Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6925 del 17/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 17/03/2017, (ud. 30/01/2017, dep.17/03/2017),  n. 6925

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 17680/2011 R.G. proposto da:

R.A.X., rappresentato e difeso dall’Avv. Tiziano

LUCCHESE, con domicilio eletto presso lo studio del Prof. Avv.

Francesco D’AYALA VALVA, in Roma, Viale Parioli, n. 43, per procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

nonchè

sul ricorso incidentale proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, e AGENZIA DELLE DOGANE, in persona del Direttore pro

tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso la quale è domiciliata ex lege in Roma, via dei

Portoghesi n. 12;

– ricorrente incidentale –

contro

R.A.X.

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Aosta

n. 4/1/11, depositata il 11 aprile 2011;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 30 gennaio 2017

dal Cons. Giuseppe Fuochi Tinarelli;

udito l’Avv. Tiziano Lucchese che si riporta al ricorso;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale ZENO Immacolata, che ha concluso per: inammissibilità, e

in subordine rigetto, del ricorso principale; inammissibilità del

primo motivo del ricorso incidentale, assorbiti i restanti.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. In esito ad una accertata fraudolenta importazione di bovini vivi con false fatture di acquisto, risalente al (OMISSIS), la Dogana di Aosta emetteva, nei confronti di R.A.X., le ingiunzioni nn. 1015 e 1016 del 1997, per il pagamento dell’IVA evasa ed interessi di mora. Inviava, poi, alla competente Dogana tedesca, ai sensi della Direttiva CEE n. 76/308, formale richiesta di recupero coattivo del credito vantato dall’Amministrazione finanziaria italiana. Il R., peraltro, proponeva separate opposizioni tardive avverso le ingiunzioni; i giudizi – sospesa nelle more l’attività esecutiva da parte della Dogana tedesca – si concludevano con il rigetto definitivo del ricorso proposto avverso l’ingiunzione n. 1015 (Cass. n. 22152 del 2006) e con una decisione favorevole al contribuente quanto all’ingiunzione n. 1016 (Cass. n. 7276 del 2007).

L’Ufficio delle Dogane di Aosta con nota del 11 settembre 2007 chiedeva, quindi, la ripresa della procedura esecutiva per il recupero forzoso del solo credito di cui all’ingiunzione n. 1015; il competente Ufficio tedesco emetteva ugualmente avvisi di esecuzione per entrambi i crediti portati nei rispettivi titoli.

2. Il ricorso proposto dal contribuente avverso tali avvisi, e con il quale denunciava la violazione delle disposizioni regolatrici l’assistenza internazionale in materia di riscossione, la carenza di idoneo titolo esecutivo, la decadenza dell’Amministrazione finanziaria italiana e l’insussistenza della propria responsabilità, veniva respinto dalla CTP di Aosta che disattendeva anche l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dall’Agenzia delle dogane; la decisione veniva riformata dalla Commissione Tributaria Regionale di Aosta limitatamente all’avviso di esecuzione relativo all’ingiunzione n. 1016.

3. Il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. L’Agenzia delle dogane e il Ministero delle finanze resistono con controricorso e propongono, a loro volta, ricorso incidentale con tre motivi, depositando altresì memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Va dichiarato, preliminarmente, il difetto di legittimazione del Ministero delle finanze, spettando essa, in forza del D.Lgs. n. 300 del 1999, istitutivo delle Agenzie fiscali, all’Agenzia delle dogane a decorrere dal 1 gennaio 2001, data di operatività della disciplina.

5. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, e art. 36 avuto riguardo alle disposizioni che regolano la richiesta di assistenza agli Stati UE in tema di recupero dei crediti sorti nel territorio dello Stato ovvero la violazione del D.P.R. n. 43 del 1973, artt. 346 bis e ss anche in quanto richiamati dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 62 bis, comma 6, nonchè la violazione della Direttiva 76/308 CEE (oggi Direttiva 2008/55/CE), per omessa pronuncia, rilevando che, come dedotto con specifico motivo con l’atto d’appello, la richiesta di assistenza internazionale in materia di riscossione IVA rivolta all’autorità tedesca è condizionata all’avvio, nello Stato italiano, della procedure esecutive per il recupero del credito quando le misure adottate non porteranno al pagamento integrale del credito – procedure nella specie non attivate nonostante l’esistenza di cespiti immobiliari nel territorio italiano – senza che la sentenza abbia statuito su tale doglianza.

6. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione delle medesime disposizioni regolatrici della richiesta di assistenza agli Stati UE in tema di recupero dei crediti sorti nel territorio dello Stato rilevando che l’Amministrazione finanziaria italiana avrebbe dovuto, prima di avviare la richiesta di assistenza internazionale, avviare le procedure di recupero interne, restando esclusa la possibilità, per lo Stato richiedente, di valutare, in via astratta, l’idoneità dei beni di soddisfare il credito vantato ed omettere, quindi, di dare corso alle procedure esecutive.

Chiede, inoltre, ove si prospetti la diversa interpretazione di non esigere l’effettivo avvio di adeguate procedure se, sulla base di una valutazione prognostica, i beni siano inidonei a soddisfare il credito, di sospendere il processo e sottoporre alla Corte di Giustizia, in via pregiudiziale ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE, il relativo quesito interpretativo.

7. Con il primo motivo del ricorso incidentale l’Agenzia delle dogane denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 218 del 1995, in ispecie, del Titolo 2^ e dell’art. 3, anche in riferimento all’art. 111 Cost. e dell’art. 1 c.p.c., nonchè la violazione dell’art. 12, par. 3, della Direttiva n. 76/308/CEE, come modificata dalla Direttiva del Consiglio 2001/44/CE, e del D.Lgs. n. 69 del 2003, art. 6 in riferimento anche al R.D.L. n. 1676 del 1938, per aver la CTR ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice italiano, mentre, riguardando la contestazione la violazione delle norme regolanti la procedura di assistenza internazionale, il vizio attiene alla fase della riscossione e, dunque, la cognizione della relativa controversia appartiene alla competenza dell’autorità giudiziaria tedesca.

8. Con il secondo motivo del ricorso incidentale denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, carenza di motivazione su un punto decisivo della controversia per aver la CTR erroneamente imputato l’eccezione di difetto di giurisdizione alla controparte, ritenendo altresì che quest’ultima vi avesse rinunciato, mentre la questione era stata sollevata e proposta dall’Agenzia delle dogane.

9. La medesima questione è infine riproposta con il terzo motivo, con cui si denuncia omessa motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

10. Vanno esaminati, preliminarmente, i motivi proposti dall’Agenzia delle dogane, di carattere pregiudiziale rispetto alle doglianze fatte valere dal ricorrente principale, non ricorrendo, in ogni caso, i presupposti per qualificare il ricorso come incidentale condizionato per non essere stata la parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito (v. Sez. U, n. 5456 del 2009).

10.1. Le doglianze, che possono esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, non sono fondate.

10.2. Giova premettere, invero, che il primo dei tre motivi pur intitolato quale violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, va sussunto – come emerge univocamente dall’intera articolazione della doglianza – nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, lamentando l’Agenzia delle dogane la mancata declinatoria della giurisdizione del giudice nazionale.

10.3. La questione, inoltre, pur riguardando il riparto tra la giurisdizione tedesca e quella nazionale, è suscettibile di esame da parte della sezione semplice ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 1, u.p., trattandosi di profili su cui – come più ampiamente delineato nel prosieguo – le Sezioni Unite si sono più volte occupate con riguardo a fattispecie similari.

10.4. Ciò premesso, se è ben vero che la CTR ha erroneamente imputato l’eccezione di difetto di giurisdizione al contribuente ed ha inopinatamente ritenuto, non trovando evidentemente traccia della questione negli atti facenti capo a quest’ultimo, la questione abbandonata, così omettendo di statuire sul motivo d’appello proposto invece dall’Agenzia delle dogane – testualmente riprodotto nel ricorso in osservanza del principio di autosufficienza -, l’eccezione è infondata.

