Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6934 del 11/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 11/03/2021, (ud. 15/12/2020, dep. 11/03/2021), n.6934

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10755-2020 proposto da:

S.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ELENA TORDELA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto n. R.G. 11878/2019 del TRIBUNALE di NAPOLI,

depositato il 21/03/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 15/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. FALABELLA

MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Napoli del 21 marzo 2020. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che a S.S., nato in Gambia, potessero essere riconosciuti lo status di rifugiato, la protezione sussidiaria e la protezione umanitaria.

2. – Nel ricorso per cassazione sono articolati sette motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha notificato controricorso, ma ha depositato un “atto di costituzione” in cui non è svolta alcuna difesa.

Il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I primi due motivi sono svolti facendo valere due questioni di costituzionalità.

La prima investe la costituzionalità “del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, così come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, dell’art. 24Cost., commi 1 e 2 e dell’art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui stabilisce che il termine per proporre ricorso per cassazione è di trenta giorni a decorrere dalla comunicazione a cura della cancelleria del decreto di primo grado”.

La seconda verte sulla conformità alla carta fondamentale “del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, così come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1, dell’art. 24Cost., commi 1 e 2 e dell’art. 111 Cost., commi 1, 2 e 7, nella parte in cui stabilisce che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione debba essere conferita a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato”.

La questione di costituzionalità basata sul restringimento del termine previsto per il ricorso per cassazione è irrilevante, dal momento che non ricorre una ipotesi di tardività della proposta impugnazione rispetto al termine di trenta giorni: è la stessa parte istante a rilevare che il ricorso, sotto tale aspetto, “risulta essere tempestivo e rispettoso della novella legislativa”.

Parimenti irrilevante è la questione attinente al rilascio della procura, che deve essere successiva alla comunicazione del decreto impugnato, come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13: infatti – e ciò è pure evidenziato dagli odierni istanti – la procura relativa al giudizio di cassazione risulta conferita in un momento successivo alla nominata comunicazione.

2. – Il terzo motivo è così rubricato: “Richiesta di sollevare una questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, introdotto dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1; dell’art. 24 Cost., commi 1 e 2; dell’art. 111 Cost., commi 1, 2 e 5; dell’art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo parametro così come integrato dall’art. 46, paragrafo 3 della Direttiva numero 32/2013 e dagli artt. 6 e 13 della CEDU, per quanto concerne la previsione del rito camerale ex artt. 737 ss. c.p.c. e relative deroghe espresse dal legislatore, nelle controversie in materia di protezione internazionale”.

La questione, a prescindere dai profili di irrilevanza, è manifestamente infondata.

Come osservato da questa S.C., infatti, la nuova disciplina non attua alcuna violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, poichè il rito camerale ex art. 737 c.p.c., che è previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di status, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non sia disposta l’udienza, sia perchè tale eventualità è limitata solo alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in tale caso le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte (Cass. 5 luglio 2018, n. 17717).

3. – Il quarto motivo è titolato come segue: “Richiesta di sollevare la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 9, 10 e 11 così come modificato dalla L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 1, lett. g), per violazione dell’art. 3 Cost., comma 1; dell’art. 24 Cost., commi 1 e 2; dell’art. 111 Cost., commi 1 e 2; dell’art. 117 Cost., comma 1, così come integrato dagli artt. 6 e 13 CEDU e dall’art. 46 paragrafo 3 della direttiva numero 32/2013”.

Il ricorrente pone un problema di compatibilità del diritto unionale, con riguardo alla tutela giurisdizionale che deve essere accordata ai richiedenti protezione internazionale e la previsione del legislatore nazionale secondo cui il detto procedimento “è trattato in camera di consiglio” (art. 35 bis cit., comma 9). Al riguardo non è decisivo quanto disposto dall’art. 46.3 della dir. 2013/32/UE, secondo cui “gli Stati membri assicurano che un ricorso effettivo preveda l’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di protezione internazionale ai sensi della direttiva (2011 /95), quanto meno nei procedimenti di impugnazione dinani al giudice di primo grado”. Infatti, per un verso, il rito camerale non esclude l’audi7ione del richiedente asilo e, per altro verso, la stessa Corte di giustizia ha precisato che la richiamata direttiva non impedisca, in via assoluta, al giudice nazionale di respingere il ricorso senza procedere all’audizione predetta (C. giust. 26 luglio 2017, C-348/16, Moussa Sacko, 49).

4. – Il quinto motivo oppone la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 9, 10 e 11; è lamentato che il Tribunale abbia rigettato la richiesta del difensore dei ricorrenti di fissare udienza in camera di consiglio: richiesta motivata anche dalla mancata messa a disposizione, da parte della Commissione territoriale competente, della videoregistrazione della loro audizione.

Il motivo è infondato.

Si legge nel provvedimento impugnato che il richiedente asilo non è comparso all’udienza fissata (pag. 2 del decreto). Il vizio lamentato, correlato alla mancata fissazione di udienza in caso di omessa videoregistrazione del colloquio tenutosi avanti alla commissione territoriale (Cass. 23 maggio 2019, n. 14148; Cass. 5 luglio 2017, n. 17717) nella fattispecie, dunque, non si ravvisa.

5. – Il sesto motivo denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, letto in combinazione con il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 19.

La censura, che investe il tema della protezione umanitaria, è infondata.

Il ricorrente pare conferire rilievo alla presenza di tensioni politiche in Gambia (ricorso, pag. 12): ma così facendo, trascura di considerare che la situazione di vulnerabilità che dà titolo alla protezione umanitaria deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, in motivazione; Cass. 2 aprile 2019, n. 9304; cfr. pure la recente Cass. Sez. U. 13 novembre 2019, n. 29459, sempre in motivazione); peraltro il Tribunale ha escluso che il Gambia possa oggi definirsi un “paese insicuro” (pag. 5 del decreto impugnato).

6. – Il settimo motivo oppone la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2 e art. 3, comma 8, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,7 e 14, dell’art. 10 Cost., dell’art. 8 della dir. 2004/83/CE, dell’art. 8 della dir. 2001/95/CE e dell’art. 3 CEDU.

Il motivo è inammissibile, in quanto si risolve nell’affermazione per cui il Gambia sarebbe interessatocia un conflitto armato di violenza indiscriminata: ciò che, invece, il Tribunale ha motivatamente escluso. E’ da rammentare in proposito che l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale” che sia causa, per il richiedente, di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. 21 novembre 2018, n. 30105).

7. – Il ricorso è respinto.

8. – Non vi sono spese da liquidare in favore della parte vittoriosa.

PQM

La Corte

rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6a Sezione Civile, il 15 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2021

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