Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6933 del 25/03/2011

Cassazione civile sez. trib., 25/03/2011, (ud. 01/02/2011, dep. 25/03/2011), n.6933

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. PERSICO Mariaida – rel. Consigliere –

Dott. DIDOMENICO Vincenzo – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23808/2007 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso

la CAMCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato SASSO Carmine, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE-UFFICIO DI AVELLINO, in persona del Direttore

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 126/2006 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. Di

SALERNO, depositata il 23/06/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

01/02/2011 dal Consigliere Dott. MARIAIDA PERSICO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.A. propose ricorso avverso l’avviso di accertamento con il quale, per l’anno d’imposta 1999, venivano accertati ricavi evasi con conseguente maggiore imposta ai fini Irpef, Irap ed Iva, in relazione all’attività di parrucchiere; eccepiva – per quanto qui interessa – la mancata indicazione, da parte dell’ufficio, delle norme applicate;

la mancata indicazione delle omissioni ed inesattezze riscontrate; il fatto che fossero stati presi in considerazione solo due mesi.

L’ufficio resisteva.

La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso.

Contro tale sentenza proponeva appello l’ufficio; la contribuente, costituitasi, reiterava le deduzioni già svolte.

La Commissione tributaria Regionale accoglieva parzialmente l’appello rideterminando i maggiori ricavi con l’abbattimento del 50% di quelli accertati dall’ufficio.

Contro tale ultima sentenza ricorre per cassazione la contribuente con ricorso fondato su di un motivo unico; deposita altresì memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.. L’agenzia resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, in riferimento all’art. 2729 c.c., oltre vizio della motivazione, ponendo il seguente quesito di diritto:

In tema di accertamento delle imposte dei redditi di un artigiano- parrucchiere, in caso di regolare tenuta delle scritture contabili, l’ufficio finanziario può procedere ad accertamento di tipo induttivo del reddito d’imposta, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, in riferimento all’art. 2727 c.c., con la rideterminazione del ricavo operata in base a dati privi di concretezza, prendendo in considerazione soltanto due mesi di attività e procedendo, sulla base di semplici medie aritmetiche, disattendendo le dichiarazioni del contribuente.? 2. La censura è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., per entrambi i profili denunciati.

2.1 Infatti, quanto alla vizio di violazione di legge si rileva che il quesito di diritto per come formulato risulta privo dei requisiti stabiliti dalla giurisprudenza di questa Corte per la sua formulazione: secondo la stessa infatti il quesito deve essere formulato in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris suscettibile di ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata: ne consegue che è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione, ponendosi in violazione di quanto prescritto dal citato art. 366 bis, si risolve sostanzialmente, come nella fattispecie, in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie (Cass. Sez. un., n. 26020 del 2008).

2.2 Ugualmente inammissibile, in quanto non rispondente ai requisiti prescritti dall’art. 366 bis c.p.c., è l’ulteriore profilo denunciato con il medesimo motivo, cioè il vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso. Come questa Corte ha già affermato con giurisprudenza costante, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dalla norma citata, deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (ex plurimis, Cass. Sez. un., n. 20603 del 2007 e Cass. nn. 2652 e 8897 del 2008).

3. Da quanto esposto consegue l’inammissibilità del ricorso.

Le spese del giudizio vengono liquidate come in dispositivo in applicazione del principio della soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio che liquida in Euro 1000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 1 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2011

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