10.4. Occorre peraltro definire due profili:

a) quale sia la disciplina in concreto applicabile;

b) quale sia la domanda formulata dal contribuente.

10.5. Quanto al primo profilo, la vicenda in esame prende le mosse da una richiesta del 5 marzo 1998 della Dogana di Aosta alla competente Dogana tedesca per il pagamento, sulla base di un titolo esecutivo, di un credito IVA del quale era chiesto il recupero in regime di mutua assistenza amministrativa tra gli Stati membri della Comunità Europea.

La procedura esecutiva intrapresa in Germania, sospesa a seguito delle contestazioni del credito e dei titoli esecutivi da parte del contribuente, in esito alla definizione dei giudizi contenziosi era riattivata con la richiesta del 11 settembre 2007 per il recupero forzoso del solo credito relativo all’ingiunzione n. 1015 del 1997.

L’iter procedurale tra l’originaria istanza e la successiva riattivazione, dunque, non ha sofferto di alcuna soluzione di continuità, costituendo la stessa sospensione (in dipendenza della contestazione del credito) una evenienza fisiologica, sicchè il procedimento per l’avvio della mutua collaborazione per la riscossione del credito IVA resta quello originariamente intrapreso con la richiesta del 5 marzo 1998.

A tale data il quadro normativo vigente rinveniva, come dato primitivo, il R.D.L. 9 settembre 1938, n. 1676 di “Approvazione della Convenzione sull’assistenza amministrativa e giudiziaria in materia tributaria, stipulato in Roma, fra l’Italia e la Germania, il 9 giugno 1938”, da coordinare, peraltro, con le successive disposizioni legislative emanate in tema di mutua assistenza fra gli Stati membri delle Comunità europee in materia di recupero dei crediti e segnatamente:

a) dalla direttiva n. 76/308/CEE del 15 marzo 1976, alla quale è stata data attuazione in Italia con l’inserimento degli artt. 346 bis e ss. nel Testo Unico delle Leggi Doganali (approvato con D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43), disposto con il D.P.R. 9 gennaio 1978, n. 35, art. 1; l’art. 12 della citata direttiva (rilevante ai fini del riparto di giurisdizione) prevede che: “1. Se nel corso della procedura di ricupero un interessato contesta il credito o il titolo che ne permette l’esecuzione, emesso nello Stato membro in cui ha sede l’autorità richiedente, egli deve adire l’organo competente dello Stato membro in cui ha sede l’autorità richiedente, in conformità delle norme di legge vigenti in quest’ultimo. Quest’azione deve essere notificata dall’autorità richiedente all’autorità adita. Essa può inoltre essere notificata dall’interessato all’autorità adita. 2. (…) 3. Quando la contestazione riguarda i provvedimenti esecutivi adottati nello Stato membro in cui ha sede l’autorità adita, l’azione viene intrapresa davanti all’organo competente di questo Stato membro, in conformità delle disposizioni legislative e regolamentari ivi vigenti. 4. (…)”;

