Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6928 del 11/03/2020

Cassazione civile sez. I, 11/03/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 11/03/2020), n.6928

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 4604/2019 proposto da:

E.O., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour,

presso la cancelleria della Corte di cassazione e rappresentato e

difeso dall’avvocato Vittorio D’Angelo per procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui

uffici in Roma, Via dei Portoghesi, 12, domicilia;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1523 /2018 della Corte di appello di Ancona

depositata il 20.07.2018;

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Laura Scalia nella

camera di consiglio del 14/01/2020.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Ancona con la sentenza in epigrafe indicata, pronunciando ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, ha rigettato l’appello proposto da E.O. avverso l’ordinanza con cui il locale Tribunale aveva disatteso l’opposizione avverso il provvedimento di diniego della competente Commissione territoriale dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ed umanitaria.

E.O. ricorre per la cassazione dell’indicata sentenza con due motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha articolato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente, originario della Nigeria, nel racconto reso dinanzi alla competente Commissione territoriale aveva dichiarato di essersi allontanato dal proprio Paese perchè il padre nell’anno 2012 venne ucciso da un gruppo armato, a lui sconosciuto, nel villaggio di (OMISSIS) ove viveva con la famiglia e la polizia, alla quale era stato denunciato il fatto, non fu in grado di identificare i colpevoli. Nell’agosto del 2013 E. stesso venne rapito da tre sconosciuti che lo informarono del fatto che il medesimo mandante dell’omicidio del padre aveva dato loro l’incarico di uccidere anche lui. Colpito al capo e risvegliatosi in ospedale raccontò il tutto alla polizia che anche in detta occasione non riuscì ad identificare i rapitori.

Ritornato nel proprio villaggio a (OMISSIS), dopo aver subito tentativi di effrazione all’interno della sua abitazione, decise di trasferirsi con la sua famiglia ad Abuja ove aprì un esercizio commerciale andato poi distrutto in seguito ad un bombardamento da parte del gruppo terroristico di Boko Haram, evento all’esito del quale egli decise di fuggire dalla Nigeria, lasciando ivi la propria famiglia.

1.1. Sull’indicato racconto, con il primo motivo il ricorrente fa valere la nullità processuale dell’impugnata sentenza per motivazione apparente (art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e dell’art. 111 Cost.).

La Corte di appello, in assenza di qualsivoglia originale elaborazione logica, aveva richiamato la motivazione del giudice di primo grado evidenziando la correttezza del ragionamento senza alcun riferimento alle censure mosse con l’atto di appello.

Il motivo è inammissibile.

Resta fermo il principio per il quale la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero integra un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito – il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), – e che tale apprezzamento di fatto diviene censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, o come motivazione apparente, o come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. n. 3340 del 05/02/2019; Cass. n. 33096 del 20/12/2018).

Quanto alla dedotta apparenza della motivazione, come questa Corte di legittimità ha affermato con costante indirizzo, da cui non si ha motivo di discostarsi nella sua apprezzata ragionevolezza, in tema di ricorso per cassazione, è nulla, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, la motivazione che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado, attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame (Cass. n. 27112 del 25/10/2018).

Ciò posto, in punto di principio, si ha che nella fattispecie in esame la sentenza enuncia il fatto come definito dal racconto del richiedente protezione per poi evidenziarne, con condivisione delle conclusioni raggiunte dal primo giudice, la riconducibilità ad episodi di delinquenza comune e comunque non ascrivibili alle fattispecie integrative dello status di rifugiato e tanto nell’apprezzato dubbio sulla veridicità degli episodi narrati per la scelta del richiedente di lasciare comunque in Nigeria la famiglia di origine.

Per i descritti contenuti, in cui chiaro è lo scrutinio delle evidenze fattuali contenute nel racconto, la motivazione ha carattere di autonomia evidenziando il processo decisionale della Corte di merito.

Vero è poi che il ricorrente nulla deduce, in applicazione del principio affermato da questa Corte di legittimità e sopra richiamato – che la parte pure pone a fondamento del motivo – in ordine a quelle deduzioni difensive che, portate all’esame del giudice di appello non avrebbe trovato nell’impugnata decisione alcuna valutazione critica, mancando in tal modo la censura di completezza e quindi di perspicuità e concludenza ed ammissibilità rispetto al voluto effetto di annullamento.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La Corte di merito non avrebbe considerato che nel racconto reso il dichiarante aveva riferito che egli si era trasferito ad Abuja nella fascia centrale della Nigeria uno dei maggiori bersagli del gruppo terroristico di Boko Haram; essendo inoltre quella città situata nel “middle belt” la Corte di merito avrebbe dovuto considerare la presenza di altre minacce, come quelle dei pastori “Fulani”, gruppo nomade di matrice musulmana radicale e tanto là dove il ricorrente aveva dedotto di essere un cristiano pentecostale.

Il motivo è inammissibile perchè generico e non autosufficiente.

Il trasferimento del richiedente ad Abuja e, per esso, della stessa residenza e, quindi, della zona del Paese in cui il primo verrà rimpatriato, non viene dedotto come fatto controverso in giudizio che, mancato nella valutazione del giudice di appello ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel suo carattere decisivo avrebbe, ove apprezzato, orientato la decisione impugnata nel senso dell’accoglimento della richiesta di protezione.

In tema di ricorso per cassazione, per effetto della modifica dell’art. 366-bis c.p.c., introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere dedotto mediante esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali l’insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, fornendo elementi in ordine al carattere decisivo di tali fatti, che non devono attenere a mere questioni o punti, dovendosi configurare in senso storico o normativo e potendo rilevare solo come fatto principale ex art. 2697 c.c., (costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche fatto secondario (dedotto in funzione di prova determinante di una circostanza principale) (Cass. n. 29883 del 13/12/2017).

Il motivo sul punto ha invero, e piuttosto, carattere illustrativo, mancando, per i segnalati principi, di specificità non indicando neppure a quali forme di protezione sussidiaria il richiedente avrebbe avuto accesso ove l’evidenza fattuale avesse costituito oggetto di apprezzamento da parte della Corte di merito.

3. Il ricorso è in via conclusiva inammissibile.

Nulla sulle spese non avendo l’Amministrazione pur intimata articolato difese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2020

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