Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6925 del 11/03/2020

Cassazione civile sez. I, 11/03/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 11/03/2020), n.6925

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 2282/2019 proposto da:

E.O.T., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza

Cavour, presso la cancelleria della Corte di cassazione e

rappresentato e difeso dall’avvocato Vittorio D’Angelo per procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui

uffici in Roma, Via dei Portoghesi, 12, domicilia;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1199/2018 della Corte di appello di Ancona

depositata il 03.07.2018;

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Laura Scalia nella

camera di consiglio del 14/01/2020.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Ancona con la sentenza in epigrafe indicata, pronunciando ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, ha rigettato l’appello proposto da E.O.T. avverso l’ordinanza con cui il locale Tribunale aveva disatteso l’opposizione dal primo svolta avverso il provvedimento di diniego della competente Commissione territoriale dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria ed umanitaria.

E.O.T. ricorre per la cassazione dell’indicata sentenza con tre motivi.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente, originario della Nigeria, nel racconto reso dinanzi alla competente Commissione territoriale aveva dichiarato di essersi allontanato dal proprio Paese perchè quale membro del MEND – il Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger che ha lo scopo di tutelare gli interessi dell’area del Delta del Niger e che recentemente avrebbe posto in essere azioni anche violente contro le installazioni petrolifere straniere accusate di sfruttare le risorse naturali a danno del Paese – era stato vittima di condotte violente dei propri avversari politici del PDP (Partito Democratico Popolare) che erano giunti ad incendiargli la casa in ragione del supporto offerto al partito APC (Partito All Progressiv) contro il PDP che ne aveva tradito i temi durante la campagna presidenziale.

1.1. Tanto esposto, con il primo motivo il ricorrente fa valere la violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere dapprima il Tribunale, e quindi la Corte di appello di Ancona, postc a fondamento della decisione un rapporto EASO del 14.10.2016 non prodotto da nessuna delle parti in giudizio ed in cui si affermerebbe che il gruppo MEND sarebbe inattivo dal 2009, sui cui esiti i giudici di merito avrebbero ritenuto la non credibilità del racconto del richiedente.

Il motivo è inammissibile.

La Corte di merito scrutinando il motivo ne ha rilevato il carattere non decisivo non avendo il primo giudice fondato la decisione di rigetto su quel documento, ma sulla evidenza che non vi fosse la prova che il ricorrente non fosse stato capace di richiedere protezione nel proprio Paese o che dopo averla richiesta non l’avesse ricevuta.

La proposta censura è inammissibile perchè essa non cade, in relazione all’art. 115 c.p.c., sulla ricognizione del contenuto oggettivo del documento, ma sul giudizio svolto dalla Corte di merito destinato a collocarsi interamente nell’ambito della valutazione delle prove che resta come tale estraneo al giudizio di legittimità (Cass. n. 25166 del 08/10/2019).

1.2. Con il secondo motivo si deduce la violazione di legge in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per avere la Corte di merito ritenuto, in modo erroneo, non credibile quanto dichiarato dal ricorrente e, ancora, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1) bis.

La Corte di appello non avrebbe provveduto ad integrare il compendio di prova in ordine alle lamentate lacune e sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

Il ricorrente aveva dettagliato con ogni sforzo la propria dichiarazione e prodotto tutti gli elementi in suo possesso ed il suo racconto era coerente e lineare.

La Corte di appello e, prima ancora, il giudice di primo grado non avrebbero motivato sulla non credibilità del racconto se non per richiamo alle motivazioni adottate dalla Commissione territoriale non rispettose dei criteri di legge di cui all’art. 3, D.Lgs. cit.

Segnatamente, i giudici di merito non avevano colto il fatto segnalato nelle dichiarazioni rese dal richiedente, e cioè che il PDP – il partito contro cui si era schierato il movimento MEND con il sostenere del candidato del contrapposto partito, l’APC – dopo aver perso le elezioni a livello federale aveva vinto invece quelle nell’Edo State, territorio in cui il ricorrente era pertanto fatto oggetto di ritorsione.

Il motivo è inammissibile.

