Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6935 del 08/04/2016


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 6935 Anno 2016
Presidente: BUCCIANTE ETTORE
Relatore: FALABELLA MASSIMO

SENTENZA

sul ricorso 22322-2011 proposto da:
SABINO

VITO

SBNVT145TO2F052V,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20,
presso lo studio dell’avvocato ANGELA BUCCICO,
rappresentato e difeso dall’avvocato VITTORIO
FARAONE;
– ricorrente –

2016

contro

210

ANDRISANI ALDO;
– intimato –

avverso la sentenza n. 150/2011 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 08/04/2016

di POTENZA, depositata il 24/06/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 29/01/2016 dal Consigliere Dott. MASSIMO
FALABELLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

rigetto del ricorso.

Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il giorno 3
settembre 1991 Andrisani Aldo conveniva in giudizio

l’attore che, quale architetto, aveva svolto, su
incarico del convenuto, tre distinte attività di
progettazione, aventi ad oggetto, rispettivamente, uno
stabile destinato a civili abitazioni nell’area di
lottizzazione di San Francesco di Matera, un edificio
destinato a sede del consorzio dei comuni non montani
del materano e uno stabile condominiale in località
Agne. Asseriva di non aver percepito il compenso per
tali attività e chiedeva la condanna della controparte
al pagamento della complessiva somma di £ 90.202.431,
oltre interessi.
Il convenuto si costituiva in giudizio eccependo
l’avvenuto pagamento del credito del professionista con
riferimento alla progettazione del fabbricato in Agne
e, per il resto, sostenendo di non aver conferito alcun
incarico professionale all’attore, non essendo
proprietario dei suoli su cui avrebbero dovuto
edificarsi i manufatti.
Il Tribunale di Matera accoglieva parzialmente la
domanda, escludendo la fondatezza della pretesa di
pagamento del compenso professionale per l’attività di
3

innanzi al Tribunale di Matera Sabino Vito. Assumeva

rRr.

h.,or. a-

1,0
‘44i.
AT1:35~

progettazione relativa al fabbricato in Agne.
Proponeva appello Sabino e la corte di appello di
Potenza, a seguito di una parziale rinnovazione

Lo stesso Sabino ha impugnato per cassazione la
pronuncia della corte lucana con ricorso articolato in
tre motivi. Andrisani, benché intimato, non ha svolto
attività processuale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Col primo motivo è denunciata violazione e falsa
applicazione degli artt. 305 e 307 c.p.c., nonché
omessa motivazione e nullità dell’intero procedimento
in relazione all’art. 360, nn. 1, 4 e 5 c.p.c.. La
censura investe la mancata pronuncia dell’estinzione
del giudizio da parte del giudice del gravame.
Il motivo è palesemente inammissibile.
Tra i motivi di appello non era ricompresa
l’omessa pronuncia sull’eccezione di estinzione. Ciò
esclude, all’evidenza, che la questione, non decisa dal
giudice di primo grado, e di cui non è stata investita
la corte del gravame, possa essere riproposta nel
ricorso per cassazione: il principio è assolutamente
pacifico, dal momento che le nullità della sentenza di
primo grado si convertono in motivi di gravame, e trova
puntuale espressione nell’affermazione secondo cui non
4

dell’istruttoria, respingeva il gravame.

può essere prospettato in sede di legittimità un vizio
di omessa pronuncia della sentenza di primo grado che
non abbia formato oggetto di motivo di appello (Cass.

Il secondo motivo di impugnazione ha ad oggetto
violazione e falsa applicazione dell’art. 1321 c.c.,
nonché difetto di motivazione, in relazione all’art.
360. nn. 3 e 5 c.p.c.. Secondo il ricorrente la corte
distrettuale aveva giudicato esistente un accordo tra
le parti relativo alla predisposizione dei due progetti
del cui compenso si controverte. La sentenza avrebbe
impropriamente ritenuto concluso il contratto, ancorché
lo stesso ricorrente non fosse ancora divenuto
proprietario del suolo su cui avrebbe dovuto costruirsi
il manufatto. Inoltre la corte di merito aveva
incongruamente escluso dal corpo del contratto la
condizione sospensiva che subordinava il pagamento
dell’attività professionale alla realizzazione delle
opere progettate. L’iniziativa assunta dall’intimato
non giustificava, infine, il compenso richiesto, posto
che l’attività professionale svolta non era consistita
nell’approntamento di progetti esecutivi.
Il motivo è infondato.
Inappropriata è la censura basata sulla violazione
di legge, posto che il ricorrente indirizza il motivo
5

19 ottobre 1966, n. 2547).

di impugnazione sull’apprezzamento, da parte del
giudice del gravame, dei riscontri da questi posti a
fondamento della decisione circa la conclusione del

riguardo al denunciato vizio motivazionale, lo stesso
ricorrente non può poi pretendere una nuova
valutazione, da parte di questa Corte, del materiale
probatorio vagliato dal giudice di appello: infatti,
come è ben noto, il ricorso per cassazione conferisce
al giudice di legittimità non il potere di riesaminare
il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la
facoltà di controllo, sotto il profilo della
correttezza giuridica e della coerenza logico-formale,
delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al
quale spetta, in via esclusiva, il compito di
individuare le fonti del proprio convincimento, di
controllarne l’attendibilità e la concludenza e di
scegliere, tra le complessive risultanze del processo,
quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la
veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così
liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di
prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti
dalla legge (per tutte: Cass. 4 novembre 2013 n. 24679;
Cass. 16 novembre 2011, n. 27197). In detta
prospettiva, la sentenza si sottrae a censura, avendo
6

contratto e l’ammontare del corrispettivo. Avendo

la corte di Potenza adeguatamente motivato in ordine al
perfezionamento del contratto, alla natura
dell’incarico conferito e al compenso correlativamente

Col terzo ed ultimo motivo si lamenta violazione e
falsa applicazione dell’art. 1460 c.c., nonché difetto
di motivazione, in relazione all’art. 360 nn.

1

e 5

c.p.c.. Sostiene il ricorrente che l’esecuzione del
progetto da parte dell’architetto costituisce un
obbligazione di risultato, non di mezzi, e che il
professionista aveva svolto attività professionale
nella certezza che i progetti erano irrealizzabili,
essendo consapevole che il ricorrente non era
proprietario dei fondi dove dovevano essere realizzati
i fabbricati.
La censura non merita accoglimento.
Il

richiamo all’art.

conferente,

non

prospettando

appare non

c.c.

1460

il

motivo

alcun

inadempimento. La corte distrettuale, poi, con
motivazione immune da vizi, ha chiaramente esposto come
la proprietà del suolo non precluda

in alcun modo il

conferimento di un incarico progettuale avente ad
oggetto il manufatto da erigersi su di esso.
In conclusione il ricorso va respinto.
Nulla deve stabilirsi sulle spese, stante il
7

dovuto in base alla tariffa professionale vigente.

mancato svolgimento di attività processuale da parte
dell’intimato in questa fase di giudizio.
P.Q.M.

rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio
della 2″ Sezione Civile, in data 29 gennaio 2016.

La Corte

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