Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6934 del 25/03/2011

Cassazione civile sez. trib., 25/03/2011, (ud. 03/02/2011, dep. 25/03/2011), n.6934

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29769/2006 proposto da:

M.L., elettivamente domiciliato in ROMA VIA G. PISANELLI 4

presso lo studio dell’avvocato GIGLI GIUSEPPE, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MERCANTI GIUSEPPE giusta delega a

margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA & DELLE FINANZE, AGENZIA DELLE

ENTRATE

UFFICIO DI LEGNAGO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 50/2006 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di

VERONA, depositata il 28/06/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/02/2011 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO;

udito per il ricorrente l’Avvocato GIGLI GIUSEPPE, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato CASELLI GIANCARLO,

che si riporta e chiede il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il 7 luglio 2006 la commissione tributaria regionale di Venezia, sez. staccata di Verona, ha rigettato l’appello di M.L. nei confronti dell’agenzia delle entrate, confermando l’avviso di accertamento notificato il 21 dicembre 2004 per l’anno 1999 e relativo al recupero, ai sensi del D.P.R. n. 600, art. 41 bis, della maggiore imposta di Euro 129.544,60, ottenuta applicando ai dividendi percepiti dalla soc. Fonderie FIME (L. 1.729.885.000), la ritenuta ulteriore del 14,5%, pari alla differenza tra quella applicata (12,5%) e quella effettivamente dovuta (27%).

Ha motivato la decisione, ritenendo che la maggiore imposta fosse dovuta in conseguenza dell’iscrizione della contribuente all’AIRE, con residenza effettiva nel Principato di Monaco (1998), e delle risposte date al questionario inviatole dall’amministrazione (2003), atteso che da quest’ultimo risultavano alcuni dati certi:

a. l’iscrizione del figlio presso un liceo monegasco per l’anno scolastico 1999/2000;

b. l’acquisto di un’abitazione nel principato (29 gennaio 1999);

e. il pagamento di bollette per utenze relative ad altro alloggio monegasco temporaneamente occupato nel corso della ristrutturazione dell’abitazione principale (1999).

Ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi e memoria, M.L.; l’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso va disatteso.

A. Con il primo motivo (p.2.1), la ricorrente denuncia “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 64, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”. Sostiene che, in base alla disposizione invocata, l’avviso di accertamento andava notificato al sostituto d’imposta che avrebbe poi dovuto rivalersi nei confronti della contribuente. Formula, pertanto, il seguente quesito: “Dica se la pronuncia della commissione regionale sul motivo di appello iscritto nel presente paragrafo costituisce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 64, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, cassando, in caso positivo, la sentenza impugnata”.

B. Con il secondo motivo (S 2.1), la ricorrente denuncia “nullità della sentenza per omessa pronuncia su un motivo di appello (violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, e conseguentemente del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 1) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4)”. Sostiene che l’art. 41 bis, si applica unicamente ai redditi da inserire in dichiarazione e prevede, solo in tal caso, il potere d’accertamento del fisco; di contro, atteso che non vanno dichiarati i dividendi da partecipazioni non qualificate, l’amministrazione doveva ricorrere alla rettifica della liquidazione dell’imposta e della ritenuta alla fonte con conseguente semplice iscrizione a ruolo. Lamenta che tale questione fosse stata del tutto trascurata dai giudici d’appello e formula quesito sull’obbligo di esaminarla.

C. Con il terzo motivo (p.2.3), la ricorrente denuncia “violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, e conseguentemente del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 1, in relazione all’art. 360 c.p.c.”. Ripresenta, sotto altro profilo, le stesse argomentazioni di diritto svolte nel secondo motivo, alle quali aggiunge l’inapplicabilità delle sanzioni previste dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 1, stante la non operatività delle norma sostanziale del citato art. 41 bis. Formula, quindi, il seguente quesito: “Dica la Suprema Corte se, nell’ipotesi di redditi derivanti da distribuzioni di dividendi da partecipazioni non qualificate – non dichiarati in quanto assoggettati a ritenuta d’imposta nella misura del 12,5% – non sia, come si sostiene, applicabile il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, e conseguentemente il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 1, e se la pronuncia della commissione regionale sul motivo di appello iscritto nel presente paragrafo costituisca violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, e conseguentemente del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, cassando la sentenza impugnata”.

D. Le tre censure, tra loro collegate, sono inammissibili trattandosi di nuovi motivi di gravame, vietati dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, perchè non fatti valere in primo grado (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6150 del 13/03/2009).

