Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6926 del 08/04/2016


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 6926 Anno 2016
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

SENTENZA

sul ricorso 21635-2009 proposto da:
ANAS S.P.A., in persona del legale rappresentante pro
tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo
rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

AGRARIA VENETA ROMAGNOLA S.R.L., CO.RE.STRA. S.R.L.;
– intimate –

Nonché da:
AGRARIA VENETA ROMAGNOLA S.R.L. (c.f. 03106940582), in

Data pubblicazione: 08/04/2016

persona del legale rappresentante pro tempore,
domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE 85, presso
l’avvocato SALVATORE AJELLO, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato LORIS LISI, giusta
procura in calce al controricorso e ricorso

– con troricorrente e ricorrente Incidentale contro

CO.RE.STRA. S.R.L., ANAS S.P.A.;

intimate

avverso la sentenza n. 1085/2008 della CORTE D’APPELLO
di BOLOGNA, depositata il 03/07/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 25/02/2016 dal Consigliere Dott. MARIA
GIOVANNA C. SAMBITO;
udito,

per

la

controricorrente

e

ricorrente

incidentale, l’Avvocato S. AJELLO che si riporta;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PIERFELICE PRATIS che ha concluso per
il rigetto di entrambi i ricorsi.

incidentale;

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Società Agraria Veneta Romagnola S.r.l. convenne in
giudizio innanzi alla Corte d’Appello di Bologna la S.r.l.

opposizione avverso la determinazione dell’indennità di
espropriazione dell’area di mq. 4626, ablata per la realizzazione
di uno svincolo stradale, ritenuta vile, anche in considerazione del
deprezzamento della restante sua proprietà.
Con sentenza del 3 luglio 2008, resa nella contumacia della
Società Co.re.stra., la Corte adita, affermò, per quanto interessa,
che: a) la superficie espropriata costituiva, ad eccezione di mq.
66, un’area agricola, idonea, secondo quanto accertato dal CTU,
ad essere utilizzata per colture di maggior pregio, quali l’orto
irriguo ed il frutteto irriguo, e ne determinò l’ammontare in
ragione del relativo VAM, correggendo, in conseguenza
l’indennità di occupazione; b) il deprezzamento della restante
proprietà era sussistente ed apprezzabile in ragione del 50%, in
considerazione delle difficoltà di coltivazione derivanti dal
frazionamento dell’area; c) ordinò il deposito della differenza tra
quanto determinato e quanto eventualmente già depositato, con
gli interessi legali di natura compensativa, escluso, pertanto, il
maggior danno, ex art. 1224 cc, anche perché non dimostrato.
Per la cassazione della sentenza, l’espropriante ha proposto
ricorso con quattro motivi, successivamente illustrato da
memoria, ai quali la Società espropriata ha resistito con

i

Co.re.stra e l’Ente Nazionale Strade (ANAS) proponendo

controricorso, col quale ha proposto ricorso incidentale. La
Società Co.re.stra non ha svolto difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE

applicazione degli artt. 16, co. 3 e 6, della L. n. 865 del 1971,
come richiamata dall’art. 5 bis, co 4, della L n. 359 del 1992, la
ricorrente principale lamenta che la Corte del merito ha tenuto
conto delle potenzialità di coltivazione del fondo, piuttosto che
considerare i valori agricoli medi, riferiti alle colture
effettivamente praticate nell’area da espropriare.
2. Col secondo motivo, si deduce, nuovamente la
violazione e falsa applicazione degli artt. 16, co 3 e 6, della L. n.
865 del 1971, come richiamata dall’art. 5 bis, co 4, della L n. 359
del 1992, oltre che dell’art. 20, co 4, della L. n. 865 del 1971, in
riferimento alla determinazione dell’indennità di occupazione,
quantificata in proporzione a quella d’espropriazione.
3. Col terzo mezzo la ricorrente lamenta la violazione
dell’art. 46 della L. n. 2359 del 1865, per avere la Corte
bolognese liquidato l’indennità per la diminuzione di valore
subita dalla parte non ablata del fondo, non comportando tale
deprezzamento una sensibile perdita di utilità della parte residua,
ma, solo, una sua scarsa utilizzabilità.
4. Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta il vizio di
motivazione in cui è incorsa l’impugnata sentenza, che, nel
determinare l’indennità riferita al residuo, aveva adottato

