Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6934 del 08/04/2016


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 6934 Anno 2016
Presidente: BUCCIANTE ETTORE
Relatore: FALABELLA MASSIMO

SENTENZA

sul ricorso 24668-2011 proposto da:
IOZZA

VINCENZO

ZZIVCN6OPO4D9601,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DI VILLA EMILIANI 24,
presso lo studio dell’avvocato ENRICO DE ROSSI, che
lo rappresenta e difende;
– ricorrente 2016
209

contro

SCHEMBRI ALDO ROBERTO, LENZINI GIOVANNA;
– intimati –

avverso la sentenza n. 61/2011 della CORTE D’APPELLO
di CALTANISSETTA, depositata il 21/05/2011;

Data pubblicazione: 08/04/2016

F
è

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 29/01/2016 dal Consigliere Dott. MASSIMO
FALABELLA;
udito l’Avvocato De Rossi Enrico difensore del
ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per
l’accoglimento dei primi due motivi e per
l’assorbimento dei restanti motivi del ricorso.

ricorso;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il l luglio 1998
Schembri Aldo Roberto e Lenzini Giovanna convenivano in

sentirlo condannare al risarcimento dei danni che lo
stesso aveva cagionato loro nell’attività prestata
quale progettista e direttore dei lavori di costruzione
di un fabbricato sito in Gela: attività di cui era
stato incaricato da parte degli stessi attori. Questi
ultimi deducevano, in particolare, che

il

professionista aveva provveduto alla progettazione e
edificazione del fabbricato in difformità dalla
concessione edilizia e in violazione delle norme del
piano regolatore particolareggiato del Comune, oltre
che in violazione delle norme sulle distanze. In
conseguenza di tali violazioni era stata emessa
un’ordinanza con cui si disponeva la demolizione del
manufatto e gli stessi attori avevano dovuto affrontare
il

giudizio intentato

dai proprietari confinanti per

ottenere l’arretramento
legge,

trovandosi

dell’ immobile a distanza di

costretti ad acquistare un

appezzamento di terreno per evitare tale arretramento.
Il risarcimento richiesto aveva ad oggetto la somma
sborsata per l’acquisto del fondo in questione,
danni, biologico e moral,e connessi a una perdita di
3

giudizio avanti al Tribunale di Gela Tozza Vincenzo per

gravidanza, asseritamente patita in conseguenza del
turbamento emotivo derivante dalla notizia della
possibile demolizione dell’immobile, nonché il

in conseguenza della demolizione dell’immobile.
Il convenuto si costituiva in giudizio eccependo
che le difformità rispetto al progetto approvato e le
scelte costruttive dovevano imputarsi agli attori,
quali, pur edotti della situazione giuridica
concernente il fabbricato da erigersi, avevano ritenuto
di procedere ugualmente alla costruzione del medesimo.
Il Tribunale di Gela riconosceva la responsabilità
professionale di Iozza, ma rigettava la domanda
risarcitoria, ritenendola non provata.
La sentenza veniva impugnata dagli attori, i quali
insistevano per ottenere il risarcimento integrale dei
danni prospettati.
Iozza si costituiva anche in fase di gravame
ribadendo di essere esente da responsabilità. In punto
di risarcimento rilevava che l’immobile era comunque
suscettibile di sanatoria edilizia.
La Corte di appello di Caltanissetta in parziale
riforma della sentenza impugnata condannava Iozza al
risarcimento del danno, liquidato della somma di e
36.377,00, oltre interessi.
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pregiudizio patrimoniale futuro derivante agli attori

Questa sentenza è stata impugnata per cassazione
dalla appellato soccombente sulla base di quattro
motivi. Schembri e Lenzini, regolarmente intimati, non

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il

primo motivo

di

impugnazione

denuncia

violazione ed errata applicazione delle norme di cui
agli artt. 1218, 1227 e 1223 c.c., che regolano il
risarcimento del danno da inadempimento, oltre che
motivazione contraddittoria su uno o più punti decisivi
della controversia. Secondo il ricorrente la sentenza
impugnata risultava viziata posto che, pur dando atto
che l’illiceità urbanistica accertata era suscettibile
di sanatoria e che gli attori non si erano attivati per
ottenere la regolarizzazione dell’attività edificatoria
posta in essere, aveva affermato che il danno dovesse
essere commisurato ai costi che gli appellanti
avrebbero dovuto affrontare a tal fine. Tale
affermazione risultava, secondo il ricorrente,
censurabile avendo riguardo, per un verso, al fatto che
una condotta diligente della controparte nel senso di
dar corso alla procedura di condono avrebbe evitato del
tutto il danno lamentato e, per altro verso, al fatto
che i costi cui era stato commisurato il danno non
erano stati sopportati dagli attori, avendo gli stessi
5

hanno svolto alcuna attività difensiva.

