Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6930 del 02/03/2022

Cassazione civile sez. VI, 02/03/2022, (ud. 02/02/2022, dep. 02/03/2022), n.6930

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 17410 del ruolo generale dell’anno

2020, proposto da:

M.D. (C.F.: (OMISSIS)), S.P. (C.F.: (OMISSIS)),

rappresentati e difesi dall’avvocato Gaetano Troiani (C.F.:

(OMISSIS));

– ricorrenti –

nei confronti di:

ITALFIDUCIARIA S.r.l. (C.F.: (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, G.A. rappresentato e

difeso dall’avvocato Giuliano Crivellaro (C.F.: (OMISSIS));

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Vene-zia

n. 4459/2019, pubblicata in data 17 ottobre 2019;

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in

data 2 febbraio 2022 dal consigliere Dott. Tatangelo Augusto.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Italfiduciaria S.r.l. ha ottenuto un decreto ingiuntivo per l’im-porto di € 61.437,29 nei confronti di Dario M. e Paola S., sulla base di una scrittura ricognitiva di debito di que-sti ultimi.

L’opposizione degli ingiunti è stata accolta dal Tribunale di Vicenza.

La Corte di Appello di Venezia, in riforma della decisione di primo grado, l’ha invece rigettata.

Ricorrono il M. e la S., sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso Italfiduciaria S.r.l..

E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato inammissibile.

E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.

Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2, c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è inammissibile.

Esso, in primo luogo, non rispetta il requisito della esposizione sommaria dei fatti prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

Tale requisito è considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso e deve consistere in una esposizione sufficiente a garantire alla Corte di cassazione di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass., Sez. U, Sentenza n. 11653 del 18/05/2006, Rv. 588770 – 01; conf.: Sez. 3, Ordinanza n. 22385 del 19/10/2006, Rv. 592918 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 15478 del 08/07/2014, Rv. 631745 – 01; Sez. 6 – 3, Sentenza n. 16103 del 02/08/2016, Rv. 641493 – 01). La prescrizione del requisito in questione non risponde ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata della censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass., Sez. U, Sentenza n. 2602 del 20/02/2003, Rv. 560622 – 01; Sez. L, Sentenza n. 12761 del 09/07/2004, Rv. 575401 – 01; Cass., Sez. U, Sentenza n. 30754 del 28/11/2004). Stante tale funzione, per soddisfare il suddetto requisito è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed infine del tenore della sentenza impugnata.

Il ricorso in esame, nell’esposizione del fatto, non presenta tale contenuto minimo.

La parte di esso dedicata all’esposizione del “Fatto” non contiene infatti specifici e adeguati riferimenti all’oggetto sostanziale della controversia e, in particolare, allo svolgimento dei rapporti intercorsi tra le parti (limitandosi i ricorrenti, sul punto, ad affermare che di tali rapporti “si dava un’ampia ricostruzione nel corpo dell’atto introduttivo”), alle ragioni delle reciproche richieste in giudizio (limitandosi i ricorrenti, sul punto, ad affermare di avere eccepito, nel giudizio di primo grado, “l’improponibilità, inammissibilità ed improcedibilità della domanda azionata dall’ingiungente per litispendenza”, senza null’altro aggiungere in proposito), ai motivi della decisione di primo grado di accoglimento dell’opposizione ed alle ragioni del gravame proposto dalla società attrice in sede monitoria avverso tale decisione.

Le indicate lacune espositive – diversamente da quanto sostnuto dai ricorrenti nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2 – non possono ritenersi superabili neanche sulla base dell’esame del contenuto dei singoli motivi del ricorso, che risultano anzi anch’essi inammissibili, per difetto di specificità, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, come sarà illustrato in prosieguo.

2.1 Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, errores in procedendo. Nullità della sentenza per violazione dei principi regolatori del giusto processo contenuti negli artt. 99,112,113,115 c.p.c. ed elaborati dalla giurisprudenza in materia di corretta interpretazione della domanda e delle eccezioni e di onere di contestazione dei fatti ex adverso allegati”.