E. E’ la stessa contribuente ad affermare in ricorso (pag. 4, p.1.2) di aver adito la CTP, per la conferma del pagamento della ritenuta a titolo d’imposta del 12,5%, censurando l’avviso di accertamento per Violazione dell’art. 7 dello “Statuto” nonchè per violazione ed errata applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 2, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27. Dunque, le questioni che ruotano attorno all’applicazione del D.P.R. n. 600, artt. 64 e 41 bis, e del D.Lgs. n. 471, art. 1, sono del tutto estranee al “thema decidendum” circoscritto dal ricorso introduttivo.

F. Inoltre, il primo motivo è inammissibile, anche per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., visto che il quesito di diritto si risolve in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo (Sez. 1^, Ordinanza n. 19892 del 25/09/2007; Sez. U, Sentenza n.28536 del 02/12/2008).

G. Infine, il secondo e il terzo sono motivi inammissibili anche perchè in completa contraddizione tra loro sul medesimo punto decisivo: l’omessa pronuncia, infatti, implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce in una violazione dell’art. 112 c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art.360 c.p.c., n. 4; la denuncia della violazione di norme di diritto sostanziale presuppone, invece, l’esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, seppure se ne lamenti la soluzione in modo giuridicamente non corretto.

H. Con il quarto motivo (p.2.4.1), la ricorrente denuncia “violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 2, comma 2 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”. Sostiene che, in merito all’asserita residenza fiscale monegasca, le risposte date dalla contribuente al questionario fotografavano la situazione al momento della compilazione dello stesso (2003) e non all’epoca rilevante per l’accertamento (1999). Aggiunge che l’effettiva residenza fiscale italiana non era stata contestata dall’amministrazione in sede di verifica della dichiarazione per l’anno 1999 con riferimento ai dividendi da “partecipazioni qualificate”. Formula, pertanto, il seguente quesito: “Dica la Suprema Corte se la pronuncia della commissione regionale sul motivo di appello iscritto nel presente paragrafo costituisca, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 2, comma 2 bis, cassando, in caso positivo la sentenza impugnata”.

I. Il motivo è inammissibile, perchè si risolve in una non consentita istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione.

J. Infatti, come si è detto in narrativa, i giudici d’appello hanno considerato, oltre alla registrazione della contribuente nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero (1998), anche l’iscrizione del figlio di costei presso un liceo monegasco per l’anno scolastico 1999/2000, l’acquisto di un’abitazione nel principato (29 gennaio 1999) e il pagamento di bollette per utenze relative ad altro alloggio monegasco, temporaneamente occupato nel corso delle ristrutturazione dell’abitazione principale (1999), dati tutti desunti dalle risposte al questionario.

K. Quanto poi al secondo profilo di censura, v’è da aggiungere che esso difetta anche di autosufficienza, atteso che quando s’invoca il contenuto di specifici atti è onere della parte ricorrente suffragare la validità dell’assunto mediante la completa trascrizione del contenuto stesso, in modo da rendere possibile l’apprezzamento del vizio dedotto (Cassazione civile sez. un. 24 settembre 2010, n. 20159).

L. Con il quinto motivo ( 2.4.2), la ricorrente denuncia “omessa motivazione sul punto della violazione violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art.2, comma 2 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”. Sostiene che i giudici d’appello avrebbero trascurato decisivi elementi di prova circa l’effettività della residenza in Italia nel corso dell’anno 1999: (a) iscrizione scolastica del figlio nel Principato solo da settembre 1999, (b) indisponibilità per lavori nell’abitazione ivi acquistata nel gennaio 1999, (c) intestazione delle bollette dell’alloggio provvisorio al marito della contribuente, (d) indicazione della casa di Legnago come abitazione principale nell’UNIC02000 per il 1999, (e) inizio d’attività commerciale nel Principato dal luglio 2000, rilievi a suo dire tutti confermativi della dichiarata residenza italiana nel 1999 e monegasca solo dal 2000.

M. Indi, così esprime il momento di sintesi: “non vi è motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio, essendo l’indagine sull’effettiva residenza fiscale della sig.ra M. per l’anno 1999, fornita dai giudici del merito, limitata a sole due circostanze del noto questionario, interpretate peraltro in modo arbitrario”. Il motivo è inammissibile.

N. Nel vigore dell’art. 366 bis c.p.c., il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere accompagnato da un momento di sintesi che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità; il motivo, cioè, deve contenere – a pena d’inammissibilità – un’indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (Cassazione civile sez. un., 20 maggio 2010, n. 12339 – Guida al diritto 2010, 29, 58). Nulla di tutto ciò è leggibile nel caso di specie.