mancato di provvedere alla sanatoria.
Col secondo motivo è lamentata violazione ed
errata applicazione dell’art. 112 c.p.c.. La sentenza

profilo di danno non specificamente dedotto dagli
appellanti.
I due motivi, in quanto connessi, possono essere
esaminati congiuntamente. Essi non hanno fondamento.
E’ anzitutto escluso che la corte distrettuale,
nel condannare il ricorrente al risarcimento del danno
commisurato al costo che il ricorrente avrebbe dovuto
affrontare per la sanatoria dell’illecito edilizio, sia
incorsa nella lamentata ultrapetizione.
Il costo suddetto opera, infatti, quale elemento
limitativo della prestazione risarcitoria, non quale
autonoma voce di danno. Sul punto, la corte nissena ha
correttamente rilevato che la possibile sanatoria
dell’immobile determina una riduzione del danno che gli
appellanti potevano richiedere, rilevando come lo
stesso non potesse consistere nei costi per
l’abbattimento del fabbricato e in ulteriori pregiudizi
patrimoniali, ma dovendo piuttosto essere limitato in
ragione dell’esborso che gli stessi avrebbero dovuto
affrontare per la sanatoria. Lo stesso giudice del
gravame ha poi precisato che un’eccezione in tal senso
6

aveva infatti riconosciuto il risarcimento per un

era stata svolta in comparsa di risposta proprio
dall’appellato, oggi ricorrente. Nella sentenza è
infine spiegato che la limitazione del danno

dell’oblazione e degli oneri concessori doveva operarsi
a norma dell’art. 1227, 2 ° co. c.c..
Come è noto, a differenza dell’ipotesi regolata
dal primo comma dello stesso articolo, che concerne
l’incidenza del comportamento colposo del creditore
danneggiato nella determinazione del danno, la quale
rileva ai fini di una proporzionale riduzione del
risarcimento, l’ipotesi disciplinata dal secondo comma
dello stesso articolo considera il caso di danni
eziologicamente imputabili al danneggiante ed esclude
la risarcibilità di tali danni, che il creditore
avrebbe potuto evitare con il proprio comportamento
diligente successivamente all’evento.
In termini generali, l’apprezzamento, da parte del
giudice di merito, della condotta del danneggiato che
avrebbe impedito o attenuato le conseguenze dannose
prodottesi in ragione del comportamento del
danneggiante risulta essere quindi funzionale alla
verifica dell’effettiva entità del pregiudizio
risarcibile: nell’ipotesi di positivo accertamento del
comportamento negligente del danneggiato, il danno
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risarcibile all’importo corrispondente alla misura

risulterà conseguentemente ridotto, rispetto a quello
cagionato dal debitore, in ragione del pregiudizio che
il creditore poteva evitare e non ha evitato.

sanatoria è stata apprezzata quale elemento di
contenimento del danno risarcibile proprio in quanto
attraverso di essa il creditore avrebbe evitato il più
grave pregiudizio consistente nella demolizione del
fabbricato.
Non è quindi vero che la corte di merito abbia
riconosciuto agli intimati un pregiudizio patrimoniale
diverso da quello di cui era stato domandato il
risarcimento. E’ vero, invece, che quel danno è stato
ridotto all’ammontare dei costi occorrenti per la
sanatoria, perché il danno stesso poteva essere escluso
attivando tempestivamente il relativo procedimento
amministrativo, che implicava, però, oneri economici.
Il fatto, poi, che gli intimati non abbiano
provveduto alla sanatoria non esclude il risarcimento
commisurato ai costi della stessa: e ciò proprio in
quanto l’art. 1227, 2 ° co. c.c. valorizza il mancato
compimento di quelle attività che avrebbero escluso, o
comunque, limitato, il danno risarcibile. Nel caso in
esame si ripete il pregiudizio derivante dal
permanere della situazione di irregolarità urbanistica
8

Nel caso di specie, la somma da versarsi per la

dell’immobile,

con tutte le conseguenze che ne

derivano, poteva essere evitato attraverso l’attuazione
della sanatoria, il cui costo rappresenta, quindi, il