b) l’art. 346 ter T.U.L.D. (“Richiesta di assistenza agli altri Stati membri delle Comunità europee per il ricupero di crediti sorti nel territorio della Repubblica”), secondo il quale “L’amministrazione doganale, relativamente ai crediti di cui all’art. 346-quater sorti nel territorio della Repubblica si avvale, ove occorra, dell’assistenza degli organi competenti degli altri Stati membri delle Comunità europee, richiedendo che nei confronti di persone fisiche o giuridiche vengano fornite informazioni, eseguite notifiche di atti, sentenze e decisioni, intraprese procedure esecutive ed adottate misure cautelative. (…) Se riguarda il ricupero di un credito, la domanda deve contenere l’indicazione della data a decorrere dalla quale è possibile procedere alla esecuzione secondo le disposizioni nazionali vigenti nonchè la dichiarazione che il credito ed il titolo esecutivo non sono contestati nel territorio della Repubblica e che la procedura per il ricupero è stata in esso intrapresa senza però portare al pagamento integrale del credito. Eventuali azioni in sede amministrativa o giurisdizionale per contestare il credito o il titolo esecutivo ovvero le misure cautelative adottate nell’altro Stato membro devono essere proposte davanti ai competenti organi nazionali; in tali casi l’amministrazione doganale informa il competente organo dell’altro Stato membro ai fini della sospensione della procedura di esecuzione ivi intrapresa. Se la contestazione riguarda i provvedimenti esecutivi adottati nell’altro Stato membro su richiesta dell’amministrazione anzidetta, l’azione va proposta davanti al competente organo dello Stato medesimo” Giova inoltre sottolineare che, se la portata originaria dell’art. 346 quater T.U.L.D. non comprendeva i crediti relativi all’imposta sul valore aggiunto, con la L. 19 febbraio 1985, n. 3, di modifica del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 62 cui vennero aggiunti due commi, venne espressamente estesa anche all’IVA l’applicazione delle disposizioni sull’assistenza reciproca (il comma 6, in particolare, disponeva “Per il recupero dei crediti sorti negli Stati membri delle Comunità europee in materia di imposta sul valore aggiunto si applicano le disposizioni contenute nel testo unico delle norme legislative in materia doganale approvato con D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, artt. 346-bis, 346-ter, 346-quater e 346-quinquies sostituita alla competenza degli uffici doganali quella degli uffici dell’imposta sul valore aggiunto per il recupero dei crediti non connessi ad operazioni doganali.”)

10.6. Va comunque rimarcata l’irrilevanza dell’avvenuta successiva abrogazione degli artt. 346 bis e ss, nonchè degli ultimi due commi dell’art. 62 cit., ad opera del D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 69, art. 11 sia perchè efficace solo dall’entrata in vigore del nuovo decreto, sia perchè il medesimo criterio di ripartizione di competenze e di collaborazione fra Stati è stato recepito dal D.Lgs. n. 69 cit., artt. 5 e 6 in attuazione della direttiva 2001/44/CE.

Analogamente irrilevante è la sostituzione della direttiva n. 76/308/CEE ad opera della direttiva n. 2008/55/CE, il cui art. 12 regola la questione negli stessi termini.

10.7. Il criterio di riparto della giurisdizione che emerge dalla citata disciplina è il seguente: ove le contestazioni riguardino il credito od il titolo esecutivo, la controversia appartiene alla giurisdizione dello Stato richiedente, mentre quando investano gli atti esecutivi, è competente l’organo giurisdizionale dello Stato destinatario. Tale ripartizione costituisce – come spiegato dalla Corte di Giustizia, in C-233/08, par. 40 – “corollario del fatto che il credito e il titolo esecutivo vengono emessi sulla base del diritto vigente nello Stato membro in cui ha sede l’autorità richiedente, mentre, per i provvedimenti esecutivi adottati nello Stato membro in cui ha sede l’autorità adita, quest’ultima applica, in forza degli artt. 5 e 6 della direttiva 76/308, le disposizioni previste dal proprio diritto nazionale per atti corrispondenti, poichè tale autorità è quella che si trova nella migliore posizione per giudicare della legittimità di un atto in funzione del suo diritto nazionale”.

10.8. Quanto al secondo profilo, la domanda del contribuente, per quanto rileva nella presente sede, è diretta a contestare la regolarità della richiesta di assistenza da parte dell’autorità finanziaria italiana all’autorità doganale tedesca per il recupero del credito fondato su titolo esecutivo emesso in Italia.

In particolare, il contribuente denuncia che siano state omesse integralmente le procedure esecutive per il recupero del credito sui beni da lui posseduti in Italia, determinando tale omissione l’illegittimità della domanda di assistenza rivolta all’autorità di altro Stato membro.

