Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6936 del 25/03/2011

Cassazione civile sez. trib., 25/03/2011, (ud. 03/02/2011, dep. 25/03/2011), n.6936

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 33329/2006 proposto da:

L.E., B.A., elettivamente domiciliati in ROMA

VIA DELLA GIULIANA 32 presso lo studio dell’avvocato FISCHIONI

Giuseppe, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

FERRAJOLI LUIGI, giusta delega a margine;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimati –

sul ricorso 33331/2006 proposto da:

ALCE DI ENRICO LUCINI & ANGELA BIANCHI SNC, in persona dei

soci

amministratori pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA

DELLA GIULIANA 32 presso lo studio dell’avvocato FISCHIONI GIUSEPPE,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FERRAJOLI LUIGI,

giusta delega a margine;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 48-49/2006 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 08/06/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

03/02/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato FISCHIONI GIUSEPPE, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

1. Con sentenza n. 49/8/06, notificata il 4.10.06, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto da B.A. e L.E. avverso la decisione di prime cure, con la quale era stato solo parzialmente rideterminato a favore dei contribuenti il reddito ai fini Irpef per l’anno 1995, in conseguenza dell’avviso di accertamento notificato loro dall’Agenzia delle Entrate, e relativo alla partecipazione dei medesimi alla società A.L.C.E. s.n.c..

Tale accertamento a carico dei singoli soci conseguiva, peraltro, alla rettifica del reddito dichiarato dalla società A.L.C.E. s.n.c., effettuata dall’Agenzia delle Entrate con separato avviso di accertamento, nel quale venivano contestate alla società indebite deduzioni di costi e spese, nonchè l’omessa dichiarazione di proventi nell’ambito di un’operazione di cessione d’azienda.

1.1. Il giudice di appello – condividendo le argomentazioni del primo giudice – riteneva non deducibili dal reddito di impresa i costi per la manutenzione straordinaria dell’immobile locato ed adibito ad opificio, e condivideva la valutazione della plusvalenza realizzata con la cessione dell’azienda, effettuata dall’Ufficio sulla base dell’incremento di valore dei macchinari e delle attrezzature conseguenti all’installazione di un impianto elettrico, e ad altri lavori eseguiti dai contribuenti nell’immobile.

2. Con sentenza n. 48/8/06, notificata il 4.10.06, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia rigettava l’appello proposto dalla A.L.C.E. di Enrico Lucini e Angela Bianchi s.n.c. avverso la decisione di prime cure, con la quale era stato solo parzialmente rideterminato a favore della contribuente il reddito societario per l’anno 1995, in conseguenza del suindicato avviso di accertamento, notificato alla società dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Abbiategrasso.

2.1. La società proponeva le medesime censure mosse dai soci avverso la decisione di primo grado concernente gli avvisi di accertamento notificati nei loro confronti, e la Commissione Tributaria Regionale le disattendeva sulla base delle identiche argomentazioni contenute nella sentenza n. 49/8/06, emessa nel giudizio instaurato dai soci L.E. e B.A..

3. Per la cassazione delle sentenze nn. 49/8/06 e 48/8/06 hanno proposto ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia delle Entrate, rispettivamente, L. E. e B.A. (ricorso n. 33329/06) e la A.L.C.E. s.n.c. (ricorso n. 33331/06), articolando tre motivi. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

1. Deve procedersi, in via pregiudiziale, alla riunione dei ricorsi nn. 33329/06 e 33331/06, ai sensi dell’art. 274 c.p.c., attesa la loro evidente connessione oggettiva e parzialmente soggettiva.

1.1. Osserva, invero, la Corte che l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi della società di persone e di quelle dei singoli soci e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed a prescindere dalla percezione degli stessi (D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5), comporta, in linea di principio, la configurabilità di un litisconsorzio necessario tra tutti i soggetti (società e tutti i soci) ai quali il suddetto accertamento si riferisce.