O. Si aggiunga che, mentre prima della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, era sufficiente che dal testo del ricorso si evincessero con sufficiente chiarezza le questioni sottoposte al giudice di legittimità in relazione agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte dei gradi di merito, a seguito della riforma, il novellato art. 366 c.p.c., richiede la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, al fine di realizzare l’assoluta precisa delimitazione del “thema decidendum”, attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di esorbitare dall’ambito dei quesiti che gli vengono sottoposti e di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente (Cassazione civile sez. un., 31 ottobre 2007, n. 23019 – Foro it. 2008, 6, 1871). Ancora una volta nulla di tutto ciò è riscontrabile nel caso di specie.

P. Infine, e per completezza, i giudici d’appello non erano affatto tenuti a dar conto di tutte le deduzioni istruttorie di parte, ma hanno correttamente indicato le risultanze ritenute più idonee a dimostrare i fatti in discussione (residenza monegasca) e implicitamente escludendo le altre.

Q. Con il sesto motivo (p.2.5), la ricorrente denuncia “errata/falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, comma 3, e, più in generale, dei principi che regolano l’assoggettabilita all’imposta di soggetti fiscalmente residenti e non residenti in Italia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”. Sostiene che, per l’anno 1999 e secondo le regole per i soggetti residenti in Italia, aveva dichiarato dividendi percepiti per partecipazione qualificata (sup.20%) alla soc. FIME e optato, invece, per la ritenuta diretta del 12,5% riguardo alla partecipazione non qualificata (inf.20%) alla soc. Fonderie FIME. Di talchè, non poteva essere considerata dal fisco residente in Italia ai fini delle partecipazioni qualificate e residente all’estero per le partecipazioni non qualificate. Formula, pertanto, il seguente quesito: “Dica la Suprema Corte se la pronuncia della commissione regionale sul motivo di appello iscritto nel presente paragrafo costituisce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione/falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, comma 3, e, in particolare, se sia ipotizzabile che il contribuente sia considerato per il medesimo periodo d’imposta e nell’ambito del periodo d’imposta contemporaneamente come residente in Italia, cassando, in caso positivo, la sentenza impugnata”. Il motivo è inammissibile.

R. Esso è ancora una volta lacunoso quanto ad allegazione e trascrizione delle fonti documentali dalle quali rilevare gli elementi fattuali idonei a sorreggere la denunciata violazione di legge, in particolare quanto all’asserita vicenda parallela delle “partecipazioni qualificate”.

S. Peraltro, il profilo intrinseco della censura porta implicitamente al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 2, non oggetto di motivo e quesito. Tale norma richiede, per la configurabilità della residenza fiscale nello Stato, tre presupposti, indicati in via alternativa, il primo, formale, rappresentato dall’iscrizione nelle anagrafi delle popolazioni residenti, e gli altri due, di fatto, costituiti dalla residenza o dal domicilio nello Stato ai sensi del codice civile; ne consegue che l’iscrizione del cittadino nell’anagrafe dei residenti all’estero non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorchè il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonchè delle proprie relazioni personali (Cass. Sez. 5^, Sentenza n. 14434 del 15/06/2010); si tratta cioè del centro degli interessi vitali, ossia del luogo con il quale il soggetto ha il più stretto collegamento sotto il profilo degli interessi personali e patrimoniali (Cassazione civile sez. trib., 07 novembre 2001, n. 13803 – Giust. civ. Mass. 2001, 1873).

T. Orbene, pacifico il principio dell’unicità del domicilio desumibile dall’art. 43 c.c., l’avvenuta iscrizione della contribuente nell’anagrafe degli italiani residenti all’estero sin da 21 dicembre 1998 e la dichiarata nuova residenza anagrafica nel Principato di Monaco (cfr. ricorso 1.1) configurava un’evidente presunzione di conformità del dato anagrafico a quello reale, soprattutto alla luce dei convergenti elementi indiziari offerti dalla stessa interessata nel rispondere al questionario inviatole dall’amministrazione e opportunamente valorizzati dai giudici di appello. Spettava dunque alla ricorrente l’onere di dimostrare rigorosamente che, ciononostante, nel 1999 si trovava ancora in Italia il centro dei suoi interessi vitali, ossia il luogo con il quale aveva il più stretto collegamento sotto il profilo degli interessi personali e patrimoniali (secondo la definizione di Cassazione civile sez. trib., 07 novembre 2001, n. 13803 – Giust.

civ. Mass. 2001, 1873; cfr. comma 2 bis cit.). Nulla di tutto ciò emerge dal motivo che, in sostanza, si fonda sulla irrilevante (e non dimostrata) autodichiarazione di domicilio in Italia a suo dire contenuta nell’UNICO-2000 per il 1999. U. Il ricorso va, quindi, disatteso con condanna della contribuente alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate a favore dell’agenzia delle entrate in Euro 5.000,00 per onorario, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 3 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2011

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