10.9. Orbene, tale doglianza non investe gli atti esecutivi e la procedura di riscossione ma ha ad oggetto un atto prodromico alla procedura stessa, di cui, anzi, costituisce il presupposto in base al quale lo Stato richiesto si attiva per dare corso al recupero del credito.

Ciò che viene messo in discussione, dunque, è l’esistenza di un titolo idoneo (per carenza di un requisito procedurale valutabile alla stregua del diritto nazionale) per poter iniziare l’attività esecutiva nel diverso Stato.

10.10. In tal senso, sia pure con riguardo a vicende opposte a quella in esame e nelle quali, ai sensi dell’art. 346 bis T.U.L.D., era l’Italia lo Stato richiesto dell’assistenza e la Germania lo Stato creditore, si sono del resto ripetutamente espresse le Sezioni Unite. In questa prospettiva è stato precisato che in materia di crediti per tributi sorti negli Stati membri della Comunità europea, le condizioni previste – nelle fattispecie concrete – dall’art. 346 bis, comma 2, lett. b), non vanno accertate dall’Amministrazione italiana prima di procedere ad esecuzione forzata, ma devono essere solo attestate nella richiesta di assistenza reciproca avanzata dalla Amministrazione finanziaria dello Stato che ha emesso il titolo esecutivo, sicchè, “ove la richiesta contenga l’indicazione della data di esigibilità del credito, la dichiarazione di non contestazione del credito e del titolo esecutivo nello Stato emittente, nonchè quella del mancato integrale recupero del credito in quello Stato malgrado l’azione esecutiva in esso intrapresa, l’Amministrazione italiana può dare corso all’azione di recupero, fermo restando che le contestazioni concernenti il merito dei suddetti elementi vanno indirizzate all’organo competente dello Stato creditore, poichè riguardano il titolo esecutivo estero e non la procedura di riscossione del credito in Italia” (v. Sez. U, n. 760 del 2006, Rv. 585787-01, con riferimento, da un lato, all’accertamento del credito e all’eccezione di prescrizione e, dall’altro, alle questioni sui vizi propri della notifica della cartella esattoriale; Sez. U, n. 21669 del 2006, Rv. 594652-01; Sez. U, n. 13357 del 2008, Rv. 603548-01; Sez. U, n. 18189 del 2008, Rv. 603935-01).

Va, inoltre richiamato il precedente di Sez. U, n. 9671 del 2009, Rv. 607448-01, che, interpretando l’art. 346 bis, commi 4 e 5, ha precisato che “in tema di rapporti tra la giurisdizione italiana e quella tedesca in materia tributaria, qualora l’autorità tedesca, dando atto della definitività del titolo esecutivo in quanto “non contestato”, si rivolga a quella italiana per la riscossione delle imposte e per i conseguenti atti esecutivi… il contribuente italiano” che si opponga assumendo “l’illegittimità (derivata) dell’ingiunzione doganale solo in quanto nega l’esecutività del suddetto titolo tedesco per difetto di notifica, ma, derivando tale esecutività dalla dichiarazione di non contestazione rilasciata dalla autorità richiedente, egli, pur contestando formalmente un atto, quale l’ingiunzione doganale, adottato dalla autorità italiana… in realtà contesta la suddetta dichiarazione e, con essa, l’esecutività del titolo azionato, in tal modo introducendo una questione esplicitamente attribuita dalla legge all’autorità dello Stato richiedente” (v. anche successivamente, in termini ancora più puntuali, Cass. sez. 3, n. 19283 del 2014, Rv. 632996-01).