Ed invero, qualora sia proposto ricorso tributario anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società, la controversia – salvo il caso in cui i soci prospettino questioni personali – non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato. Per il che, il giudice investito dal ricorso proposto da uno (o da alcuni) soltanto dei soggetti interessati deve procedere all’integrazione del contraddittorio, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, pena la nullità assoluta del giudizio celebratosi senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari, rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento (cfr. Cass. S.U. 14815/08).

1.2. Tuttavia, a diversa conclusione deve pervenirsi, ad avviso della Corte, nell’ipotesi in cui siano stati incardinati simultaneamente diversi giudizi di merito relativi, rispettivamente, alla rettifica del reddito di una società di persone ed alla conseguente automatica imputazione dei redditi stessi a ciascun socio, qualora tali giudizi si fondino su identiche difese e vengano trattati contemporaneamente.

Invero, laddove detti procedimenti, ancorchè celebratisi separatamente, siano stati esaminati dallo stesso giudice in maniera coordinata, e decisi con un’identica motivazione, si che debba escludersi il rischio di un contrasto tra giudicati, la Corte di Cassazione ben può procedere alla riunione dei giudizi per connessione oggettiva ex art. 274 c.p.c., anzichè pronunciare l’annullamento delle sentenze di merito, dovendo ritenersi in tal modo rispettata la suindicata ratio del litisconsorzio necessario tra tutti i soggetti interessati (Cass. 2907/10).

D’altro canto, la ricomposizione dell’unicità della causa attua il diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (art. 111 Cost., artt. 6 e 13 CEDU), evitando che la declaratoria di nullità e il conseguente rinvio al giudice di merito si traducano in un inutile dispendio di energie processuali per conseguire l’osservanza di formalità superflue, poichè non giustificate dall’esigenza di garantire il rispetto del principio del contraddittorio (Cass. 3830/10), di fatto assicurato dalla pluralità di identici giudizi incardinati simultaneamente da tutti i soggetti interessati.

1.3. Nel caso di specie, va rilevato che sia la società A.L.C.E. s.n.c., sia i soci L.E. e B.A. hanno instaurato separati, ma simultanei, ricorsi avverso i rispettivi avvisi di accertamento in rettifica, trattati in maniera coordinata dai giudici di merito – come si evince anche dal richiamo espresso operato nella sentenza di appello n. 49/8/06 al diverso procedimento contestualmente esaminato – e decisi contemporaneamente, e con motivazione identica. Ne discende – in forza dei rilievi che precedono – che i due ricorsi per cassazione proposti, rispettivamente, dalla società e dai soci che la compongono, devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 274 c.p.c..

2. Premesso quanto precede, e passando all’esame dei motivi di ricorso, rileva la Corte che, con il primo motivo, gli istanti deducono la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 5 e art. 74, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

2.1. L’impugnata sentenza avrebbe, invero, illegittimamente escluso – ad avviso dei ricorrenti – la deducibilità, dal reddito della società e dei soci, dei costi di manutenzione straordinaria dell’immobile locato, ritenuti non inerenti all’impresa in quanto di proprietà di terzi. Il giudice di appello avrebbe, in tal modo, – a parere degli istanti – omesso di considerare che tali spese inerivano comunque a beni strumentali all’esercizio dell’impresa, come tali correlati ad un’attività potenzialmente idonea a produrre utili, e pertanto rilevanti ai fini della qualificazione della base imponibile.

2.2. Il motivo è infondato e va disatteso.

Osserva, invero, la Corte che ai fini della determinazione del reddito societario, l’inerenza all’attività di impresa delle singole spese e dei costi affrontati, elemento indispensabile per ottenerne la deduzione ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 5 (nel testo temporalmente applicabile alla fattispecie, ora art. 109 dello stesso D.P.R.), postula la correlazione tra la spesa o il costo sostenuti e l’esercizio effettivo dell’attività economica dell’imprenditore. E’, cioè, necessario che il bene, sul quale sono effettuati gli interventi migliorativi, sia normalmente destinato dal contribuente all’esercizio di un’attività potenzialmente idonea a produrre utili.