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1. Col primo motivo, deducendo la violazione e falsa

immotivatamente una quantificazione intermedia tra quella
operata dal CTU e quella riconosciuta dalla Commissione
Provinciale.

ricorso e dei primi due motivi per violazione degli artt. 366, co 1,
n. 6 formulata dalla controricorrente, in quanto, da una parte, le
censure involgono profili di diritto ed è stato richiesto alla
cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata
di trasmettere il fascicolo d’ufficio, e, dall’altra, risultano esposti
gli elementi idonei a far comprendere alla Corte i punti salienti
della vicenda processuale, le doglianze, che vanno
congiuntamente esaminate, perché attinenti all’unica questione
della determinazione dell’indennità di espropriazione, sono
infondate.
6. La Corte Costituzionale con la sentenza n. 181 del 2011,
facendo seguito alle sentenze n. 348 e 349 del 2007, ha dichiarato
illegittimo il criterio dei valori agricoli medi, dettato dal
combinato disposto degli artt. 5 bis, co 4, della L. n. 359 del
1992, 15, co 1, e 16 della L. n. 865 del 1971, ed in via
consequenziale dall’art. 40, co 2 e 3, del dPR n. 327 del 2001, per
la determinazione dell’indennità di espropriazione per le aree
agricole e per le aree non suscettibili di classificazione
edificatoria, evidenziando che detta normativa è commisurata ad
un valore -quello tabellare- che, prescindendo dall’area oggetto
del procedimento espropriativo ed ignorando ogni dato valutativo

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5. Disattesa, l’eccezione d’inammissibilità dell’intero

inerente ai requisiti specifici del bene, ha un carattere
inevitabilmente astratto che elude il ragionevole legame con il
valore di mercato del bene ablato, ritenuto necessario dalla

7. Il sistema indennitario è, dunque, svincolato dalla
disciplina delle formule mediane e dei parametri tabellari, e
risulta, invece, agganciato al valore venale del bene. E proprio
tale valore risulta, in concreto, considerato dal giudice del merito
che nel determinare le indennità di espropriazione e quella di
occupazione (che va posta in rapporto con la prima, come
riconosce la stessa ricorrente tenuto conto del nesso logico e,
soprattutto, economico che le lega) ha posto in evidenza le
peculiarità favorevoli del fondo espropriato, in riferimento alla
natura morfologica dello stesso, alla possibilità di utilizzo di
acqua per colture irrigue (sottintesa nella valutazione di orto e
frutteto irrigui), ed alla destinazione edificatoria di parte di esso.
8. La dedotta violazione dell’art. 46 della legge
fondamentale è, invece, del tutto fuori tema. 9. Ed infatti, la Corte
d’Appello ha determinato l’incidenza negativa dovuta alla residua
proprietà, ritenendo, implicitamente, configurabile un’ipotesi di
espropriazione parziale, regolata dall’art. 40 della L. n. 2359 del
1865, che ricorre quando la vicenda ablativa investa parte di un
complesso immobiliare -sia esso agricolo o edificatoriocaratterizzato da un’unitaria destinazione economica, e determini
un pregiudizio diverso da quello ristorabile mediante l’indennizzo

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giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

calcolato con riferimento soltanto alla porzione espropriata a
causa della compromissione o dell’alterazione delle possibilità di
utilizzazione della restante porzione e del connesso

