo, e’ del tutto vano sostenere, come fa il ricorrente, che, se il processo ha avuto inizio, l’atto doveva esserci ed e’ stato oggetto di giudizio: il punto e’ che, in base all’art. 366 c.p.c., n. 6 la Corte di Cassazione dev’essere messa in grado sulla base del solo ricorso di percepire dove l’atto processuale su cui il ricorso si fonda il ricorrente alleghi che puo’ essere esaminato e, quindi, dove risulti prodotto in sede di legittimita’ (e cio’ prima che si ponga il problema della procedibilita’ connessa all’effettiva produzione ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, gia’ citato).

3. Il ricorso e’, dunque, dichiarato inammissibile, in quanto la valutazione di inammissibilita’ prospettata con la relazione dev’essere confermata.

Il Collegio ritiene opportuno, inoltre, rilevare che la sollecitazione alla rimessione in pubblica udienza della trattazione del ricorso sarebbe stata comunque inaccoglibile, posto che il procedimento in cassazione riguardo al giudizio disciplinare notarile, sia nel regime anteriore al D.Lgs. n. 249 del 2006, sia in quello successivo, e’ la camera di consiglio e semmai, dopo il D.Lgs. n. 40 del 2006, essendovi due specie di procedimento in Camera di consiglio, si tratta di individuare quella “normale”, che sembra essere quella di cui all’art. 380 ter c.p.c. A tale conclusione si deve pervenire, perche’ il giudizio disciplinare in discorso e’ a decisione necessaria in Camera di consiglio e, quindi, e’ in primis riconducibile a quella norma, che appunto disciplina il modo di trattazione “normale” di due giudizi (regolamento di giurisdizione e regolamento di competenza) a decisione necessaria in Camera di consiglio, laddove il procedimento di ci all’art. 380 bis c.p.c. e’ meramente eventuale.

Nulla per le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 20 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2010

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