Resta fermo il principio per il quale la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero integra un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito – il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), – e che tale apprezzamento di fatto diviene censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, o come motivazione apparente, o come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. n. 3340 del 05/02/2019; Cass. n. 33096 del 20/12/2018).

Nella fattispecie in esame la sentenza enuncia il fatto come definito dal racconto del richiedente protezione per poi evidenziarne, con condivisione delle conclusioni raggiunte dal primo giudice, la non linearità e credibilità, nel suo carattere non dettagliato.

La Corte di merito riporta sul punto un passaggio dell’atto di appello in cui si deduce che il ricorrente sarebbe stato in balia delle forze che governano l’Edo State per avere il partito avversario, dal primo sostenuto attraverso il movimento cui aderiva, perso le elezioni locali.

Alla Corte di merito è quindi chiaro il fatto che si vorrebbe omesso nella resa motivazione – e cioè quanto accaduto nel rapporto tra le contrapposte forze del PDP e dell’ADP in ragione dei diversi esiti delle elezioni svoltesi, rispettivamente, in ambito federale e locale – ma, ciò posto, la motivazione fonda la decisione di rigetto sul carattere generico delle dichiarazioni rese e sulla natura privata della situazione descritta, ritenuta non impeditiva del ricorso alle autorità al fine di chiederne protezione.

Sul punto i giudici di appello fanno valere l’inefficacia, al fine di ritenere in capo al richiedente la sussistenza di situazioni tutelabili a mezzo della protezione sussidiaria, dell’evidenza, segnalata dal richiedente, che nell’Edo State ora governino le forze politiche avversarie al movimento di appartenenza del primo che avrebbero raggiunto un grado di violenza tale da incendiare la casa del ricorrente.

La Corte segnala la genericità del racconto che non indica i motivi dei timori del richiedente e nel far ciò menziona sul punto i contenuti della “comparsa conclusionale in appello” (p. 4).

A fronte di siffatto passaggio, del documento n. 27 indicato invece nel ricorso per cassazione come attestante l’incendio e la riconducibilità dello stesso agli avversari politici del richiedente, l’Esan non riesce a dar conto della decisività.

La parte non deducendo, innanzitutto, sulla sua tempestiva allegazione in appello, non provvedendo a segnalare, a fronte del silenzio sul punto serbato nell’impugnata sentenza, con quale atto egli lo avesse prodotto.

Il ricorrente non riesce poi ad illustrare la rilevanza di quel documento che si vorrebbe integrativo del fatto decisivo mancato nella valutazione della Corte di merito e tanto in ragione della stessa lingua di sua compilazione, quella inglese, non consentita nel nostro processo ex art. 122 c.p.c., e della mancata piena e chiara esplicitazione del suo contenuto attraverso una traduzione in lingua italiana.

Come affermato da questa Corte di cassazione, nel giudizio di legittimità, il principio della obbligatorietà della lingua italiana, previsto dall’art. 122 c.p.c., con riferimento ai soli atti processuali in senso stretto, nel caso di produzione di documenti redatti in lingua straniera va conformato alla previsione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, che impone, in applicazione del principio di specificità, un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, previa traduzione, in italiano, nonchè della specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione, al fine di consentire la verifica della fondatezza della doglianza sulla base del solo ricorso, senza necessità di fare rinvio o accesso a fonti esterne ad esso (Cass. 29/01/2019 n. 2331; Cass. 07/03/2018 n. 5478).

La produzione, e con essa il motivo di ricorso, mancando dell’indicata specifica connotazione è come tale inammissibile.

2. Con il secondo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5, 7 e 8, e dell’art. 27 comma 1 bis del D.Lgs. n. 25 del 2008.

La Corte di appello aveva errato nell’individuare nel fatto descritto una vicenda privata, negando così accesso alla protezione prevista per i rifugiati e ancora a quella sussidiaria, nella non volontà delle forze statuali di prestare aiuto al richiedente.

La vicenda descritta avrebbe avuto ad oggetto l’operatività di partiti politici nella loro capacità di governare il territorio di appartenenza (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5)

Il motivo resta assorbito dalla valutazione del precedente in ragione della indimostrata decisività del fatto.

3. Il ricorso è in via conclusiva inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2020

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