Ebbene, ad avviso della Corte, siffatta situazione non è ravvisabile nell’ipotesi – ricorrente nella specie – in cui vengano in considerazione miglioramenti apportati all’immobile condotto in locazione dal contribuente, mediante spese di manutenzione straordinaria, atteso che, in tal caso, il beneficiario ultimo delle opere era – e rimane – esclusivamente il locatore (conf. Cass. 2939/06, sia pure con riferimento all’IVA).

D’altro canto, va considerato, al riguardo, che i principi normativi che regolano il contratto di locazione (artt. 1576, 1609 e 1621 c.c.) prevedono che le riparazioni straordinarie rimangono a carico del locatore, sicchè il conduttore ben può ottenerne, da quest’ultimo, il rimborso.

In definitiva, dunque, non essendo il costo dei lavori straordinari di competenza della società conduttrice, lo stesso non può considerarsi deducibile dal reddito della ALCE s.n.c., e – di conseguenza – da quello dei soci L. e B..

3. Con il secondo motivo di ricorso, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, comma 2 e art. 54.

3.1. Il giudice di appello avrebbe, invero, errato – ad avviso degli istanti – a ritenere corretta la rettifica, operata dall’Ufficio finanziario alla stregua del criterio del “valore normale”, del corrispettivo della cessione dell’azienda effettuata dalla società A.L.C.E. s.n.c. nell’anno 1995.

Ed invero, siffatto criterio è applicabile solo quando il corrispettivo della cessione è determinato in natura, e viene, pertanto, “valutato in base al valore normale dei beni e dei servizi da cui è costituito”, laddove nel caso di specie il corrispettivo è stato determinato in denaro. L’impugnata sentenza avrebbe, inoltre, violato – a detta dei ricorrenti – il disposto del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 54, che attribuisce rilievo alla plusvalenza derivante dalla cessione di azienda considerata nel suo complesso, mentre, nel caso concreto il giudice di appello si sarebbe limitato a rettificare il valore attribuito a singoli beni aziendali.

3.2. Anche questo motivo è del tutto infondato e va, pertanto, rigettato.

La Commissione Tributaria Regionale non ha, invero, fatto riferimento alcuno al “valore normale” dei beni e servizi quale corrispettivo della cessione, ma ha – del tutto correttamente – tenuto conto dei lavori per l’installazione dell’impianto elettrico e degli altri interventi eseguiti negli immobili adibiti ad opificio, al fine di inferirne la plusvalenza realizzata dai contribuenti nella cessione dell’azienda, considerata nel suo complesso.

E tale procedimento è da ritenersi pienamente condivisibile, nonchè giuridicamente corretto, atteso che la plusvalenza realizzata nell’ambito di un’impresa, ai fini dell’imposta sul reddito, va determinata sulla base della differenza realizzata tra il prezzo di acquisto dell’azienda ed il corrispettivo della successiva cessione della stessa (cfr. Cass. 19548/05). Epperò è di tutta evidenza che tale differenza non può che essere la risultante degli incrementi di valore apportati ai singoli beni dal contribuente nel tempo, e del surplus di valore che ne è derivato all’azienda considerata nel suo complesso.

4. Con il terzo motivo di ricorso, la A.L.C.E. s.n.c. ed i soci L. e B., deducono l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

4.1. Il motivo è inammissibile per omessa formulazione del quesito di diritto che, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (temporalmente applicabile alla fattispecie concreta), deve concludere l’illustrazione di ogni singolo motivo di ricorso (cfr. Cass. S.U. 5624/09).

5. Per tutte le ragioni suesposte, pertanto, il ricorso proposto dalla società A.L.C.E. s.n.c., da L.E. e da B. A. non può che essere integralmente rigettato.

6. Nulla per le spese, attesa la mancata costituzione degli intimati.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE riunito il ricorso n. 33331/06 al ricorso n. 33329/06, li rigetta entrambi; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 3 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2011

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