Orbene, lo stesso ragionamento è riferibile – trattandosi di situazione sostanzialmente similare ancorchè a parti invertite – con riguardo all’applicazione dell’art. 346 ter cit. per l’ipotesi qui in esame, sicchè si può affermare che “in materia di mutua assistenza intracomunitaria per il recupero di un credito IVA, ove la contestazione investa le condizioni – tra cui l’avvenuto o meno esperimento delle azioni esecutive interne per il recupero del credito – poste a fondamento della richiesta di assistenza reciproca avanzata dall’Amministrazione finanziaria italiana alla competente autorità dello Stato estero (nella specie l’autorità doganale tedesca), l’organo competente a conoscere della controversia è l’autorità giurisdizionale italiana (e trattandosi di tributi, quella tributaria) poichè la contestazione riguarda l’esecutività di un titolo in quanto suscettibile di dare corso alla procedura di riscossione all’estero e non (ancora) la procedura di riscossione, nè tantomeno l’attività esecutiva”.

11. Passando all’esame del ricorso principale, i motivi, che possono esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, sono fondati.

11.1. E’ fondato, innanzitutto, il primo motivo non avendo la CTR motivato, neppure per implicito, sulla doglianza – integralmente riprodotta nel rispetto del principio di autosufficienza – restando la motivazione incentrata esclusivamente sull’esser “venuto meno il credito vantato con l’originaria ingiunzione 1016”.

11.2. Quanto al secondo motivo va osservato quanto segue.

L’art. 7, par. 2, della direttiva 76/308/CEE testualmente dispone: “2. L’autorità richiedente può formulare una domanda di ricupero soltanto: a) se il credito o il titolo che ne permette l’esecuzione non sono contestati nello Stato membro in cui essa ha sede; b) quando essa ha avviato, nello Stato membro in cui ha sede, la procedura di ricupero che può essere eseguita in base al titolo di cui al paragrafo 1, e quando le misure adottate non hanno portato al pagamento integrale del credito.”.

L’art. 346 ter T.U.L.D. in termini ancora più incisivi dispone che la domanda “deve contenere l’indicazione della data a decorrere dalla quale è possibile procedere alla esecuzione secondo le disposizioni nazionali vigenti nonchè la dichiarazione che il credito ed il titolo esecutivo non sono contestati nel territorio della Repubblica e che la procedura per il ricupero è stata in esso intrapresa senza però portare al pagamento integrale del credito”.

Tali indicazioni non sono meramente astratte ma ancorano ad un parametro di effettività (“le misure adottate” “la procedura per il recupero è stata in esso intrapresa”) l’azione per la riscossione del credito all’interno dello Stato creditore.

Il successivo art. 14 della direttiva 76/308/CEE aggiunge inoltre che “L’autorità adita non è tenuta: a) (…) b) a procedere al ricupero del credito quando l’autorità richiedente non ha esaurito, sul territorio dello Stato membro in cui essa ha sede, le azioni esecutive del credito stesso. L’autorità adita informa l’autorità richiedente dei motivi che ostano all’accoglimento della domanda di assistenza. Il rifiuto motivato è inoltre comunicato alla Commissione”.

Da tale assetto normativo deriva quindi:

a) costituisce presupposto per l’insorgenza dell’obbligo di fornire assistenza la circostanza che l’azione esecutiva (in quanto possibile per la sussistenza di beni del debitore sul territorio nazionale) sia stata intrapresa;

b) in mancanza l’istanza di assistenza è difettosa di una delle condizioni legittimanti; non sussiste, quindi, alcun obbligo di provvedere per lo Stato richiesto (nè, a rigore, di motivare il diniego);

c) qualora l’azione esecutiva interna sia stata intrapresa ma non ancora esaurita, la richiesta di assistenza è, invece, possibile ma lo Stato richiesto può, secondo le proprie valutazioni, decidere se concederla o meno; il rifiuto in questo caso deve essere motivato (in relazione alle concrete circostanze ritenute impeditive dell’avvio della riscossione) e comunicato alla Commissione.

Ne deriva, altresì, che va escluso l’obbligo di rinvio pregiudiziale della questione alla Corte di Giustizia per la natura di acte claire della previsione normativa.

