Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6933 del 17/03/2017

Cassazione civile, sez. trib., 17/03/2017, (ud. 14/02/2017, dep.17/03/2017),  n. 6933

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 17287 del ruolo generale dell’anno

2012 proposto da:

s.r.l. OL.SUD, in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al ricorso,

dall’avv. Antonio Damascelli, col quale elettivamente si domicilia

in Roma, alla via Giovanni Paisiello, n. 15, presso lo studio

dell’avv. Giovanni Bellomo;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla Via dei Portoghesi, n. 12, si

domicilia;

– controricorrente –

e nei confronti di:

Agenzia delle Entrate, direzione provinciale di Barletta, Andria,

Trani, in persona del direttore pro tempore;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Puglia, sezione 6^, depositata in data 27 gennaio

2012, n. 11/6/12;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

14 febbraio 2017;

sentiti per la contribuente l’avv. Antonio Damascelli e per l’Agenzia

l’avvocato dello Stato Giancarlo Caselli;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle entrate, in relazione all’anno d’imposta 2004, ha recuperato a tassazione nei confronti della società contribuente, per i profili ancora d’interesse, la somma di Euro 13.674,00 a titolo di ricavi non contabilizzati, determinati a seguito della ricostruzione delle vendite eseguite, nonchè la somma di Euro 342.619,41, come costi non deducibili, perchè ritenuti privi dei requisiti di certezza e di determinabilità. La contribuente ha impugnato il relativo avviso, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale; quella regionale ha, invece, accolto in parte l’appello dell’Ufficio, limitatamente al recupero dei maggiori costi. Sul punto, ha escluso la possibilità di compensare le minori imposte versate nel 2004 con le maggiori imposte da versare nel 2006 per effetto dell’appostazione della sopravvenienza corrispondente all’ammontare dei costi in questione: ciò in quanto, per un verso, la verifica della compensazione era subordinata alla reale conoscenza della materia imponibile e, per altro verso, la sopravvenienza aveva evitato che il risultato dell’esercizio fosse negativo, di modo che non aveva integralmente compensato l’imposta non pagata nel 2004. Contro questa sentenza propone ricorso la società per ottenerne la cassazione, che affida a tre motivi, illustrati con memoria, cui replica con controricorso la sola sede centrale dell’Agenzia.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, col quale la società lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 e del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8, là dove il giudice d’appello ha escluso la possibilità di far valere, se non con la dichiarazione integrativa, l’errore materiale commesso nell’indicazione delle rimanenze finali di esercizio, è inammissibile per carenza d’interesse ad agire.

Le sezioni unite di questa Corte (Cass., sez. un., 30 giugno 2016, n. 13378) hanno riconosciuto che il contribuente in sede contenziosa può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, purchè essi incidano sull’obbligazione tributaria. La società, tuttavia, non ha spiegato in che modo la correzione dell’errore indicato possa incidere sull’obbligazione tributaria definita dalla sentenza impugnata, che è rimasta circoscritta al solo disconoscimento dei costi, in ordine alla mancanza di certezza dei quali essa stessa finisce col convenire. La narrativa della sentenza impugnata evidenzia difatti che il giudice di primo grado “rilevava altresì la fondatezza del rilievo della ricorrente riguardo all’errata indicazione delle rimanenze finali dovuta ad un evidente errore di trascrizione della cifra di Euro 83.546,69 invece di Euro 8.353,69”; laddove il giudice d’appello, pur rimarcando la necessità che l’errore fosse oggetto di dichiarazione in rettifica, ha respinto sul punto il gravame dell’Ufficio, limitandosi ad accoglierlo, “fermo il resto”, in relazione al “recupero a reddito dei maggiori costi di Euro 342.619,41”. Di qui l’irrilevanza delle ulteriori considerazioni svolte in memoria sull’emendabilità dell’errore.

2.- Parimenti inammissibile è il secondo motivo di ricorso, col quale, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la contribuente si duole del vizio di motivazione scaturente dall’omesso esame del quadro RN del modello UNICO 2007/2006, unitamente a quello del quadro RN del modello UNICO 2005/2004, volti a dimostrare l’esistenza di un credito d’imposta che avrebbe potuto almeno parzialmente compensare il debito d’imposta del quale si discute.

Il motivo non è difatti congruente col contenuto della decisione: là dove il giudice d’appello evoca la necessità della “reale conoscenza dell’entità della materia imponibile dell’esercizio 2006 e della relativa imposta”, mostra di riferire tale “reale conoscenza” alla circostanza, immediatamente dopo enunciata, che entità della materia imponibile e corrispondente imposta fossero “ancora sottoposte a procedura di accertamento”. Secondo la Commissione, dunque, il fatto che fosse ancora pendente il termine previsto per l’azione di accertamento in relazione al periodo d’imposta 2006 non consente di affermare con certezza quale fosse l’importo dell’imposta dovuta e, per conseguenza, di riconoscere il credito vantato, la determinazione dei quali è necessaria ai fini dell’invocata compensazione. Ne scaturisce l’ininfluenza dell’indicazione delle imposte che la società assume dovute nei quadri RX trascritti in ricorso.

3.- In parte inammissibile ed in parte infondato è, infine, il terzo motivo di ricorso, col quale la società lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109 e art. 110, comma 8, in combinazione con la L. n. 212 del 2000, art. 8, là dove il giudice d’appello non ha preso atto della duplicazione d’imposta e disposto la compensazione del debito emergente nel 2004 col credito risultante nel 2006.

Esso è infondato quanto alla dedotta duplicazione d’imposta: il divieto di doppia imposizione scatta al momento della concreta liquidazione della seconda imposta e solo nel caso in cui l’Amministrazione ritenga di avere diritto di ricevere il doppio pagamento (Cass. 8 marzo 2013, n. 5886; 27 gennaio 2012, n. 1175); in una parola, si configura se e quando divenga attuale.

Di contro, nel caso in esame, quanto al primo profilo, il giudice d’appello rimarca la mancanza finanche della “reale conoscenza delle materia imponibile”; quanto al secondo, la pretesa dell’Amministrazione concerne il solo anno d’imposta oggetto dell’accertamento e, quindi, soltanto il primo, omesso pagamento.

Il motivo è poi inammissibile quanto alla pretesa di compensazione, la quale postula, come correttamente rilevato dal giudice d’appello, la certezza della posta che ne costituisce oggetto. Posta, che nel caso in esame è rappresentata dal credito IRES indicato nel quadro RN su cui punta la società. Giova quindi rimarcare che incombe sul contribuente, il quale invochi il riconoscimento di un credito d’imposta, l’onere di provarne i fatti costitutivi, non essendo a tal fine sufficiente l’esposizione della pretesa nella dichiarazione, poichè il credito fiscale non nasce da questa, ma dal meccanismo fisiologico di applicazione del tributo (tra varie, Cass. 26 ottobre 2012, n. 18427).

A tanto va aggiunto che, oltre che certa, l’esistenza del credito dev’essere attuale. E, nel caso in esame, la società non deduce neanche che il credito concernente l’anno d’imposta 2006 fosse ancora attuale al momento della notifica dell’avviso di accertamento, risalente al 2009.

Ne emerge la non decisività della censura proposta, che, postulando l’esistenza del credito, reputa ineludibile la compensazione.

4.- Le spese seguono la soccombenza in relazione alla parte costituita.

PQM

la Corte:

dichiara inammissibili i primi due motivi di ricorso e rigetta il terzo.

Condanna la società a pagare le spese sostenute dalla parte costituita, che liquida in Euro 9000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2017

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