Le censure sono inammissibili, in quanto non sufficientemente specifiche, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Secondo la corte di appello, l’opposizione del M. e della S. al decreto ingiuntivo ottenuto nei loro confronti dalla Italfiduciara S.r.l. in virtù di un atto ricognitivo di debito, non era fondata su precise allegazioni in ordine al rapporto fondamentale ed alle ragioni della sua eventuale insussistenza o avvenuta estinzione, ma consisteva nella mera asserzione di una pretesa litispendenza, peraltro non suffragata da elementi sufficienti a consentirne la verifica in concreto.

Sebbene i ricorrenti sostengano che non sarebbero stati correttamente interpretati i loro atti difensivi, in realtà anche l’esposizione a conforto del motivo di ricorso in esame contiene una indicazione dei rapporti sostanziali intercorsi tra le parti estremamente confusa, che – nella congerie di richiami ad una serie di vicende, sia sostanziali che processuali, di cui non è adeguatamente chiarita la rilevanza ai fini della presente controversia – non consente di comprendere in modo adeguato il senso effettivo delle allegazioni a fondamento del ricorso stesso e, ancor prima, dell’opposizione proposta in sede di merito.

In ogni caso, si tratta di allegazioni che la corte di appello ha espressamente affermato essere rimaste sfornite di adeguato sostegno probatorio.

Neanche sotto tale profilo, il motivo di ricorso in esame contiene censure adeguatamente specifiche: i ricorrenti si limitano a sostenere, del tutto genericamente, che il corredo documentale prodotto nel giudizio di merito sarebbe sufficiente a dimostrare quanto da essi dedotto in fatto. Arrivano addirittura ad affermare che, benché i riferimenti ai singoli documenti prodotti non fossero stati specificati nei loro stessi atti difensivi (che contenevano, come rinvio al sostegno documentale delle allegazioni via via formulate, la semplice indicazione “doc”, priva di un numero identificativo), i giudici del merito avrebbero potuto e dovuto ricercare essi stessi i vari documenti idonei a documentare ciascuna allegazione: assunto manifestamente infondato, in quanto contrario al principio di necessaria specificità delle impugnazioni.

E’ d’altronde sufficiente, sul punto, osservare che la valutazione delle prove va effettuata secondo il prudente apprezzamento del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità nonché ribadire che, comunque, le censure esposte in proposito nel motivo di ricorso in esame non possono ritenersi sufficientemente specifiche, neanche sotto l’aspetto dell’invocato principio di non contestazione (in mancanza di adeguati riferimenti agli atti difensivi della controparte il cui contenuto potrebbe eventualmente essere interpretato in tal senso, ancora una volta in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6)

2.2 Con il secondo motivo si denunzia “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in riferimento all’art. 112 c.p.c. ed all’art. 1988 c.c.”.

Con il terzo motivo si denunzia “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in riferimento all’art. 115 c.p.c. ed all’art. 2697 c.c.”.

Il secondo ed il terzo motivo del ricorso in esame contengono un richiamo alle censure sviluppate con il primo motivo: i ricorrenti sostengono – in via subordinata rispetto all’accoglimento di detto primo motivo – che le predette censure dovrebbero ritenersi fondate, quanto meno sotto il profilo della violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 1988 c.c. (secondo motivo), ovvero sotto il profilo della violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. (terzo motivo, contenente ulteriore richiamo al principio di non contestazione), dovendosi ritenere correttamente allegata e provata l’insussistenza del rapporto sostanziale che aveva dato luogo alla ricognizione di debito in virtù della quale era stato emesso il decreto monitorio opposto.

Al contrario, il già rilevato difetto di specificità delle censure esposte con il primo motivo impedisce in radice di ritenere ammissibili e di esaminare nel merito anche quelle formulate con i motivi di ricorso in esame.

3. Il ricorso è dichiarato inammissibile.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna i ricorrenti a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 7.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2022

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