Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6936 del 08/04/2016


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 6936 Anno 2016
Presidente: MAZZACANE VINCENZO
Relatore: GIUSTI ALBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CASTELLANO Mario, CASTELLANO Maria Laura, CASTELLANO Alessandra, rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a
margine del ricorso, dall’Avv. Settimi° di Salvo, con domicilio eletto nello studio dell’Avv. Michele Conte in Roma, via
Ennio Quirino Visconti, n. 99;
– ricorrenti contro
CONTESSO Adele Maria, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Mario
Salvi, con domicilio eletto nello studio dell’Avv. Domenico Di
Falco in Roma, via Donatello, n. 75;
contrari corrente –

Data pubblicazione: 08/04/2016

e nei confronti di
RUSSO Luciano, CASTELLANO Licia, CASTELLANO Carlo, ANGRISANO
Maria Pia, CASTELLANO Lucia, CASTELLANO Carolina, CASTELLANO
Guido;

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n.
3288/2010 in data 7 ottobre 2010.
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica
del 10 marzo 2016 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;
uditi

gli Avv. Settimio di Salvo e Ferdinando Bosco,

quest’ultimo per delega dell’Avv. Mario Salvi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Pro-

curatore Generale dott. Carmelo Sgroi, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.
Ritenuto in

fatto

l. – Con atto di citazione notificato in data 17 febbraio
1995, i germani Mario Castellano e Maria Laura Castellano
(successivamente interverrà a loro fianco anche l’altra germana Alessandra Castellano) convenivano in giudizio innanzi al
Tribunale di Napoli i coniugi Giorgio Castellano e Maria Adele
Contesso, esponendo:
– che essi istanti (quali eredi di Gianni Castellano) erano
comproprietari della terza parte di un immobile denomina-

– 2 –

– intimati –

to villa Parisi, sito in Sorrento, via Nastro Verde, nn.
2/4;
che detto immobile apparteneva per un altro 1/3 a Giorgio
Castellano (zio di essi istanti) ed alla di lui moglie

Ugo Castellano (il coniuge Maria Pia Angrisano ed i figli
Lucia, Carolina e Guido Castellano);
– che i predetti comproprietari in data 19 gennaio 1991 avevano stipulato un preliminare di divisione della villa,
secondo il quale agli eredi di Ugo Castellano andava il
piano terra della stessa, agli istanti (eredi di Gianni
Castellano) andava il primo piano e a Giorgio Castellano
andava il secondo piano, ivi inclusi i sottotetti;
– che in detto preliminare di divisione il secondo piano era
individuato come un unico appartamento con annesso il
sottotetto che si trovava allo stato rustico e non abitabile;
– che con atto per notar Scardacchione del 31 dicembre 1991
le parti addivenivano alla divisione definitiva: in essa,
però, il secondo piano non veniva più descritto come un
unico appartamento, bensì (in virtù di variazione catastale di soli dieci giorni prima) era indicato come tre
distinti appartamenti, ciascuno articolato su due livelli
mercé l’incorporazione e la trasformazione del sovrastante sottotetto;

3

Maria Adele Contessa e per il restante 1/3 agli eredi di

- che in realtà tale trasformazione del secondo piano sarebbe avvenuta solo in seguito, nel mentre la situazione dei
luoghi corrispondeva a quella di cui al preliminare;
che tale descrizione dei luoghi difforme dalla realtà fu

della divisione”): questi, approfittando della sua età e
della autorevolezza nei confronti dei nipoti, ebbe ad invitare questi ultimi “a sottoscrivere l’atto nel testo
già predisposto e ben diverso dal contratto preliminare”;
– che per tali motivi la cennata divisione era viziata da
errore o comunque da dolo; inoltre il rogito notarile di
divisione era affetto da nullità anche a norma dell’art.
17 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia
di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) perché
mancante della dichiarazione degli estremi della concessione;
– che infine Giorgio Castellano e Maria Adele Contesso, realizzando le opere in questione, avevano compromesso la
statica e l’estetica dell’edificio.
Gli attori chiedevano annullarsi la divisione per errore e
dolo e, in subordine, instavano per la declaratoria di nullità
della divisione per violazione dell’art. 17 della

legge n. 47

del 1985; domandavano che, nell’uno e nell’altro caso, si procedesse alla divisione giudiziale. Domandavano inoltre la con-

