Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6935 del 11/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 11/03/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 11/03/2021), n.6935

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11523-2020 proposto da:

C.J., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARIAGRAZIA STIGLIANO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE DI BARI;

– intimata –

avverso il decreto N. R.G. 10188/2018 del TRIBUNALE di LECCE,

depositato il 31/03/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. FALABELLA

MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

– E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Lecce del 31 marzo 2020. Con quest’ultima pronuncia, per quanto qui rileva, è stato negato che C.J., nato in Gambia, potesse essere ammesso alla protezione umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su di un solo motivo. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha notificato controricorso, ma ha depositato un “atto di costituzione” in cui non è svolta alcuna difesa.

Il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorrente fa valere i motivi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in relazione al mancato riconoscimento della protezione umanitaria. L’istante ricorda come si fosse ammalato nel paese di origine, in cui non venne curato, e come si prospetti una violazione dei diritti umani in Gambia, “ove il sistema sanitario non consente di venire curati se non si è benestanti”. Richiama, inoltre, la giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’apprezzamento della vulnerabilità del richiedente va operato tenendo conto anche delle esperienze gravemente traumatiche occorse durante il percorso migratorio.

2. – Il motivo è infondato.

E’ lo stesso ricorrente a rammentare di aver raggiunto in Italia un buono stato di salute: ciò che è confermato dal decreto impugnato, ove si sottolinea che i problemi attinenti allo stato di salute personale del ricorrente risultano allo stato superati; il giudice di prima istanza ha richiamato, in proposito, una certificazione sanitaria, acquisita agli atti, che esclude la necessità che l’istante sia sottoposto ad ulteriori controlli medici (pag. 4 del decreto).

Un tale quadro clinico esclude, all’evidenza, che al ricorrente possa essere ricondotta una condizione di vulnerabilità atta a giustificare riconoscimento della protezione umanitaria. Non vale opporre le deficienze del sistema sanitario del paese di rimpatrio, dal momento che l’indicata forma di protezione esige la formulazione di un giudizio individualizzato circa la compromissione dei diritti fondamentali della persona: infatti, la situazione di vulnerabilità che dà titolo alla protezione umanitaria deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, quanto piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, in motivazione; Cass. 2 aprile 2019, n. 9304; cfr. pure Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459, sempre in motivazione).

Nè appare concludente il rilievo per cui ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria rileva anche la situazione di fragilità personale che si sia prodotta in ragione di quanto materialmente occorso nei paesi di transito. Vero è che ai fini dell’accertamento circa la sussistenza delle condizioni di vulnerabilità deve tenersi conto anche delle violenze subite dal richiedente nel paese di passaggio e di temporanea permanenza, ove esse siano potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona (Cass. 2 luglio 2020, n. 13565; Cass. Maggio 2019, n. 13096). Tuttavia è mancato, nel giudizio di merito, alcun accertamento circa violenze così connotate: è da osservare, anzi, come il ricorrente nemmeno deduca di aver posto le stesse a fondamento della propria domanda di protezione internazionale; e deve rimarcarsi, in proposito, che la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 28 settembre 2015, n. 19197; in senso conforme: Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336; Cass. 31 gennaio 2019, n. 3016).

3. – Il ricorso è dunque rigettato.

4. – Nulla deve statuirsi in punto di spese.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6a Sezione Civile, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2021

 

 

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