corretta applicazione del principio (cfr. Cass. n. 4787 del 2012;
Cass. SU n. 10502 del 2012), secondo cui in presenza di un’unica
vicenda espropriativa non sono concepibili distinti crediti, l’uno a
titolo di indennità di espropriazione e l’altro a titolo di
risarcimento del danno per il deprezzamento che abbiano subìto
le parti residue del bene espropriato, tenuto conto che tale voce è
da considerare ricompresa nell’indennità di espropriazione, che,
per definizione, riguarda l’intera diminuzione patrimoniale subita
dal soggetto passivo per effetto del provvedimento ablativo
(Cass. 21.11.2001, n. 14640; 6.6.2003, n. 9096).
9. Il caso qui in esame non va, quindi, confuso con quello
previsto dell’art. 46 della medesima L. n. 2359 del 1865, di cui la
ricorrente deduce la violazione, in cui è previsto uno speciale
indennizzo in favore del privato nel caso in cui lo stesso abbia
conservato la titolarità dell’immobile, ma subito, per effetto
dell’esecuzione di un’opera pubblica, la diminuzione o la perdita
di una o più facoltà inerenti al proprio diritto dominicale, con
pregiudizio permanente. Il riconoscimento di tale indennizzo, che
si fonda sul principio di giustizia distributiva e la cui
determinazione esula dalla competenza in unico grado della Corte
d’appello ex art. 19 della L. n. 865 del 1971, non compete,

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deprezzamento. Cosi operando, i giudici del merito hanno fatto

dunque, al proprietario espropriato e postula, diversamente che
nel caso in esame, che non sia intervenuto esproprio (Cass.
16.9.2009, n. 19972; 20.7.2001, n. 9926; n. 9488 del 2014).

peraltro generico, non avendo la ricorrente trascritto i passi della
relazione di CTU utilizzata dalla Corte territoriale per la
determinazione del deprezzamento dell’area residua, e comunque
criptico facendo riferimento, in seno al quesito, a profili
d’edificabilità che non vengono in rilievo- è , dunque, infondato,
tanto più che la stessa ricorrente riconosce, in concreto, sussistere
la diminuzione di valore del residuo (di cui predica
l’inutilizzabilità) che l’impugnata sentenza riconduce, con
motivazione del tutto congrua, alle difficoltà di coltivazione
derivanti dall’intervenuto frazionamento dell’area.
11. Il ricorso incidentale, con cui le Società lamentano,
sotto il profilo della violazione dell’art. 1224, co 2, cc, che la
Corte d’Appello abbia negato la spettanza del maggior danno, è
inammissibile. 12. La Corte territoriale ha rigettato la proposta
domanda di risarcimento di detto maggior danno, affermando
trattarsi di interessi compensativi e, “peraltro” aggiungendo che la
parte non aveva fornito alcuna prova al riguardo. Ora, la
menzionata qualificazione degli interessi, in base alla quale gli
stessi spettano per il principio della naturale fecondità del denaro,
a prescindere dalla colpa del debitore nel mancato o ritardato
pagamento -profilo che, invece, è tipico della funzione risarcitoria

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10. Il vizio motivazionale dedotto col quarto motivo –

degli interessi di mora- non è stata impugnata dalla ricorrente
incidentale, ed è perciò irrevocabile. 13. Peraltro, la parte
espropriata afferma di aver sempre richiesto la rivalutazione

sentenza n. 19499 del 2008 delle SU di questa Corte, in base alla
quale il creditore è assolto dall’onere di provare il maggior danno,
quando, beninteso, esso sia stato richiesto, come, da ultimo,
ribadito dalle stesse SU con la sentenza n. 5743 del 2015,
secondo cui: “il creditore di una obbligazione di valuta, il quale
intenda ottenere il ristoro del pregiudizio da svalutazione
monetaria, ha l’onere di domandare il risarcimento del “maggior
danno” ai sensi dell’art. 1224, secondo comma, cod. civ., e non
può limitarsi a domandare semplicemente la condanna del
debitore al pagamento del capitale e della rivalutazione, non
essendo quest’ultima una conseguenza automatica del ritardato
adempimento delle obbligazioni di valuta”.
14. Le spese, in considerazione dell’esito della lite, vanno
compensate per un terzo, dovendo porsi a carico della ricorrente
principale, maggiormente soccombente, i restanti due terzi, spese
che, nell’intero, vanno liquidate in complessivi € 3.000,00, di cui
C 200,00 per spese, oltre accessori.
PQM
La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile
quello incidentale, compensa per un terzo le spese del presente
giudizio di legittimità, condanna la ricorrente principale al

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(propria delle obbligazioni di valore) limitandosi ad invocare la

pagamento dei restanti due terzi, spese liquidate nell’intero in
complessivi

e 3.000,00, oltre accessori.

Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2016.

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