– 4 –

opera di Giorgio Castellano (“che si era reso promotore

danna dei convenuti al ripristino dello

status quo

ante ed

all’eliminazione delle opere realizzate abusivamente.
Si costituivano Giorgio Castellano e Maria Adele Contesso,
che instavano per il rigetto della domanda chiedendo la con-

Il contraddittorio veniva integrato nei confronti degli
eredi di Ugo Castellano, che rimanevano contumaci, nonché nei
confronti di Luciano Russo, che nelle more aveva acquistato il
secondo piano dai coniugi Castellano-Contesso. Quest’ultimo si
costituiva instando per il rigetto della domanda attorea.
Dopo l’espletamento di c.t.u., a seguito di decesso di
Giorgio Castellano il processo veniva interrotto e riassunto
ad opera degli attori nei confronti degli eredi.
Con sentenza in data 15 marzo 2005 il Tribunale di Napoli
rigettava tutte le domande, compensando per intero le spese
del giudizio.
2. – La Corte d’appello di Napoli, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 7 ottobre 2010, ha
rigettato il gravame interposto da Mario Castellano, Maria
Laura Castellano e Alessandra Castellano, confermando
l’impugnata pronuncia.
2.1. – Quanto all’annullabilità per errore o dolo del contratto di divisione, la Corte territoriale – premesso che gli
stessi attori deducono che nel preliminare di divisione del
gennaio 1991 vi era la corretta rappresentazione dello stato

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danna degli attori ex art. 96 cod. proc. civ.

di fatto (sottotetti al grezzo e non abitabili), non avvenuta
poi nella successiva divisione – osserva che “gli attori non
potevano ignorare al momento della divisione definitiva che lo
stato dei sottotetti non era affatto mutato rispetto ad undici

Secondo la Corte del gravame, si è al di fuori
dell’ipotesi dell’errore o del dolo, essendosi di fronte, non
ad un vizio del consenso determinato da falsa rappresentazione
della realtà, bensì ad una falsa affermazione contenuta negli
atti di divisione, di cui gli istanti erano perfettamente a
conoscenza, non essendo rilevanti “le future intenzioni di
Giorgio Castellano di realizzare tre appartamenti, pur se già
‘anticipate’ con le false dichiarazioni nell’atto di divisione”. E d’altra parte sussiste la carenza di interesse ad agire
in annullamento della divisione da parte degli attori: posto
che gli istanti non impugnano affatto il preliminare di divisione e nell’eventuale ipotesi di accoglimento della loro domanda occorrerebbe dare esecuzione a quel preliminare e, conseguentemente, attribuire ai coniugi Castellano-Contesso sempre il secondo piano con gli annessi sottotetti.
Quanto alla domanda di nullità, la Corte di Napoli esclude
che si versi in ipotesi di mancanza dell’oggetto, perché il
fabbricato comunque esisteva, mentre la circostanza che
nell’atto sia stata effettuata una descrizione dello stato dei
luoghi in parte falsa non è di per sé motivo di nullità dello

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mesi prima”.

stesso, bensì di responsabilità a vario titolo per i dichiaranti. Premesso che la nullità per violazione degli artt. 17 e
40 della legge n. 47 del 1985 ha carattere formale (e nella
specie i condividenti ebbero comunque a dichiarare che

d’appello sottolinea che non può influire sulla liceità
dell’oggetto della divisione la trasformazione dei sottotetti,
posto che la stessa sarà realizzata solo dopo il rogito divisionale, mentre, per quel che concerne gli abusi realizzati
prima della divisione, gli stessi sono consistiti nella realizzazione di due solai intermedi, e quindi in opere di poco
conto rispetto all’entità dell’edificio preesistente.
3. – Per la cassazione della sentenza della Corte
d’appello Mario Castellano, Maria Laura Castellano e Alessandra Castellano hanno proposto ricorso, sulla base di tre motivi.
Adele Maria Contesso ha resistito con controricorso.
Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva in
questa sede.
I ricorrenti hanno depositato una memoria illustrativa in
prossimità dell’udienza.
Considerato in diritto
l. – Va preliminarmente rilevato che l’intervenuto decesso, nelle more del giudizio di cassazione, della parte controricorrente Adele Maria Contesso (circostanza di cui dà atto