11.3. Tale assetto normativo, invero, pone delle regole procedurali in merito alla ricevibilità della richiesta di assistenza ma, contrariamente a quanto ritiene l’Agenzia, ciò non significa che la posizione del contribuente sia indifferente rispetto alla loro inosservanza.

La collaborazione internazionale attiva, infatti, dà vita ad un fenomeno complesso caratterizzato da una pluralità di atti posti in essere dai singoli ordinamenti dei diversi Stati in vista, nella materia fiscale, di un intento unitario costituito dal corretto accertamento e dalla riscossione delle imposte.

Lo Stato richiedente deve, in particolare, garantire i presupposti dai quali scaturisce il diritto di richiedere e l’obbligo di fornire la collaborazione, tanto più quando venga in rilievo una attività come la riscossione – che comporta la compressione dei diritti del contribuente.

In tale evenienza il fondamento giuridico della collaborazione deve necessariamente essere valutato in base alle norme interne che regolano lo svolgimento dell’attività amministrativa richiesta, sicchè tutta l’attività posta in essere dallo Stato collaborante è necessariamente condizionata dalla regolarità dell’attività posta in essere dallo Stato richiedente.

In altri termini, il contribuente può venire leso nei suoi interessi non soltanto per le irregolarità del procedimento di riscossione, ossia per la fase esecutiva in senso proprio, ma anche per quelle che si possano riscontrare negli atti compiuti da parte dello Stato che ha avanzato la richiesta, perchè la loro regolarità costituisce condizione di validità di un presupposto.

11.4. Va pertanto enunciato il seguente principio di diritto: “In tema di mutua assistenza intracomunitaria per il recupero di un credito IVA fondato su titolo esecutivo emesso in Italia, il preventivo avvio dell’azione esecutiva interna sui beni del debitore esistenti sul territorio nazionale integra, ai sensi dell’art. 346 ter T.U.L.D. e dell’art. 7, par. 2, della Direttiva 76/308/CEE, ratione temporis applicabili, un presupposto della richiesta dì assistenza, che non è surrogabile da una valutazione prognostica da parte dell’Amministrazione finanziaria sull’inopportunità della procedura esecutiva per lo scarso valore dei beni stessi, e la cui mancanza è suscettibile di tutela giurisdizionale poichè condiziona la validità dell’attività di riscossione presso la Stato richiesto”.

11.5. Venendo alla concreta vicenda, costituisce un dato pacifico che non è stata avviata alcuna procedura immobiliare sui beni posseduti dal contribuente nel territorio nazionale, scelta che è stata giustificata dall’Agenzia delle Dogane sulla base di una valutazione prognostica sulla inopportunità di attivare la procedura esecutiva in Italia atteso lo scarso valore dei beni ivi esistenti.

Si tratta, invero, di opzione non prevista dalle norme comunitarie, nè può essere invocata la possibilità, riconosciuta dal D.P.R. n. 43 del 1988, art. 73 per cui il concessionario può ottenere dall’Amministrazione l’esonero dalla procedura esecutiva qualora si possa ritenere che il ricavato della vendita sarà assorbito integralmente dalle spese di procedura.

Fermo restando che di una simile autorizzazione non vi è traccia, la disposizione, in quanto incompatibile con la disciplina comunitaria nella materia dei tributi armonizzati, deve ritenersi inapplicabile.

12. Il ricorso principale, pertanto, va accolto con cassazione della sentenza impugnata, e, non essendovi necessità di ulteriori accertamenti in fatto, va accolto il ricorso introduttivo del contribuente.

13. Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Considerato la complessità e la novità delle questioni esaminate, ricorrono giusti motivi per la compensazione delle spese dei gradi di merito.

PQM

La Corte accoglie il ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale proposto dal Ministero delle finanze; rigetta il ricorso incidentale proposto dall’Agenzia delle dogane; cassa la sentenza impugnata e accoglie il ricorso introduttivo. Condanna la parte soccombente, Agenzia delle dogane, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 17.000,00, per compensi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge. Compensa le spese dei gradi di merito.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2017

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