In tal senso, la decisione risulta aver tatto
anche corretta applicazione dell’art. 1227, 2 0 cc.
c. c…
Nel corpo del motivo (pagg. 6 s.) si fa cenno
anche a un profilo di riduzione del risarcimento ex
art. 1227, 2 ° co. c.c. correlato alla mancata
interruzione dei lavori da parte degli intimati. La
questione ha però carattere di assoluta novità;
oltretutto, poiché su di essa non è caduta alcuna
decisione, la censura non risulta nemmeno prospettata
nell’unico modo astrattamente possibile (e cioè come
omessa pronuncia su di un’eccezione svolta in tal
senso).
Il terzo motivo censura l’erronea applicazione
delle risultanze della consulenza tecnica per la
quantificazione del danno accertato dal giudice
d’appello e, quindi, contraddittoria motivazione su un
punto decisivo della controversia. Deduce il ricorrente
che il risarcimento doveva essere limitato ai costi di
oblazione e non poteva quindi ricomprendere gli oneri
concessori.
9

limite della risarcibilità del danno stesso.

CA149

Il motivo è carente di autosufficienza, e comunque
infondato.
La censura si basa su quanto sarebbe documentato

Tuttavia, il ricorrente non riproduce la parte
dell’elaborato peritale che affronta la questione, né
fornisce adeguate informazioni al riguardo, limitandosi
a richiamare la consulenza in parola. Ebbene, in tema
di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, la
parte che intende far valere in sede di legittimità un
motivo di ricorso fondato sulle risultanze della
consulenza tecnica espletata in grado di appello è
tenuta – in ossequio al principio di autosufficienza
del ricorso – ad indicare se la relazione cui si fa
riferimento sia presente nel fascicolo di ufficio del
giudizio di merito (specificando, in tal caso, gli
estremi di reperimento della stessa), ovvero a chiarire
alla Corte il diverso modo in cui essa possa essere
altrimenti individuata (Cass. 22 febbraio 2010,

n.

4201).
Si osserva,

comunque,

che non è possibile

scomputare gli oneri concessori dall’importo dovuto a
titolo risarcitorio: ciò in quanto a fronte
dell’illiceità urbanistica, i creditori danneggiati
avrebbero potuto sottrarsi al maggior danno derivante
10

nella consulenza tecnica disposta in fase di gravame.

dalla incommerciabilità dell’immobile e dal pericolo di
un suo futuro abbattimento, solo corrispondendo
l’integrale importo di quanto occorrente ai fini della
sanatoria. Non ha senso distinguere tra oblazione e

oneri concessori proprio in quanto la situazione di
illiceità imputabile al professionista, secondo
quanto irretrattabilmente accertato nel giudizio di
merito – non avrebbe potuto rimuoversi, e con essa il
danno che ne discendeva, se non attraverso la
definizione della pratica di condono edilizio:
definizione che aveva un suo costo complessivo.
Il quarto motivo di impugnazione denuncia erronea
interpretazione, nonché erronea o mancata applicazione
della normativa sul condono edilizio di cui alla 1. n.
236/236, oltre che degli artt. 8 e 12 1. n. 47/1985 e
mancanza di motivazione sul punto: ciò ai sensi sia
dell’art. 360 n. 3 che dell’art. 360 n. 5 c.p.c.. Nel
caso di specie, sulla base di deduzioni specifiche del
consulente tecnico di parte, doveva affermarsi che
l’eliminazione delle irregolarità urbanistiche
accertate poteva attuarsi, non già presentando due
domande di condono edilizio, come rilevato dal
consulente tecnico d’ufficio, ma una soltanto. Né il
giudice di appello,

fronte delle

a

specifiche

contestazioni svolte dal nominato consulente di parte,
11

,

aveva espresso le ragioni per le quali doveva ritenersi
preferibile la soluzione indicata dal C.T.U..
Il motivo non è fondato.

risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, laddove
i rilievi espressi dal consulente di parte ricorrente
si fondano su elementi fattuali non verificabili in
questa sede. D’altro canto, avendo particolarmente
riguardo al vizio motivazionale, la contestazione
dell’esattezza delle conclusioni dell’espleta
consulenza mediante la pura e semplice contrapposizione
ad esse delle diverse valutazioni espresse dal
consulente tecnico di parte non serve, di per sé, ad
evidenziare alcun errore delle prime – con conseguente
insufficienze della motivazione della sentenza che ad
esse si sia limitata a riferirsi ma solo la
diversità dei giudizi formulati dagli esperti (Cass. 28
marzo 2006, n. 7078; Cass. 12 agosto 1994, n. 7392).
Il ricorso è rigettato.
Nulla per le spese, stante l’assenza di attività
processuale da parte degli intimati.
P.Q.M.

La Corte
rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio
12

Il giudice del merito ha conferito rilievo alle

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