– 7 –

l’immobile era stato costruito prima del 1967), la Corte

nella memoria la stessa difesa dei ricorrenti, che ne ricevuto
notifica dal difensore di controparte) non determina
l’interruzione del processo, essendo il giudizio di cassazione
caratterizzato dall’impulso d’ufficio (tra le tante, Cass.,

Sez. III, 3 dicembre 2015, n. 24635).
2. – Con il primo motivo, i ricorrenti deducono vizio di
carente e contraddittoria motivazione ai sensi dell’art. 360,
n. 5, cod. proc. civ. Gli appellanti deducono di avere chiesto
ai giudici di appello, nel riproporre le istanze formulate in
primo grado e disattese dal Tribunale, di condannare la Contesso e gli eredi di Giorgio Castellano ad eliminare tutte le
opere che hanno comportato appropriazione di enti comuni oppure pregiudizio della statica o dell’estetica della villa in
questione. Tale domanda, corredata sin dal primo grado di giudizio dall’analitica enunciazione offerta in citazione dei variegati abusi realizzati da Giorgio castellano, e confortata,
in sede di accertamento peritale, dal puntuale riscontro operato sugli stessi dal consulente tecnico d’ufficio, sarebbe
stata erroneamente giudicata dalla Corte d’appello.
L’affermazione, contenuta nella sentenza, secondo cui gli abusi realizzati consisterebbero nella realizzazione di due solai
intermedi, e quindi in opere tutto sommato di poco conto rispetto all’entità dell’edificio preesistente, sarebbe in contrasto con gli accertamenti eseguiti dal c.t.u. Aggiungono i
ricorrenti che gli abusi di cui gli attori sollecitavano la

– 8 –

a/t,

riduzione in pristino sono stati realizzati per la quasi totalità dopo e non prima della divisione del 1991; che la paternità di detti abusi va ascritta a Giorgio Castellano e non al
complesso dei condividenti; che tali abusi sono consistiti in

importanti opere di trasformazione dell’assetto architettonico
e strutturale della villa per la realizzazione di quei tre appartamenti che non esistevano all’atto della divisione.
2.1. – Il motivo è inammissibile.
Per costante giurisprudenza, il vizio di motivazione, di
cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., presuppone l’esame
della questione oggetto di doglianza da parte del giudice del
merito, seppure se ne lamenti la soluzione in modo giuridicamente non corretto ovvero senza adeguata motivazione (Cass.,
Sez. III, 17 luglio 2007, n. 15882; Cass., Sez. lav., 18 giugno 2014, n. 13866).
Dal testo della sentenza risulta che la Corte d’appello ha
preso in esame la questione degli abusi “realizzati prima della divisione (ed altresì prima del relativo preliminare e
quindi riferibili a tutti i condividenti)” in funzione
dell’esame della domanda di nullità della divisione per violazione della disciplina dettata dagli artt. 17 e 40 della legge
n. 47 del 1985.
La sentenza della Corte di Napoli nulla dice in ordine alla domanda di eliminazione di opere abusive e di riduzione in
pristino con riferimento alle condotte edilizie realizzate da

9

oi/t

Giorgio Castellano e dalla di lui coniuge all’indomani della
divisione.
Venendo in rilievo l’omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, questa omissione

dell’art. 360, n. 4, cod. proc. eiv. denunciando la violazione
dell’art. 112 cod. proc. civ. sotto il profilo dell’omessa
pronuncia; non già – come è avvenuto con il primo motivo – per
il tramite del vizio di carente e contraddittoria motivazione
ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.
2. – Con il secondo mezzo i ricorrenti denunciano vizio di
omessa pronuncia ai sensi dell’art. 360, n. 4, cod. proc. civ.
La Corte d’appello, “nell’assumere in maniera assai sbrigativa
che le opere

de quibus non hanno alterato dimensioni e pro-

spetti del fabbricato”, avrebbe completamente negletto “di esaminare la specifica doglianza mossa in seconde cure dagli
odierni ricorrenti circa l’asserita alterazione
dell’equilibrio strutturale ed estetico dell’edificio, in particolare lamentando che il Tribunale avesse escluso l’indicato
pregiudizio ‘sulla scorta di un certificato di idoneità statica a firma dell’ing. Maurizio Contardi, a suo tempo interpellato dalle parti al fine di ottenere un giudizio tecnico nei
sensi indicati. Giudizio, cui, evidentemente il c.t.u. si è
attenuto, non avendo riscontrato elementi tali da porlo in discussione”. I ricorrenti ricordano di avere, con l’atto di ap-

– 10 –

avrebbe dovuto essere fatta valere esclusivamente a norma

pello, chiesto la condanna dei convenuti “ad eliminare tutte
le opere che hanno comportato appropriazione di enti comuni
oppure pregiudizio della statica e dell’estetica della villa,
eseguite da Giorgio Castellano al secondo piano, quali risul-

tuale supplemento di c.t.u. per ogni più approfondita verifica
che si ritenga necessaria”. Pur in presenza di “incontrovertibili risultanze” e della “puntuale domanda degli appellanti”,
la Corte d’appello non avrebbe speso su detto tema “nemmeno un
fugace cenno”.
2.1. – Il motivo è fondato.
Sin dall’atto di citazione introduttivo del giudizio di
primo grado, notificato il 17 febbraio 1995, gli attori Mario
Castellano e Maria Laura Castellano hanno domandato – previa
adozione dei provvedimenti cautelari di sospensione delle opere in corso e sequestro giudiziario dei locali sottotetti – la
condanna dei convenuti “al ripristino dello stato preesistente
con eliminazione di tutte le opere abusivamente realizzate e
lesive dei diritti degli istanti”: lamentando che successiva-

tano dalla relazione del c.t.u. di primo grado e previa even-

mente alla stipula della divisione Giorgio Castellano “ha intrapreso importanti opere di trasformazione nell’assetto architettonico e strutturale della villa”, “in dispregio della
statica e dell’estetica dell’edificio” e con lesione “dei diritti edilizi anche condominiali”, e facendo presente che “gli
interventi effettuati hanno interessato le strutture portanti

0.14,

ed il tetto dell’edificio, vale a dire le parti comuni
dell’edificio”, per le quali occorreva “la preventiva autorizzazione da parte dell’assemblea dei condomini”.
Questa domanda è stata rigettata dal primo giudice, come

2005.
La domanda è stata riproposta in appello. Dall’atto di citazione introduttivo del giudizio di gravame emerge infatti
che gli appellanti hanno chiesto la condanna “ad eliminare
tutte le opere che hanno comportato appropriazione di enti comuni oppure pregiudizio della statica o dell’estetica della
villa in questione, eseguite da Giorgio Castellano al secondo
piano, quali risultano dalla relazione del c.t.u. di primo
grado e previo eventuale supplemento di c.t.u. per ogni più
approfondita verifica che si ritenga necessaria”, ed hanno
specificamente censurato la statuizione di rigetto da parte
del Tribunale con il motivo articolato al punto 7, pag. 21 e
SS.
Sussiste, pertanto, il denunciato vizio di omessa pronun-

risulta dalla sentenza del Tribunale di Napoli n. 2980 del

cia, stante la completa omissione, da parte del giudice di appello, del provvedimento indispensabile per la soluzione del
caso concreto, relativamente al motivo di impugnazione – non
introduttivo di una domanda nuova – concernente il rigetto, da
parte del Tribunale, della domanda (autonoma rispetto a quella

124,
– 12 –

di invalidità negoziale) di eliminazione di opere abusive e di
riduzione in pristino.
3. – Con il terzo motivo, prospettato in via subordinata,
si deduce che sussisterebbe comunque il vizio di omessa moti-

parvità le opere contestate”, avrebbe “ritenuto con tal apodittico giudizio di risolvere anche quello sulla pretesa alterazione statica del fabbricato”.
3.1.

L’esame del terzo motivo resta assorbito

dall’accoglimento del secondo mezzo.
4. – La sentenza impugnata è cessata in relazione alla
censura accolta.
La causa deve essere rinviata ad altra sezione della Corte
d’appello di Napoli.
Il giudice del rinvio provvederà sulle spese del giudizio
di cessazione.
P.Q.M.
La Corte dichiara
il secondo e

dichiara

inammissibile il primo motivo,
assorbito il terzo;

impugnata in relazione alla censura accolta e

cassa

accoglie

la sentenza

rinvia la causa,

anche per le spese del giudizio di cessazione, ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte suprema di Cessazione, il 10

vazione, nella misura in cui la Corte d’appello, “tacciando di

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